LA BOTTEGA DELL'INNOVAZIONE
Intervista di Anna Spadafora
Eurolab è un centro tecnologico d’eccellenza indipendente per prove e ricerche sui materiali. A quali settori si rivolge e quali servizi offre?
Eurolab si rivolge a tutte le aziende che nel loro ciclo produttivo utilizzano materiali metallici, polimerici e processi legati a tali materiali, nei settori più disparati: dall'automotiv ai trattamenti superficiali sui metalli fino alle protesi ortopediche realizzate in acciaio inossidabile, o in titanio, o con rivestimenti particolari. Tra i nostri clienti annoveriamo, per esempio, la General Electric, che produce impianti per l’estrazione del petrolio e del gas naturale, o aziende che fanno lavorazioni speciali per Ferrari gestione sportiva. Per fare un esempio dei nostri servizi, le aziende produttrici di protesi ortopediche ci portano le protesi quando si rompono per capire come mai sia successo il disastro. E in effetti, quando una protesi si rompe all’interno di un paziente, è sempre un disastro. Il nostro contributo consiste nel capire perché si verifica questo evento traumatico sul materiale e fornire informazioni e modalità operative perché non si ripeta più. Attualmente, superiamo i 2500 clienti, che si possono dividere in tre categorie. Quelli occasionali si rivolgono a noi in caso d’incidenti. Un’altra categoria è costituita dai clienti che ci chiedono di analizzare prototipi e processi, in modo da prevenire le rotture in esercizio. Una terza categoria è costituita da aziende che cominciano a pensare ai servizi di prove e di engineering sui materiali in outsourcing. Prima a iniziare è stata General Electric, seguita a ruota dalla Ducati e da altre aziende con un management di formazione statunitense. Questi clienti ci consentono di capire bene le loro esigenze ed essere in grado di fornire un servizio che apre la strada a una collaborazione proficua. A questo livello diventiamo un partner tecnologico dell’azienda cliente.
È molto più interessante anche per la ricerca…
Sì, anche se la ricerca in Eurolab è spesso a livello industriale nel brevissimo termine e non deve confondersi con la ricerca su materiali innovativi che può durare mesi ed è di pertinenza delle università, o delle stesse aziende. Il nostro compito è sollevare queste aziende dalla ricerca di routine. Questo però è difficile da fare capire all’imprenditoria locale, soprattutto di prima generazione, che considera le prove di laboratorio unicamente un costo, da sostenere solo nei momenti di emergenza. È un po’ come andare dal medico solo quando si sta male, anziché andarci per prevenire eventuali disturbi. Ovviamente, non auguriamo a nessuna azienda di avere prodotti che si rompono, si danneggiano o si corrodono in esercizio, tuttavia, nel caso dovesse accadere, sa che c’è chi può determinarne le cause anche in tempi rapidissimi. Allo stesso modo, nessun ortopedico augura che ci sia chi si rompe una gamba, però a chi accade fa piacere sapere che c’è un bravo ortopedico. Da impresa familiare a impresa manageriale, quali sono in Eurolab i dispositivi in atto per attuare il programma aziendale? Credo che fondamentalmente chi dirige l’impresa debba chiarire con se stesso il gioco che sta giocando, cosa vuole fare, perché esiste questa impresa, che visione ha avuto del mercato e che risposta vuole che l’impresa dia al mercato? Poi, deve darsi dei valori che deve sentire veramente forti e irrinunciabili: “Voglio fare questo business ma non a tutti costi. Con che valori?”. E poi questi valori devono essere condivisi dal personale, fino al punto che se qualcuno non li condivide deve trovarsi un’altra impresa nei cui valori si riconosca. Questo è il momento attuale che stiamo vivendo. Poi, per trasmettere al personale questi valori, dobbiamo avere all’interno dell’azienda alcuni elementi di fiducia, i capi sezione dovranno aiutarci a fare da ponte fra la direzione e il resto del personale. Non è semplice far capire a tutti che l’impresa è certamente qui per fare il proprio interesse – come tutte le altre imprese –, però non siamo disposti a fare questo in tutti i modi, deve esserci etica e in questa visione etica devono esserci vantaggi anche per chi lavora per noi. Vantaggi economici, nel senso di riconoscere quando i collaboratori permettono d’incrementare i fatturati, ma anche nel modo di vivere all’interno dell’azienda, un luogo in cui trascorriamo veramente tante ore al giorno. Nel Rinascimento la bottega era fucina di invenzioni incessanti. Secondo lei, c’è oggi la chance che un centro tecnologico divenga sempre più bottega, dove ciascun collaboratore sia lavoratore di cervello, condivida il progetto d’impresa da protagonista, anziché da dipendente? Questo da noi è fortemente stimolato, perché dobbiamo per forza essere innovativi, dobbiamo essere prontissimi a seguire le imprese non appena hanno un nuovo materiale o prodotto, dobbiamo diventare immediatamente esperti. Ora, se tutto il personale, o almeno i capi sezione, non sentono questa missione come propria, se non sono liberi di portare avanti loro idee, di proporre nuove tecniche di controllo, non andremo da nessuna parte. È curioso vedere come questa capacità del tecnico di guardare avanti non dipenda in alcun modo dal titolo di studio, ma da predisposizioni individuali. Ci sono periti che vanno a fare dei corsi e tornano a casa con un bagaglio culturale migliorato e il giorno dopo propongono, per esempio, di organizzare un controllo in modo differente e più interessante per il cliente. Quindi, c’è uno stimolo continuo alla crescita. Questo ci porterebbe, se fosse stato possibile, a realizzare il laboratorio su rotelle, perché tutto è in continuo divenire, le cose non stanno ferme. E noi vogliamo seguirle continuamente. A volte forse diamo l’idea del disordine, ma anche le botteghe del Rinascimento erano un po’ disordinate. Forse in un ordine estremo la creatività muore, sparisce. Nel nostro laboratorio ce la vedo un po’ la bottega, perché forse nella bottega c’era sì il grande maestro, ma a volte anche il garzone si divertiva a dipingere la mosca sul naso nel quadro e nel gioco nascevano cose importanti.