IL VIRUS TOTALITARIO
Il primo titolo che avevo pensato per il mio libro Il
virus totalitario (Rubbettino) era La falce uncinata, per collegare
con i loro simboli i due grandi totalitarismi del Novecento, il comunismo
bolscevico e il nazionalsocialismo hitleriano. Che cosa li caratterizzava e che
cosa li unificava? Il comunismo è la promessa universale di portare sulla terra
la giustizia e un paradiso in cui tutti avrebbero avuto secondo le loro necessità
e dato secondo le loro possibilità. Il nazionalsocialismo, il suo grande
fratello nemico, prometteva lacrime e sangue a chi non faceva parte della razza
ariana: in nome di una purificazione del mondo, si trattava di eliminarne le parti
presunte infette, inferiori, degradanti.
Era la promessa della redenzione dell’umanità, perché una volta
eliminate le razze che la deterioravano, sarebbe emersa la parte migliore
dell’uomo, che avrebbe a sua volta portato a un paradiso in terra, anche se
ariano. Quindi questi due nemici, il bolscevismo e il nazionalsocialismo, erano
in realtà i gemelli totalitari che si rispecchiavano tra loro non soltanto nel
colore rosso della bandiera. Accomuna poi i lager nazisti e i gulag comunisti anche
il fatto che le persecuzioni costanti dei prigionieri, la loro degradazione e
infine la loro eliminazione comportavano un enorme consumo di risorse che non
rispondeva a una logica né giuridica, né militare, né ideologica: milioni di persone
furono spinte nei lager fino alle camere a gas e nei gulag fino al freddo
artico e siberiano. E questa logica non può che essere una logica di
distruzione, una logica inspiegabile dal punto di vista umano: secondo un
documento che riportava una riunione del Poljtburo sovietico, lo stesso
Krusciov avrebbe affermato: “Soltanto il diavolo sa che cosa ci ha spinto a
farlo”. Di fronte a questa estrema valutazione, non si può che prendere atto di
una volontà distruttiva d’impronta mefistofelica.
Questa considerazione mi ha portato a supporre un’affinità
tra il virus organico e quello ideologico.
Considerando che il virus organico è privo di un metabolismo
proprio, ma deve servirsi di una cellula bersaglio da colonizzare, ho capito quel
che lo accomuna al totalitarismo: il suo carattere vampiresco, parassitario. Il
virus non può procedere se non utilizza altro materiale da colonizzare,
dominare e, infine, distruggere, per potere poi a sua volta propagarsi. E se
questo era il punto, allora bisognava individuare i motivi della sua
propagazione e i materiali di cui si serve. E ho trovato, dopo una serie di
valutazioni, che esiste in tutti i totalitarismi una doppiezza, due elementi
che confluiscono nello sviluppo del virus: un elemento arcaico, che potremmo identificare,
dal punto di vista organico, con l’origine misteriosa del virus, e un elemento
di grande modernità, cioè, metaforicamente, la cellula bersaglio, viva, attuale.
Nel caso del comunismo, Lenin disse: “Il comunismo è
un’unione tra il soviet e l’elettrificazione”, cioè tra l’organizzazione
socio-politica bolscevica, che a sua volta riproduceva le unità organiche del
villaggio, della Obščina russa, e l’elettrificazione, lo sviluppo
industriale del tempo.
Nel caso del nazionalsocialismo il mito della razza, che
affonda le sue radici in un passato arcaico, si fondeva con un elemento moderno
e scientifico, l’evoluzionismo darwiniano, che esalta una selezione naturale in
cui si afferma soltanto chi è più adatto alla vita.
E, se analizziamo il terzo grande totalitarismo globale,
l’islamismo radicale, incontriamo la combinazione tra il Corano, che recupera
la tradizione di popoli nomadi e guerrieri del deserto, e la tecnologia
modernissima, che si esprime molto bene dal punto di vista mediatico ed
economico.
Quindi, noi possiamo considerare questi fenomeni totalitari
come una conseguenza dello sviluppo generale dell’umanità a partire dal Novecento,
anche se troviamo forme di totalitarismo precedenti, tra cui una è la seconda
rivoluzione francese del 1792-93, quella giacobina, con le sue ghigliottine. Ma
in questo caso mancava evidentemente l’aspetto industriale, quindi, pur avendo
un grande valore simbolico, riconosciuto anche dal comunismo, il giacobinismo
della seconda rivoluzione rimane un fatto essenzialmente storico. È nel
Novecento, con l’elettrificazione, con il cosiddetto evoluzionismo, e con lo
sviluppo del capitalismo inteso come il nemico da sconfiggere, è qui che
troviamo la grande espansione totalitaria.
Oggi noi abbiamo a che fare con questi grandi esempi e con
una serie continua di riproposizioni in tono minore degli stessi fenomeni.
Uno di questi fenomeni è il terzomondismo, che trova ampi
consensi anche in Occidente (in Europa, in Vaticano): anch’essa è una visione del
mondo che mescola elementi molto arcaici, un primitivismo (nei regimi
terzomondisti, come quello boliviano e venezuelano, tende a prevalere un’etnia
nativa, essenzialmente india, in contrapposizione all’etnia europea di
estrazione borghese) con venature fortemente pagane. Allora, non siamo noi a possedere
la terra, è la terra che ci possiede e, quindi, la proprietà privata è qualcosa
che può essere concesso, ma anche tolto; dato che noi apparteniamo alla
collettività, alla collettività noi dobbiamo restituire se essa ce lo chiederà.
