LA RIVOLUZIONE DELL'IMPRENDITORE
A
proposito del tema di questo numero della rivista La realtà intellettuale,
la trasformazione in atto esige che l’imprenditore non si limiti al ruolo
tradizionale di colui che organizza uomini e beni. Quanto conta il suo
approccio nello svolgimento delle proprie funzioni, soprattutto in un momento
in cui le nuove tecnologie suscitano nuove paure per gli effetti che potrebbero
avere sull’occupazione…
Per
l’impresa intellettuale la trasformazione incessante è la condizione stessa
della propria esistenza: l’imprenditore, non appena porta a termine la messa a
punto di un nuovo processo e ne constata il funzionamento, riparte a
riprogettarne qualche miglioramento, a volte tecnologico, altre volte
semplicemente logistico.
Nessun
imprenditore può sottrarsi all’esigenza d’introdurre nuove tecnologie per
aumentare la produttività, tuttavia, oggi più che mai, non può limitarsi a
misurarla in termini di MOL (margine operativo lordo) nel conto economico, ma
deve puntare sempre più ad alimentare la produttività intellettuale delle
persone. E deve cogliere anche le occasioni che sembrano più lontane da tale
scopo. Nella nostra azienda, per esempio, di recente, per far fronte alla
consegna di una commessa urgente, abbiamo assunto due persone a tempo
determinato: per otto ore al giorno, dovevano lavorare a una troncatrice per
predisporre un numero elevato di componenti meccanici ai test richiesti dal cliente.
Quando l’azienda cliente ci ha comunicato che ci avrebbe affidato quei test
almeno per un anno, abbiamo deciso di acquistare una macchina per l’automazione
di quella funzione. Di primo acchito, si poteva pensare che non avessimo più
bisogno di quelle due persone, in realtà, le abbiamo confermate, migliorando la
loro posizione lavorativa: sono passate da un compito pesante e ripetitivo, come
quello di tagliare pezzi con una troncatrice, a una funzione di governo di
un’apparecchiatura automatica, che esegue la lavorazione in modo molto più
rapido e preciso. Quindi, oltre a migliorare la produttività in termini di
produzione e fatturato, abbiamo trovato il modo per aumentare le competenze di quelle
due persone, che oggi possono considerarsi parte di un processo di
trasformazione dell’azienda, che investe in nuove tecnologie e dà loro la
responsabilità della gestione e della manutenzione di apparecchiature costose,
anziché relegarli nel ruolo di meri esecutori. Oltre a non avere eliminato
alcun posto di lavoro, l’investimento in tecnologia ha contribuito a offrire un
servizio migliore sul mercato e quindi ad attrarre nuovi clienti: da qui
l’esigenza di acquistare una nuova macchina automatica che comporta nuovo lavoro
per chi la costruisce, per chi la controlla, e così via. Questo però richiede
un venir meno delle paure e forse sta qui la vera rivoluzione dell’imprenditore,
nel fatto che non limiti la crescita all’acquisizione di nuova tecnologia, che
è solo una parte della trasformazione che avanza, nelle imprese come in altri
ambiti della società. L’altra parte, la più importante, deve farla l’uomo, nel
suo modo di lavorare, d’intendere il proprio posto di lavoro non solo come compito,
ma anche come contributo alla società e come valorizzazione del proprio talento
e della propria formazione.
Questo
richiede una vera rivoluzione culturale…
Non
so se chiamarla rivoluzione o soltanto un modo d’intendere il proprio compito
d’imprenditore. Tuttavia, per ottenere risultati rilevanti nel conto economico,
indispensabili per la prosperità dell’azienda, l’imprenditore deve gettare lo
sguardo molto al di là, deve interessarsi del patrimonio intellettuale
dell’azienda. È un peccato che non ci sia ancora un metodo di rendicontazione
del capitale intellettuale, in modo da essere considerato a tutti gli effetti
uno degli argomenti di discussione del Board, fino ad arrivare ad avere una bilancia
per dare la misura dell’incidenza del capitale intellettuale sul conto
economico. Purtroppo, invece, ancora oggi si considera la cultura tutt’al più
come quell’area a cui destinare le briciole dell’investimento destinato a
settori considerati più rilevanti, perché i risultati del capitale intellettuale
sono intangibili. Eppure, l’informatica avrebbe dovuto abituarci agli effetti
di cose intangibili e invisibili come un virus in grado di bloccare migliaia di
computer e mettere in ginocchio intere economie.
La
vera rivoluzione dell’imprenditore starebbe nella capacità di prestare maggiore
attenzione al patrimonio intellettuale del proprio collaboratore nel suo
complesso, che concerne sia le competenze che mette a disposizione dell’azienda
sia la cultura che coltiva al di fuori di essa: ciò che legge, le mostre che
visita, la musica che ascolta, i corsi che segue. Una maggiore focalizzazione in
questo senso potrebbe avere risultati straordinari nella produttività e nella
qualità del prodotto, che sono cose misurabili.
Quante
sono le cose che non si vedono e non si toccano, ma fanno parte di noi e dei
nostri collaboratori e hanno effetti decisivi nella nostra vita e in quella
dell’azienda? Pensiamo agli effetti della mancanza di fiducia: la fiducia non è
qualcosa che si vede, eppure, l’imprenditore deve combatterne la mancanza
proprio come fa con i virus dei computer, perché il progetto e il programma dell’impresa
esigono un gioco di squadra, alla cui base devono esserci entusiasmo e fiducia.
Un
imprenditore può investire in tutte le macchine e le tecnologie più avanzate,
ma questo di per sé non garantisce la riuscita, deve anche assicurarsi che i
collaboratori intendano la portata dell’investimento per la scommessa
dell’avvenire, e da ciò trarre fiducia per dare il loro massimo apporto. Questo
processo culturale è indispensabile per accogliere la trasformazione, anziché
ostacolarla, però esige un investimento sul capitale intellettuale. Questa è la
grande sfida che come imprenditori dobbiamo affrontare: la fiducia nella trasformazione
è ciò che farà la differenza.