PERCHÉ LE NUOVE TECNOLOGIE NON SOSTITUISCONO L’INGEGNO DELLE NOSTRE IMPRESE ARTIGIANE
Ingranaggi,
ruote dentate, pignoni, coppie coniche, giranti e tanti altri componenti
meccanici utilizzati per il trasferimento del moto nella produzione industriale
– dall’automotive alle pompe idrauliche, dall’aeronautica all’orologeria –
richiedono le lavorazioni di stozzatura e brocciatura fornite dalla storica Officina
Bertoni Dino Srl, che lei ha rilevato due anni fa. Ma, come ha raccontato nella
sua precedente intervista per il nostro giornale (n. 44, luglio 2011), la sua
esperienza nella meccanica di precisione è molto più antica… Soprattutto è molto più antica l’Officina
Meccanica Bartoli, fondata da mio nonno nel 1961, dove lavoro da ventitré anni con
i miei genitori e grazie alla quale ho acquisito un’esperienza di cui la mia
nuova azienda si sta avvalendo e si avvarrà ancora di più quando introdurremo altre
macchine per implementare i tipi di lavorazione e produrre anche cremagliere e
chiavette inclinate, anziché limitarci a quelle per cui la Bertoni è rinomata.
Ha un valore
inestimabile quello che ho imparato nell’azienda di famiglia, realizzando
prototipi ed eseguendo lavorazioni di qualsiasi genere, con qualsiasi materiale
e di qualsiasi dimensione: dai particolari per orologeria alle piastre che
fanno parte del telescopio astronomico europeo, dalle ali del primo drone senza
pilota della Galileo che si è alzato in volo in Italia agli interni della Ferrari,
dalle Ferrari 60º anniversario Scaglietti ai dadi ferma-ruote dell’F360, dai
bracci del sistema di sospensioni della Countach ad altri infiniti pezzi che mi
hanno dato l’opportunità di accrescere non soltanto la mia competenza tecnica, ma
anche la mia cultura scientifica e la mia capacità di controllo di qualsiasi
stadio della produzione – dalla progettazione alla scelta dei materiali
all’esecuzione – su qualsiasi tipo di macchina. A questo va aggiunta la
capacità di mettere a frutto le sinergie che s’instaurano all’interno di un
comprensorio di imprese artigiane come quelle modenesi, i cui titolari si
distinguono per un forte attaccamento al lavoro e una propensione a fare sempre
meglio e a raggiungere la qualità assoluta. Il nostro tessuto imprenditoriale è
costituito da famiglie che hanno ottenuto la loro reputazione grazie a un
approccio che mette al primo posto l’impegno, la serietà, la correttezza e la
lealtà. Per questo, chi arriva a Modena pensando di arricchirsi in fretta o
attraverso azioni illecite ha vita breve: qui la fiducia e la stima si
conquistano passo dopo passo, senza sconti per la qualità e senza giocare a
ribasso.
E questo ha
contribuito a instaurare dispositivi tra aziende di eccellenza che proseguono
da anni.
Sono
gli stessi dispositivi che fanno del comprensorio modenese uno dei poli di
riferimento mondiale per la ricerca nella meccanica applicata al settore
aerospaziale… Non a
caso abbiamo lavorato, insieme ad altre aziende, alla realizzazione di
prototipi e componenti per Istituti come l’ERSF di Grenoble (“European
synchrotron radiation facility”, la struttura europea per la radiazione di
sincrotrone), il CERN (“European Organization for Nuclear Research”),
collaborando a progetti come LHC (“The Large Hadron Collider”) e Alice (“A
Large Ion Collider Experiment”), e per l’Istituto di Fisica Nucleare di Padova.
Le
nuove tecnologie hanno introdotto una trasformazione nella cultura del lavoro
che distingue gli artigiani modenesi? L’avvento
delle nuove tecnologie per il nostro territorio è stato un passo
imprescindibile in direzione della qualità produttiva eccelsa di cui le nostre imprese
non possono fare a meno. Se usate nella maniera corretta e con la giusta
organizzazione, le nuove tecnologie permettono di abbattere i costi, altrimenti
sono una spada di Damocle sulla testa dell’artigiano che, affascinato dalle
fiere e dagli slogan roboanti, le ha già adottate e non può che dirne bene,
anche quando in effetti possono rappresentare un problema.
Nella Bartoli
l’introduzione delle macchine utensili e dei più moderni sistemi produttivi non
è stata conveniente dal punto di vista economico, perché le macchine manuali erano
molto più adatte al tipo di lavorazioni che l’Officina eseguiva in quel
momento: per eseguire 12 fori in un manicotto con un trapano multitesta, per
esempio, s’impiega un 12º del tempo che richiede invece un moderno centro di
lavoro. È vero che nelle officine di una volta non c’erano sistemi di sicurezza
e le persone che ci lavoravano dovevano essere estremamente affidabili, chi
lavorava alle macchine manuali non poteva permettersi distrazioni, ma ciò che
ciascuno faceva costantemente era legato soprattutto a una società differente
da quella attuale, con valori differenti e con una capacità comunicativa più
immediata, che consentiva di coinvolgere con efficacia i collaboratori nelle
situazioni contingenti più imprevedibili.
