SALVATORE D’ADDARIO: L’EVOLVERSI DEL SEGNO

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ricercatore, dirigente di struttura sanitaria, membro dell’Associazione culturale Progetto Emilia Romagna

Il 10 agosto scorso si è tenuto un convegno di grande rilievo a un anno dalla prematura scomparsa di Salvatore D’Addario. Organizzato da Olga Priel, a Camerano (AN), città di residenza e di prevalente lavoro del maestro, il convegno ha ospitato l'intervento di autorità, lettori e critici d’arte, artisti e la mia testimonianza rispetto alla lunga e intensa collaborazione del maestro con la casa editrice Spirali.
Salvatore D’Addario, fin da giovanissimo, ha mostrato un grande e precipuo interesse per l’arte. Ha frequentato l’Istituto Statale d’Arte di Ancona, dove poi ha sempre insegnato. Per lui non è mai stato tanto importante lo studio in senso accademico o nozionistico, ma come formazione, con l’apporto fondamentale, oltre che dell’insegnamento di Alberto Burri, del ricchissimo ambiente artistico marchigiano, con maestri come Pericle Fazzini, Edgardo Mannucci, Ivo Pannaggi, e con il retaggio di Osvaldo Licini. Dal 1970 è stato invitato a esporre le sue opere pittoriche in numerose mostre in Italia e all’estero e, intanto, ha realizzato edizioni d’arte e cartelle di grafica per artisti come i citati maestri, ma anche per Remo Brindisi, Virgilio Guidi, Mimmo Rotella, Umberto Mastroianni e per molti altri. Procedendo nel suo itinerario, la sua arte si è individuata in modo sempre più preciso in direzione della scultura, in particolare di quella del segno, e dell’architettura, con l'allestimento d’installazioni di riconosciuto grande valore, custodite in siti di prestigio.
Già nel 1984, Guido Montana, che dagli inizi degli anni Sessanta dirigeva la rivista “Arte oggi”, scriveva di D’Addario: “L’artista traccia segni elementari adeguandoli a uno spazio strutturale, in cui sono presenti elementi di equilibrio scenico, valenze cromatiche, spessori materici e via dicendo. Potremmo parlare di un iter grafico e plastico coagulato in tracce e riquadri, che assumono visivamente l’illusione di una topografia ridotta a uso dell’idea estetica. Non c’è simbologia evidente, né ridondanza pittorica, ma piuttosto un rapporto plastico con la superficie del quadro che è al limite della dissacrazione. Si ha la sensazione, infatti, che D’Addario introduca elementi ludici e ‘distratti’ per interrompere il possibile rigore della superficie; come se a un certo punto mettesse in parentesi la tentazione della gratuita bellezza del fare pittorico, l’ordine compiuto e il dato esemplare del processo segnico”.
Per D’Addario cultura e arte sono sempre state inscindibili, dunque, il suo viaggio si è svolto nell'integrazione fra cammino artistico e percorso culturale. La sua è arte che giunge a qualità in quanto s’intrattiene in una relazione con l’assoluto e procede dalla scena. Salvatore D’Addario ha sempre attribuito importanza alla scena per l’esposizione delle sue opere, sia in gallerie tradizionali sia in luoghi molto particolari, come le suggestive grotte di Camerano e l’antica chiesa di san Francesco della città – dove è in corso l’attuale mostra L’evolversi del segno, curata dal figlio Luigi –, o la splendida Villa san Carlo Borromeo a Senago (MI), dove ha esposto in mostre quali Il ritratto. Le radici artistiche e culturali dell’Europa (2005), La scuola di Roma (2005), Donne (2006), Il bello, l’arte, la scrittura. L’Europa, la Russia, la Cina, il Giappone (2007) e L’incarnazione del colore e la scrittura della luce (2007).
L’itinerario culturale che ha avuto grande influenza nella produzione artistica del maestro D'Addario si è avvalso anche degli incontri alla Villa san Carlo Borromeo con altri maestri come Sandro Trotti, Antonio Vangelli, Enzo Nasso, Antonio Vacca, Saverio Ungheri, Alfonso Frasnedi, Marco Castellucci, Ferdinando Ambrosino e Roberto Panichi, nonché dell'incontro con l'editore Armando Verdiglione. Proprio come avveniva nelle botteghe rinascimentali, si è instaurato un laboratorio intellettuale, in cui ciascuno di questi artisti ha offerto con generosità elementi di una formazione specifica, ma ha potuto anche riceverne e restituirli poi in qualità, attraverso nuove opere, senza che la teoria sia mai venuta meno. All'itinerario intellettuale degli artisti ha giovato anche l’adiacenza con l’Università internazionale del secondo rinascimento per l'apporto essenziale che la cifrematica, la scienza della parola, dà all'arte e all'artista, dissipando il pregiudizio secolare che considera l'artista senza la parola. Per questo, gli artisti del secondo rinascimento si sono cimentati anche con la scrittura propria o di autori delle loro monografie e di saggi intorno alle loro opere, pubblicate con Spirali. Di Salvatore D’Addario ricordiamo la monografia Stenografia del piacere. La lettura della civiltà (2007) e il libro d’arte Giambattista Tiepolo, Salvatore D’Addario (2006), a cura dell'intellettuale e scrittore Francesco Saba Sardi. Questo periodo molto fecondo ha avuto il suo acme nella mostra Tesori dell’Italia, svoltasi in Cina presso la Chongqing Planning Exhibition Gallery, a Chongqing, nel 2007, che esponeva oltre trecento opere dei maestri del secondo rinascimento, comprese quelle del maestro D’Addario.