QUALE ARCHITETTURA PER I GIARDINI
Intervista di Pasquale Petrocelli
Dato il tema di questo numero della rivista, inizierei con una frase dello psicanalista Armando Verdiglione: la salute è l’istanza della qualità della vita. È una formulazione che dà da pensare, anche per esempio rispetto alla questione del verde nelle città. Spesso il verde viene ignorato o eluso dal dibattito attorno alla salute, oppure viene presentato semplicemente con una funzione terapeutica. Cominciare a considerarlo invece, proprio per le sue virtù, come un aspetto essenziale alla qualità della vita, verso cui ciascuno tende, varrebbe forse a porlo anche come questione culturale. Ciò che il suo collega vivaista Ruggero Montanari si augurava a conclusione del suo intervento nel n. 5 di questa rivista. Cosa ne dice?
Tanto per accennare a qualcosa, è indubbia, per esempio — come ha già fatto notare il mio collega sui numeri scorsi di questa rivista [n. 5 e n. 6] —, e scientificamente documentata, l’importanza degli alberi contro l’inquinamento dell’aria, che nelle città è sempre più irrespirabile. È indubbia anche la funzione di decoro che le piante in genere hanno e che sicuramente influisce nella vita di ciascuno. Ed è indubbio, pure, che, dove la presenza di alberi e di verde è consistente, anche la qualità della vita di coloro che vi risiedono riceve un apporto considerevole.
Ma non bisogna trascurare il fatto che il verde dà un apporto alla qualità della vita di ciascuno se esso stesso è di qualità. E affinché questo avvenga occorre in modo assoluto che le persone che se ne occupano siano preparate. Nel nord Europa, ad esempio, esiste l’architetto paesaggista. A Monaco di Baviera c’è la Facoltà di Architettura paesaggistica, dove chi poi dovrà occuparsi di verde pubblico nelle amministrazioni compie un percorso formativo che dura dai cinque ai sei anni.
Da noi invece, nella maggior parte dei casi — quasi sempre — in questo settore ci sono carenze. Ma questo cosa comporta? Le faccio un esempio pratico: quando il consiglio comunale delibera un lavoro, ad esempio la messa a dimora di un certo numero di alberi in una via, viene presentato il capitolato d’impresa con le indicazioni di tutte le misure e caratteristiche delle specie botaniche scelte. Il responsabile del verde, rimanendo in ufficio, riceve i fax di offerta dalle varie imprese vivaistiche e di giardinaggio che intendono partecipare alla gara d’appalto. Chi vince questa gara? L’offerta con il prezzo più basso. Può notare che fino a questo momento non si è ancora parlato di qualità, che semmai sarà verificata a lavoro ormai compiuto. Oppure, ne è stata inventata un’altra, visto che al prezzo più basso corrispondeva sempre la qualità più scadente, si è pensato di fare una media. Ma lei capisce però che questo responsabile del verde ha comprato un “prezzo”, non una pianta! Non l’ha neanche vista! La visita al vivaio non esiste in questa procedura!
Qualora capitasse materiale scadente, che giustificazione darà alla cittadinanza?
Esatto. Ecco quindi l’esigenza per chi produce verde di qualità di avere come interlocutori persone preparate con le quali impostare, discutere e portare a compimento e riuscita un lavoro. Interlocutori che sappiano capire e apprezzare, senza aver paura di pagarla, la qualità.
Ecco l’urgenza anche per l’Italia che nasca al più presto questa figura che sia, per dir così, di raccordo tra la produzione vivaistica e l’amministrazione pubblica. L’architetto paesaggista infatti sarebbe in grado, oltre che di effettuare una scelta tecnico-estetica, per le esigenze urbanistiche, anche di scegliere le piante dai vivai, dando così la certezza del risultato finale.
Ho avuto notizia che è stato avviato un corso di laurea in Verde ornamentale e tutela del paesaggio, coordinato dal prof. Carlo Pirazzoli della Facoltà di Agraria dell’Università di Bologna. L’ho incontrato, dice che in Italia qualcosa si sta muovendo in questa direzione. In tale ambito di studi si possono già contare cinque Facoltà di Agraria italiane che hanno attivato specifiche lauree triennali o specifici percorsi formativi all’interno della propria attività didattica. Inoltre, vi sono altri corsi che vengono impartiti presso alcune Facoltà di Architettura, in cui si dà, ovviamente, più spazio alle materie ingegneristiche e architettoniche. Dal nuovo corso di studio di Bologna deve uscire una figura professionale altamente specializzata, sia nella progettazione e gestione del verde urbano, sia nella gestione del verde territoriale, in cui gli aspetti legati all’ambiente e al paesaggistico hanno una grande rilevanza. Da qui l’idea di definire questa figura come “Agronomo paesaggista”. C’era la necessità d’iniziare quanto prima un corso di laurea dedicato a queste tematiche e l’Università di Bologna ha fatto bene a cogliere le competenze possedute dai docenti della Facoltà di Agraria in tali tematiche di studio. Poi, ha aggiunto, la scuola è un laboratorio di idee di grandissima importanza e l’università è il luogo ideale dove scambiare idee, studi e ricerche applicate.
Sono parole che forse fanno ben sperare in un dibattito e in una collaborazione sempre maggiori anche con i vivaisti, affinché questa figura di raccordo fra le imprese di produzione e le amministrazioni pubbliche possa man mano meglio caratterizzarsi, a vantaggio dell’instaurazione anche nelle nostre città di un verde di qualità.
Questo è auspicabile, perché la formazione personale passa anche attraverso la frequentazione dei vivai. Inoltre, ciò che viene dall’impresa e dalla sua esperienza non può che arricchire la stessa formazione universitaria. Penso a quanto cammino possiamo fare per ottimizzare il rapporto tra verde pubblico e produzione.
Il Polo vivaistico di Ca’ de’ Fabbri esiste da più di cent’anni e la mia impresa, la Marco Righetti, si occupa da sempre di produzione all’ingrosso di alberatura. Il grande lavoro che con il Polo vivaistico facciamo, ormai dal ‘70, per il nord Europa, dove c’è la cultura del verde, ci ha abituati a produrre per esigenze tecniche e qualitative molto elevate e rigorose. Ci dispiace quindi veder vestire le nostre città con piante un po’ scadenti e non poter fornire invece il materiale nostro. Eppure, basterebbe che gli addetti al verde fossero meglio preparati in modo da avvalersene.
Dunque, la nostra ambizione è di arrivare agli stessi livelli delle città nord europee. E, con l’interlocutore giusto, possiamo tranquillamente riuscirci. Anzi, gli italiani, con la fantasia che hanno, possono fare sicuramente meglio. Lei pensi solo alla cultura che c’è stata nei secoli scorsi per quello che è stato definito il giardino italiano, che ha raggiunto nel Cinquecento, col Rinascimento, risultati mai più eguagliati.
Perciò, si tratta anche di riprendere tradizioni che abbiamo semplicemente abbandonato. Per questa via, sono sicuro e convinto che possiamo essere vincenti. Anche nei confronti di paesi che pure sono così avanti rispetto a noi.