L’AVVENIRE COSTRUITO SULLA PAROLA E SULL’INCONTRO
In questi anni lei è testimone e narratore della vicenda della
siderurgia nel paese, settore di cui fa parte il Gruppo da lei fondato,
S.E.F.A. Holding Spa diversi decenni fa. Cosa è cambiato nel comparto dell’acciaio?
In Italia la produzione di acciaio è calata da quando, a seguito
dell’intervento della magistratura nel caso Ilva e degli echi sui media, si è
diffusa l’ideologia che la produzione di acciaio sia dannosa per l’ambiente,
anziché essere indice della prosperità del paese. Ancora una volta, l’alto
costo degli errori della politica è stato pagato dall’impresa, prima, e dai
cittadini, poi. Il risultato è che, oggi, la maggioranza dell’acciaio che
arriva in Italia viene da produzioni estere, con grande vantaggio dei paesi esportatori, come Corea, Cina e
Turchia, che rispondono alla domanda di acciaio, ancora attiva sebbene
diminuita, del settore manifatturiero. In Europa, l’Austria ha ancora solide
basi nel settore, poi seguono per importanza anche le produzioni francesi e
tedesche. La Svezia è invece leader negli acciai speciali, con la Uddeholm, che
noi rappresentiamo. Si noti che l’azienda svedese è costruita nel mezzo della
foresta e nessuno si è mai sognato di farla chiudere con l’accusa d’inquinare
l’ambiente. In quel paese hanno capito che un’azienda siderurgica si può
trasformare, ma non è possibile pensare che possa chiudere per poi riaprire
come se niente fosse, come è accaduto all’Ilva e in altri impianti italiani –
nella maggior parte oggi dismessi –, perché equivale a farla fallire.
L’impressione è che l’Italia vada nella direzione di una
drastica riduzione della produzione industriale...
È proprio così, perché le categorie che governano il paese non
producono e vivono di rendita. La produzione industriale in Italia è
considerata come un fastidio: il modo in cui è trattato il comparto dell’auto
ne è un esempio, così è per la siderurgia che fornisce il settore automobilistico.
Negli ultimi anni, gli investimenti sono stati rivolti al settore finanziario oppure
al mattone, perché sembravano garantire introiti più immediati. Oggi, però, ci
troviamo il 30 per cento delle case vuote e dobbiamo darle agli
extracomunitari. Non abbiamo pensato invece a cosa dare ai nostri figli, i
quali, peraltro, più che di una casa, hanno bisogno di un lavoro, di una
missione, di una cultura che consenta loro di acquistare anche la casa e di
contribuire alla storia di questo paese. La nostra generazione ha privato i
propri figli di queste opportunità.
Stiamo perdendo la tradizione manifatturiera della siderurgia,
che conta migliaia e migliaia di persone. A Bologna abbiamo industrie di eccellenza
a livello mondiale, grazie anche all’apporto della subfornitura qualificata, ma
non è la riuscita di un comparto che decide il rilancio industriale dell’Italia.
Questo rilancio può essere attuato attraverso una strategia industriale di
lungo periodo a partire dalla siderurgia italiana.
Nel suo recente viaggio in Israele, lei ha potuto constatare gli
effetti di una valida strategia di sviluppo industriale...
In Israele, mi hanno colpito positivamente la vitalità e la
dinamicità dei giovani, e non solo. Ciascuno si sente partecipe di un progetto
per la crescita del paese perché ha ben chiaro che corrisponde alla propria
riuscita. Gli israeliani sono molto orgogliosi del loro deserto, che
considerano una ricchezza perché sta diventando metro per metro terra
coltivabile.
L’immigrazione di operatori qualificati è incoraggiata perché il
paese ne ha bisogno e chi arriva sa che deve dare il meglio, altrimenti non ha
diritto a restare. L’obiettivo è costruire il paese, e quindi case e fabbriche,
e nessuno si lamenta. Poi hanno altri problemi, ma resta chiara l’esigenza di
edificare un bel paese, in cui vivere con dignità. In appena 40 chilometri quadrati
si possono vedere 1500 gru che costruiscono in ogni dove, con tutti i servizi
più qualificati.
In Italia, invece, i cittadini sono sfiduciati e preoccupati
perché non hanno prospettive lavorative, con la certezza che comunque
arriveranno cartelle esattoriali e, anche quando è emanata una legge che sembra
favorirli, spesso si traduce in nuove insidie burocratiche. Poi qualcuno si
chiede perché il 40 per cento degli elettori non vada a votare. A Bologna occorrono
sei mesi soltanto per avere una licenza. È una società stanca e demotivata, in
cui l’imprenditore deve essere traino delle attività della città.
Qual è l’avvenire della S.E.F.A. Holding?
Noi stiamo avviando l’internazionalizzazione della nostra
consociata TIG, perché commercializza un prodotto all’avanguardia come il
titanio, necessario in settori specifici come il racing, l’aeronautico e il
medicale. Abbiamo la nostra tabella di marcia e concluderemo l’anno come da programma,
forse anche meglio. La nostra clientela ci stima e scommette su di noi, tutti i
giorni vengono a fare acquisti in S.E.F.A. e anche i clienti di vecchia data
ritornano per l’acquisto dei nostri prodotti. Inoltre, abbiamo in atto
l’inserimento di un venditore e un nuovo progetto con altri imprenditori che si
tradurrà in un vantaggio anche per il territorio.
I nostri investimenti sono concentrati da due anni e mezzo
nell’ammodernamento tecnologico delle macchine utensili delle nostre aziende e
nel 2018 ne amplieremo ancora la gamma. Abbiamo messo a disposizione la nostra
capacità tecnica e la nostra cultura con investimenti mirati perché i nostri
clienti lavorino meglio e siano più competitivi sul mercato.
Non siamo più soltanto fornitori di materia prima, ma anche di
servizi che i clienti chiedono in modo assiduo, per cui non dobbiamo deludere la
loro fiducia. Il compito dell’uomo è di migliorare sempre e tutto questo lavoro
sarà utile per consegnare ai nostri figli l’avvenire con un patrimonio culturale
costruito non su algoritmi, ma su uomini che investono nella parola e
nell’incontro di qualità, prima di tutto.