Lo scotto delle
nuove tecnologie è stato pagato dalla mia generazione, la seconda o la terza
dopo i nostri padri e i nostri nonni, che hanno fondato le aziende
manifatturiere modenesi. Nella mia generazione, molti non sono riusciti a
capire l’importanza e il valore del lavoro, non hanno acquisito esperienza e
hanno vissuto di rendita fino a quando i fondatori hanno lasciato loro le redini
dell’azienda. A quel punto, rivelandosi del tutto inadeguati al compito, hanno
rinunciato ad attività che sarebbero potute tranquillamente andare avanti anche
senza di loro, se avessero meditato di più sulla direzione da prendere.
Per quanto mi
riguarda, io ho cercato sempre di fare del mio meglio all’interno del mio ruolo
produttivo in officina e, da due anni, mi sono affacciato anche allo statuto
d’imprenditore, ho capito che cosa volevo fare e dove volevo arrivare, in un
territorio come Modena, dove ci sono infinite opportunità, senza bisogno di
andare in uno spazio così dispersivo come l’America. A Modena c’è molto di più
che negli Stati Uniti, nonostante tutte le difficoltà insite nella burocrazia e
nella pressione fiscale diventata ormai insostenibile per la maggior parte
delle piccole e medie imprese. L’Officina Meccanica Bartoli, da quando ha aperto,
ha investito milioni e milioni di euro in macchinari, impiegando anni di lavoro
per pagarli, però con quei macchinari hanno imparato a lavorare persone che
lavorano ancora con noi e quei macchinari sono serviti non solo a produrre ma
anche a far crescere nuove prospettive, per un futuro molto più incentrato
sulla nostra terra, piuttosto che su idee provenienti dall’altra parte del
mondo.
Oggi, c’è chi pensa
che sia bello abbandonare la propria attività e andare ad aprire un chiosco o
un bar in un paese esotico: significherebbe dare valore al nulla, perdendo la
capacità di essere influenti nella realtà.
Le cose acquistano
valore quando subentra l’attenzione, quando c’è un motivo. Il motivo è ciò che
non si deve mai perdere di vista, ciò che si deve sempre avere.
E
qual è il motivo che sta alla base della sua giornata? Ultimamente ho scoperto il segreto del
contadino: andare a letto presto. Se si prende l’abitudine di andare a letto
prima delle 22.00, ci si sveglia molto presto, con mille e un motivo per la
giornata. Se il tuo motivo è tornare a letto, la tua giornata probabilmente non
sarà altrettanto produttiva. Il segreto del contadino non è un segreto:
arrivare a sera senza fare fatica, andando a letto presto.
Oltre
al motivo, in un’officina c’è ritmo, ci sono le cose che si fanno lungo l’occorrenza,
come in ciascun ambito della vita… L’officina
è una splendida metafora della società perché è più di una sola vita, ma è meno
di tutto, e ne influenza tante, anche indirettamente.
L’imprenditore deve
riuscire a far nascere nei collaboratori la tendenza a prendersi cura delle cose:
non può averla solo lui, altrimenti non è una società ma una dittatura, non
possono averla in pochi, altrimenti è un’oligarchia, e non possono averla tutti
perché la democrazia non è applicabile a decisioni immediate. Allora,
l’officina è come un consolato, in cui si esercita la pietas romana, l’imperatore è più di facciata che di concetto e la
capacità organizzativa e strutturale è fondamentale, procedendo
dall’integrazione, anziché da schiaccianti gerarchie, in modo che la crescita
sia costante. Ma la cosa più importante è che ciascun collaboratore, come ciascun
cittadino romano, abbia la certezza – non “creda”, perché non si tratta di
credenza – di essere una pedina indispensabile affinché tutto funzioni nel
migliore dei modi.
Ciascuno deve
sentirsi importante, non si devono creare centri di minore interesse, né si
deve lasciare che qualcuno si isoli. Se la comunicazione è costante e ciascuno
si prende cura continuamente delle cose proprie e degli altri, allora,
un’azienda, una scuola, un ufficio, una casa trova la sua grandezza.
Procedendo
dall’apertura, con un approccio intellettuale...
Ma la cosa
eccezionale è che questo approccio non devono averlo tutti e tutti insieme, è
importante che ce l’abbiano le persone giuste, soprattutto chi si trova nello
statuto di imprenditore, che continui a interrogarsi e che mantenga costante la
sua curiosità intellettuale. E, a cascata, questo si ripercuote.