LE TASSE, LA PROPRIETÀ, L’ETICA
Le tasse sono espressione di un potere
tirannico, pertanto è un dovere morale combattere contro la tassazione, sia
essa eccessiva o meno.
La tirannia può
essere definita come un regime in cui un potere politico coercitivo prende
decisioni arbitrarie, senza alcuna giustificazione. In un simile regime il
popolo non è libero e gli individui possono essere considerati come schiavi.
Dire che qualcuno è
libero significa dire che può agire senza essere vittima di coercizione, che è
il proprietario di se stesso. Ma nessuno può essere libero se non è
proprietario dei frutti delle proprie azioni.
Sta qui il nesso
tra libertà e proprietà. In un mondo con risorse scarse, i diritti di proprietà
devono essere definiti dalla legge. Credo che i diritti di proprietà legittimi
siano ottenuti grazie alle libere azioni di coloro ai quali sono attribuiti.
I beni sono
prodotti dalle azioni di qualcuno, per cui è legittimo che chi produce un bene
ne sia proprietario. Se, invece, egli è privato dei legittimi diritti di
proprietà su ciò che ha prodotto, non è libero. Questo prova che viviamo in una
società tirannica, aggravata dall’incertezza della tassazione. Per questo
dobbiamo promuovere il principio secondo cui l’aumento spropositato della tassazione
è tirannico, e implica altre conseguenze inique e arbitrarie.
La tirannia non è
certamente equa, il che significa che non è coerente con l’etica. Ma è
importante fare una distinzione fra quella che è chiamata etica universale, che
consiste nell’essere rispettosi dei legittimi diritti di proprietà delle
persone, e l’etica personale, che è legata al comportamento individuale. Il
problema è che se qualcuno vuole imporre la propria etica personale usando la
coercizione, allora sta attaccando l’etica universale.
La questione etica
si pone rispetto alla tassazione: molto spesso si dice che la tassazione rende
possibile la giustizia sociale, ma se non è coerente con l’etica universale,
allora, la tassazione non è giustificata. Poiché le tasse e i contributi
sociali sono ottenuti attraverso la coercizione, non dobbiamo temere di
affermare, in linea di principio, che la tassazione è iniqua perché non è
compatibile con l’etica universale. La tassazione rende possibile trasferire in
modo arbitrario legittimi diritti di proprietà da chi ne è titolare ad altre
persone.
Ma questa
redistribuzione può essere moralmente giustificata se è compiuta da coloro i
quali hanno legittimi diritti di proprietà, per cui lo stato dovrebbe essere il
proprietario di tutte le risorse economiche per poterle ridistribuire. Invece
usa la coercizione per imporre un trasferimento di risorse altrui, per cui la
redistribuzione non è giustificata da un punto di vista etico.
Occorre dire che,
in alcuni casi, tramite il voto, il popolo accetta implicitamente l’imposizione
fiscale.
Alcuni paragonano
questo consenso con quel che avviene con lo scambio privato, dove il prezzo è
quello accettato da entrambe le parti, o con le regole condominiali, in cui
siamo costretti a pagare ciò che è deciso dalla comunità. Però, dare il
consenso è un atto individuale, mentre sul terreno politico la decisione è
democratica, e in democrazia la maggioranza non è rispettosa dei diritti della
minoranza.
La democrazia, in
questo senso, è tirannica e il consenso alla tassazione lo è ancora di più. In
un condominio, chi non accetta le decisioni della maggioranza può cambiare
casa, traslocando in un nuovo condominio, mentre non è facile lasciare un paese
e trasferirsi in un altro.
La tassazione è
tirannica perché distorce l’azione umana, causando una doppia distruzione di
incentivi alla produzione: per un verso, chi più si sforza a produrre deve
pagare più tasse, per l’altro, chi può ottenere beni gratuitamente ha meno
incentivi a sforzarsi di più. Possiamo confrontare due sistemi di assicurazione
o previdenza sociale: con un sistema di previdenza pubblica, come in Italia, più
alto è il tuo reddito, più sforzi tu stai facendo, più dovrai pagare. Al contrario,
in un sistema di assicurazione privata, tu sei incentivato a lavorare di più al
fine di potere acquistare una polizza assicurativa più vantaggiosa.
Nel primo caso, la
tassazione non è moralmente giustificata, perché punisce le persone che si
sforzano a produrre.
La tassazione è
anche destabilizzante.