Abbiamo un’altra forma di totalitarismo locale, non globale,
quello post-sovietico, che io definisco nazicomunismo, un’originale commistione
di elementi nazionalsocialisti, come la grande valorizzazione per l’etnia, per
l’origine, per il sangue, unita al mito imperiale comunista.
Il leader jugoslavo Slobodan Milošević incarnava molto bene queste
due nature, cioè il serbismo arcaizzante e l’ideologia comunista jugoslava,
come oggi il presidente della Bielorussia Aleksandr Lukashenko unisce le sue
caratteristiche di figlio del kolchoz contadino e sovietico a una
dichiarata ammirazione per i metodi nazionalsocialisti.
E, chiaramente, il paese naturale dove fiorisce questo
ibrido totalitario è la Russia, dove convivono il mito del popolo (narod),
l’ortodossia come religione unificante e l’autocrazia zarista, poi tradotta in
potere dal capo dell’Unione Sovietica e oggi da Vladimir Putin, che riprende questa
arcaica visione dello slavismo, che va a unirsi alla nostalgia, aperta e per
nulla nascosta, della grandezza imperiale sovietica, che deve essere
ripristinata, perché l’orgoglio del popolo deve ritrovare un suo
soddisfacimento.
Un’altra forma di totalitarismo è quello occidentale, che
potremmo definire demo-totalitarismo. Il demo-totalitarismo è la prova che il
virus totalitario non fa differenze, non ha nessuna preferenza. Se il comunismo
è un buon strumento servirà, ma se il comunismo declinerà, ci si servirà di
qualche altra cosa. E se la democrazia offrirà alle velleità espansive del
virus un buon terreno di coltivazione, il virus userà la democrazia. E, quindi,
il virus è tra noi, il virus si manifesta in tutti i modi possibili,
generalmente accattivanti, ma se necessario anche duri, di reprimenda nei
confronti di quelli che non si adattano, fra cui coloro che contestano la
teoria del riscaldamento globale. Tra parentesi, chi ha un minimo di apertura storica
sa che si tratta di oscillazioni climatiche che sono intervenute anche in
passato e si verificheranno anche in futuro e che fanno parte della natura
stessa della terra e degli altri pianeti: persino il lontanissimo Plutone, dove
non esistono industrie inquinanti, ha aumentato la sua temperatura. Da ciò,
deduciamo che abbiamo a che fare con un fenomeno che mira essenzialmente, e non
dichiaratamente, al controllo prima delle nostre menti, poi delle nostre
economie e infine del mondo. Perché è questa la logica della presa del virus:
la logica del controllo. Ma il controllo non è fine a se stesso, mira
all’espansione.
Se noi siamo controllati e se siamo in qualche modo soggetti
allo sviluppo del virus, diventiamo ottimo materiale da combustione per il
fuoco totalitario. In Occidente cito soltanto due o tre esempi: uno è il
pan-ecologismo centralistico e autoritario, l’altro è il controllo, se possibile,
della vita, a partire dal concepimento fino alla morte. Attraverso l’ingegneria
genetica, ci si può spingere fino all’eutanasia e quindi all’eugenetica,
naturalmente, in un piano inclinato che non può avere limiti, perché se il fine
nostro è la purificazione della vita umana dalla malattia e da quello che la
contamina, allora noi siamo autorizzati a fare qualsiasi cosa.
Un altro elemento tipico del demo- totalitarismo occidentale
è la moltiplicazione dei diritti. Ormai, ogni soggetto rivendica il suo diritto.
Posso avere qualsiasi finalità, non ci sono limiti al mio
desiderio soggettivo. Quindi, in pratica, io moltiplico questa soggettività,
questi diritti: per esempio, dopo il mio primo matrimonio voglio passare alla
poligamia – ne ho il diritto, perché la mia cultura lo prevede –, per poi
magari arrivare al matrimonio a tempo, un’istituzione già legale in molti paesi
arabi. Ognuno può dire la sua.
La moltiplicazione dei diritti soggettivi, che può
comportare anche l’eliminazione della differenza tra uomo e donna, porta a una
situazione che alla fine è chiaramente insostenibile, perché se i diritti sono miliardi,
non possono essere tutti attuati. Ed è qui che interviene, come avrebbe detto
Jean-Jacques Rousseau, il legislatore, che sancisce: “Non possiamo ammettere tutti
questi diritti, ma solo alcuni, e spetta a me dire quali sì e quali no. E
naturalmente ratificherò questa decisione con una maggioranza perfettamente
legale, perché ci sarà una maggioranza che si coalizza attorno al mio pensiero
totalitario, dato che attira, che piace, ed è difficile opporvisi”.
Dinanzi a questi elementi che ci interpellano in maniera
diretta, il mio libro, nella parte finale, accenna ad alcuni modi per reagire.
Il primo è quello culturale, cioè la critica diretta, il
rifiuto di questa forma di demo-totalitarismo che ci viene propalata in questa
forma amichevole, simpatica e spiritosa dalla maggior parte dei media anche qua
in Italia. Il secondo modo è fronteggiare questo totalitarismo strisciante con
un intervento diplomatico e politico efficace. Il terzo è quello militare,
un’opzione che noi dobbiamo considerare sempre come perfettamente legittima,
quella di una guerra giusta. Spesso la pace è un trucco del totalitarismo, che
ha bisogno di un periodo di transizione e di tranquillità per potere mettere più
profonde radici, salvo poi espandersi violentemente.