MURI O PONTI PER L'IMMIGRAZIONE?

Qualifiche dell'autore: 
esperto di difesa e sicurezza

L’immigrazione fa parte della storia. Grazie alle migrazioni la civiltà si è evoluta e sono state fondate intere nazioni. Quella proveniente dall’Africa non è qualcosa di nuovo e non è qualcosa che finisce, se pensiamo che l’anno scorso, a sud del Sahara, secondo le Nazioni Unite, c’era una popolazione di 962 milioni di abitanti, nel 2026 sarà di 1,2 miliardi e nel 2036 di 1,7. E nei prossimi vent’anni, soltanto la componente maschile tra i venti e i quarant’anni aumenterà di duecento milioni a sud del Sahara, mentre le risorse economiche andranno a diminuire.
Oggi l’argomento è molto affrontato o in modo dogmatico o per slogan: si parla di muri, si parla di ponti. Questo approccio è dovuto a un senso di panico, che non dipende dall’immigrazione in sé, ma al fatto che si ritiene che l’autorità costituita sia incapace di gestire il fenomeno migratorio. Che sia capace o incapace è irrilevante, basta la percezione dell’incapacità a farci sentire la paura e a portarci a vedere questo fenomeno in bianco e nero, ponti o muri. Io ero un ufficiale del genio civile e so che il muro, la difesa, è sempre stato superato dall’inventiva di chi voleva superarlo. Il muro ha bisogno dell’uomo con il fucile, ma l’uomo con il fucile non basta. Il muro deve essere difeso dalle leggi e dalla capacità della nostra magistratura di farle rispettare. Ma, poiché la nostra magistratura non è quella spagnola o quella australiana, scarterei l’idea del muro.
La soluzione è invece il ponte. Il ponte, per reggersi, deve avere un punto di arrivo e un punto di partenza. Allora, occorre un ponte, ma non aperto in qualsiasi direzione, occorre un ponte diretto a un’immigrazione che certamente è inevitabile, ma che deve essere scelta sulla base delle esigenze del paese ricevente. Occorre un ponte in direzione di quelle popolazioni e di quelle zone verso cui abbiamo più affinità o obblighi. Noi abbiamo obblighi storici nei confronti dell’Eritrea e della Somalia, dove la popolazione è cresciuta assimilando una cultura italiana, anziché nei confronti dell’Africa sub sahariana, che è ex-colonia francese.
L’incapacità di compiere un tentativo di controllare e di gestire l’immigrazione, in modo da indirizzarla il più possibile, aumenta la percezione che l’autorità non sia capace di gestire questi eventi, per cui la gente non si sente sicura. E questo è problematico, perché può portare a fenomeni di rigetto e sindrome da invasione, che sono pericolosi per molti aspetti.