In un contratto privato
ciascuna parte sa quel che l’altra parte sta chiedendo, mentre non esiste
nessun contratto tra i cittadini e lo stato. Il governo cambia l’imposizione fiscale
in modo arbitrario e i cittadini non sanno mai quali saranno gli effetti della
tassazione, né possono assicurarsi sulla sua variabilità. Anche se
all’università viene insegnato che il parlamento lavora per favorire la
stabilità, ai giorni nostri lo stato è la principale fonte d’instabilità.
I governi
prediligono le tasse sulle imprese perché le imprese non hanno alcun accesso al
voto. Per le imprese la tassazione è una forma di spreco, sia per i costi di
amministrazione sia per il tempo impiegato negli adempimenti fiscali. Anche la
scelta degli investimenti è influenzata dalla tassazione, come tutte le
attività umane.
L’unica tassa non
discriminatoria è la tassa sulla persona fisica (testatico), in cui ciascuno
paga lo stesso ammontare degli altri per fare parte di una comunità. La prima
discriminazione è quella contro lo scambio.
Per esempio, chi
prepara da solo la propria cena non ha alcuna tassa da pagare, mentre chi
lavora un po’ di più per essere in grado di pagarsi il ristorante paga anche
una tassa amministrativa sullo scambio. In questo modo lo scambio, così
importante per lo sviluppo umano, viene in realtà penalizzato.
La progressività è
considerata equa secondo alcuni principi etici perché è una distribuzione dal
ricco al povero.
Ma, in una società
libera, in termini di scambio, la ricchezza dipende dall’utilità che il fare di
ciascuno ha per gli altri. Chi ha un reddito alto non l’ha rubato, fino a prova
contraria, ma è stato più utile agli altri, ha contribuito maggiormente al
benessere della comunità rispetto ad altri, per cui non c’è ragione per punirlo.
Così, la
distribuzione della ricchezza in una società libera non può essere considerata
iniqua.
Si dice spesso che
la progressività è giustificata perché più ricchezza si ha, meno utilità si può
trarre da questa ricchezza. Eppure, per esempio, le ore di straordinario sono
pagate maggiormente perché si considera che lavorare di più è più difficoltoso.
L’effetto della
tassazione è il contrario: più lavori e meno guadagni, perché hai più tasse da
pagare. Il principio di progressività è discriminatorio contro chi è più
produttivo. Ovunque viene ridotta la progressività aumenta la prosperità.
Vorrei soffermarmi
sulla tassa sul reddito. Se qualcuno potesse disporre dei soldi, anziché pagare
la tassa sul reddito, avrebbe due possibilità: consumare le sue risorse, oppure
risparmiarle, ma in tal caso le sue risorse sarebbero reintrodotte nel processo
produttivo, e sarebbero tassate in futuro. Così c’è una punizione per coloro che
risparmiano rispetto a coloro che consumano. Probabilmente, una ragione per cui
i risparmi sono tassati è un’idea marxista di capitalismo.
Quali sono le
riforme che consentirebbero una diminuzione della tirannia fiscale? Ci sono
alcune priorità: innanzitutto, se possibile, diminuire tutte le tasse; in
secondo luogo, diminuire o eliminare la progressività; infine, rimuovere le
tasse sul capitale.
La tassa sul
reddito si configura come una persecuzione del contribuente che genera quello
stesso reddito.
Probabilmente, i
governi non sono pronti ad approvare tali riforme. Lo stato può utilizzare la
coercizione per contrastare i tentativi di diminuire la tassazione e per
evitare rivolte fiscali.
Un individuo non è
incoraggiato a intraprendere una rivolta fiscale: corre infatti un rischio
molto grande e, se anche avesse successo, ne otterrebbe un vantaggio solo
parziale.
In molti paesi, chi
dà inizio a una rivolta fiscale può essere imprigionato, e le persone non sono
disposte a correre tale rischio. Inoltre, come rileva la famosa frase
dell’economista Frédéric Bastiat: “Lo Stato è quell’illusione per cui tutti
cercano di vivere alle spalle di tutti”, ovvero la maggior parte delle persone
non sa esattamente quanto paga e pensa che le tasse siano sostenute dagli altri.
Per diminuire la
tirannia fiscale dovremmo cambiare l’opinione pubblica.
I principali
problemi degli stati sono intellettuali: se cambia l’opinione pubblica, forse
possono cambiare anche le tasse. È importante promuovere pubblicamente la
battaglia contro la tassazione. I problemi fiscali sono molto complessi, ma è
essenziale far capire agli elettori le conseguenze della tassazione e
l’influenza delle decisioni economiche.