OCCORRE INVESTIRE SCOMMETTENDO SULL’AVVENIRE
Lei è stato fra i primi in Italia a lavorare il plexiglas e i
metacrilati, progettando e realizzando da quasi sessant’anni manufatti per
diversi settori dell’industria ed esportando nel pianeta la qualità e la
bellezza delle nostre produzioni artigianali…
Sono sempre stato convinto che per produrre qualcosa di unico
fosse necessario investire senza risparmio. I risultati non hanno tardato ad
arrivare. Sono trascorsi cinquant’anni da quando, il 2 ottobre 1967, ho aperto una
fra le prime aziende che produceva manufatti in plexiglas in Italia. La prima
sede è stata una stalla con ignari coinquilini, due vitelli che assistevano alle
mie produzioni, a Bologna, in Via di Barbiano 11, e qualche anno più tardi, nel
1973, ho costruito il capannone attuale sede dell’azienda. All’epoca, il
plexiglas era una novità assoluta e non c’erano scuole tecniche in cui imparare
le sue diverse applicazioni: occorreva fare molta esperienza e ciascuno si
arrangiava come poteva. Così, mi sono specializzato nell’incisione e ho
incominciato ad acquisire commesse che altri rifiutavano perché troppo
complicate.
All’età di ventidue anni, lei ha messo a frutto anche
l’esperienza maturata nelle lezioni serali delle scuole tecniche Aldini Valeriani.
Qual è la sua testimonianza di quegli anni?
Ho frequentato la scuola tecnica dal 1963 al 1965 e ho tratto
una lezione di grande serietà e professionalità da parte dei docenti di quel
periodo. Sono rimasto invece deluso quando, qualche anno più tardi, mi sono
recato dai miei vecchi professori per cercare un apprendista e ho visto i muri della
scuola imbrattati di scritte politiche e i soffitti quasi disfatti, gli allievi
stavano con gambe e piedi sui tavoli e leggevano giornalini politici. Nella scuola
era entrata la politica e con essa la rivoluzione culturale proletaria, lanciata
da Mao Zedong. Quando ho chiesto al mio ex professore Ruggero Ruggeri se poteva
indicarmi qualche allievo da assumere, mi ha risposto che, se qualcuno dei
docenti si fosse azzardato a dare suggerimenti, avrebbe trovato le gomme
dell’auto tagliate e i fanali rotti. Questo è ciò che è avvenuto in quegli
anni. Di conseguenza, ho preferito cercare come apprendisti i figli di
contadini, più disponibili a cimentarsi in diverse tipologie di lavoro tecnico
e capaci di ragionare con la propria testa, lavorando con le mani, cosa che
invece non avveniva più nelle scuole.
Oggi lei è rimasto fra i pochi in Italia a produrre manufatti in
plexiglas e sono tante le richieste che ricevete, non solo dall’Emilia Romagna…
Sono diverse le aziende che lavorano il plexiglas e il
policarbonato, ma chi riesce a produrre particolari di un certo livello tecnico
siamo ancora noi. Nella nostra azienda siamo specializzati nelle lavorazioni
tecnicamente più complesse non solo perché disponiamo di un’ampia gamma di macchine,
ma anche perché i nostri collaboratori hanno maturato un’esperienza di 20-25
anni. Serviamo aziende leader a livello internazionale con una varietà di
impieghi del plexiglas e dei metacrilati in generale non comune e siamo forse
gli unici in Italia a disporre di un’attrezzatura specifica per l’incollaggio
di questo materiale, in modo da offrire garanzie di qualità e durata del
prodotto. Non a caso riceviamo molte commesse da aziende milanesi che operano
nell’arredamento fra Mosca, New York, Dubai, Parigi e la Corea. Ma le nostre
produzioni sono da sempre molto richieste anche nel settore museale e in quello
biomedicale.
Per quanto riguarda il settore delle macchine automatiche, il
nostro contributo è al 90 per cento artigianale: le macchine automatiche devono
adattarsi in modo costante alle varie esigenze del consumatore finale, perciò ciascuna
di esse richiede finiture specifiche che possiamo produrre soltanto in modo
artigianale. In particolare, produciamo protezioni e componenti meccanici in
vari tipi di materiali plastici come plexiglas, policarbonato, nylon, teflon e
polietilene, che sono più leggeri rispetto ai componenti realizzati in metallo
e hanno maggiori garanzie di tenuta e elasticità. La fattura numero due è stata
intestata alla ditta G.D di Bologna, per la quale produco lo stesso componente
ormai da cinquant’anni.
E che cosa si prova a produrre sempre lo stesso articolo per
cinquant’anni?
Nel 1967, producevamo componenti specifici da montare sulle
nuove macchine per il packaging, adesso li produciamo per la loro manutenzione.
Questo vuol dire anche che da cinquant’anni quelle macchine sono ancora
funzionanti e che ho insegnato a tre generazioni di dipendenti a costruire per
venti giorni al mese sempre lo stesso articolo. E ancora oggi continuo a
inventare nuovi componenti e nuove forme da produrre in modo che altre macchine
continuino a produrre all’infinito.
Mi piace anche inventare elementi per oggettistica e arredamento
in generale. Se disegno e poi costruisco un tavolino, dopo un po’ ho bisogno d’inventare
un altro modello con un design innovativo. Nel “Museo Faraonico del Plexiglas”
– come lo chiamano alcuni amici –, ospitato nella sede, è possibile vedere
quello che abbiamo prodotto durante i cinquant’anni di attività.
Ma è possibile ammirare anche la macchina da lei progettata e
che è ancora operativa…
Quando ho avviato l’attività, non essendoci attrezzature per la
lavorazione del plexiglas, ho progettato la mia prima macchina che ho poi fatto
costruire nei primi mesi del 1968 e che mi è costata esattamente 980 mila lire.
All’epoca è stata una follia spendere quella somma, ma avevo risparmiato 600
mila lire e le altre 380 me le diede mio padre: era tutto quello che aveva nel
conto corrente. È proprio un pezzo unico perché l’ho progettata in modo che
fosse utilizzabile simultaneamente sia come tornio sia come fresa verticale e
orizzontale e sia come trapano. Funziona ancora e produce manufatti che con le
altre macchine a controllo numerico non riusciamo a fare.
I nostri clienti ci cercano per la qualità che offriamo e per la
precisione nelle consegne. In questi giorni ci ha commissionato alcune
produzioni un’azienda di Bologna che ha cercato in Italia qualcuno che
producesse un tipo di oggettistica di arredamento in plexiglas. Io ho prodotto
esattamente quello che l’architetto aveva progettato.
La triste realtà è che da alcuni anni, purtroppo, data la
situazione economica e politica italiana, specialmente per lo scarso sostegno
delle banche alle aziende e per i continui impedimenti burocratici creati alle
imprese dagli enti previdenziali, dalle aziende sanitarie locali,
dall’Ispettorato del Lavoro e anche dall’Intendenza di finanza, ho deciso di
portare quanto prima la sede dell’azienda all’estero, perché non è ammissibile
che un’impresa arrivi a pagare l’85-87 per cento di tasse sul proprio guadagno,
mentre a pochi chilometri dai confini nazionali offrono la possibilità di
aprire un’azienda con una tassazione che arriva al massimo al 25 per cento.
Oggi, siamo arrivati al paradosso che sono le banche con sede in altri paesi
che ci cercano, perché capiscono che un’azienda che opera da cinquant’anni in Italia
qualche merito lo abbia.
Cosa porta con sé Libero Faraoni di questi cinquant’anni di
attività?
Non ho rimpianti, perché ho sempre fatto quello che occorreva
senza lamentarmi, pur avendo attraversato diversi processi politico-sindacali.
A oggi, ho già racimolato dodici processi a mio carico, di cui undici vinti,
l’altro è in corso e, se occorrerà, proseguirà da parte mia in Corte di
Cassazione, dove peraltro ho vinto gli altri undici, sempre per la stessa
ragione: i procedimenti giudiziari sono condotti in modo grossolano e
impreciso, confondendo le ipotesi dell’accusa con le ragioni di diritto e
quindi negando la legge.
Questa prassi è la regola contro chi, in Italia, gestisce
un’azienda. Chi avvia questi procedimenti, prendendo lucciole per lanterne che
la Corte di Cassazione spesso rimanda al mittente, scommette sul fallimento
dell’impresa colpita dal procedimento giudiziario, tanto, anche quando
l’imprenditore vince la causa, è costretto a pagare le spese giudiziarie, dal
momento che nessuna delle istituzioni giudiziarie risponde dei danni arrecati all’impresa
e all’imprenditore.
E poi ci chiediamo perché in questo paese solo pochi temerari
azzardino l’apertura di aziende? L’imprenditore che decidesse di investire in
Italia deve mettere in conto anche di essere chiamato in tribunale quando non è
disposto a scendere a compromessi sindacali, fiscali e finanziari.
Quali virtù occorrono all’imprenditore che decide di investire
in Italia?
Innanzitutto, serietà e professionalità. Quello che costruisce
deve costruirlo in modo onesto, con professionalità effettiva. Questa è una
delle poche caratteristiche che oggi un imprenditore deve avere insieme alla voglia
di rischiare, perché l’imprenditore ha il compito di rischiare nel futuro.
Tutti sono capaci di progettare vedendo quello che c’è oggi, ma l’imprenditore non
può affidarsi a ciò che vede, deve rischiare puntando a quello che non si vede,
alla tecnologia che potrà essere utile nel futuro non oggi, perché oggi è già
passato. Perciò, occorre che valuti l’acquisto di una nuova macchina non per i
risultati che potrebbe dare oggi, ma per la possibilità che offrirà di
costruire qualcosa di duraturo nell’avvenire. La prima macchina che ho
progettato mi ha dato la possibilità di costruire tutto quello che ho oggi. Occorre
investire in qualcosa che non si limiti al presente, ma punti all’avvenire. Io
ho maturato la mia esperienza nel settore meccanico, incominciando come
meccanico di automobili, perciò quando vedo una nuova macchina in una fiera,
per esempio, penso già che potrebbe servire non per quello che ha fatto fino a
oggi, ma per costruire qualcosa di diverso nell’avvenire.