L’EURO: RIFLESSIONI E PROPOSTE

Immagine: 
Qualifiche dell'autore: 
professore ordinario di Filosofia della politica, Università di Bologna

La tesi proposta fin dai primi saggi, cioè dal 2001, del libro di Tomaso Freddi, Quindici anni di riflessioni sull’euro (Pendragon), è che le condizioni economiche, industriali e politiche dell’Italia ci avrebbero messo in una condizione di svantaggio rispetto ad altri paesi europei che avevano aderito all’euro e che questi svantaggi non sarebbero diminuiti con la nostra adesione. I suoi avversari intellettuali opponevano a questa argomentazione l’idea che l’ingresso nell’area dell’euro ci avrebbe costretto a fare quelle riforme che noi italiani non siamo mai stati capaci di fare da soli. Freddi obiettava che noi italiani abbiamo sempre avuto questo vizio di contare sull’aiuto degli stranieri, ma che era sbagliato pensare che le costrizioni dell’Unione europea ci avrebbero portato a fare in pochi anni quello che non siamo riusciti a fare per decenni, anzi per secoli. Come esempio, Freddi indicava che in questi centocinquant’anni non siamo riusciti a risolvere il problema della situazione d’inferiorità economica del meridione rispetto al settentrione d’Italia. E noi italiani siamo proprio come il meridione d’Europa e, se in centocinquant’anni non siamo riusciti a risolvere quel problema, come pensiamo di riuscire a risolvere i problemi dell’Italia in pochi anni soltanto sulla spinta dell’Unione europea? Un ragionamento per analogia che funziona: quindici anni di euro gli stanno dando perfettamente ragione.
Due, scrive Freddi, sono stati gli errori dell’Italia nell’affrontare i problemi del meridione: il primo, quello di volere imporre soluzioni dall’alto – abbiamo assistito a interventi diversi (incentivi, aiuti statali), ma sempre imposti in maniera dirigistica –; il secondo difetto è stato quello di avere una moneta unica in Italia, che non ha permesso al Sud sottosviluppato di usare la svalutazione o altri strumenti per diventare più competitivo rispetto al Nord. Questo rimane un problema ancora oggi, perché Freddi, che ha l’esperienza dell’imprenditore, nota che tante industrie del nord Italia trovano conveniente rilocalizzare in zone remote d’Europa o del mondo, dovendo affrontare così problemi linguistici, culturali e politici, quando sarebbe stato molto più comodo aprire una sede nel sud dell’Italia. Ma il fatto che le gabbie salariali non esistono più, che ci debba essere questa uniformità salariale e monetaria imposta dall’alto, non consente questa soluzione.
Tomaso Freddi, da vero liberale, ritiene che il dirigismo statale non abbia mai funzionato e non funzionerà mai a livello europeo. Nota che la burocrazia o i governanti europei, invece di affrontare i problemi nella maniera corretta, identificando le questioni che tutti noi consideriamo come nostri problemi (disoccupazione, immigrazione, difesa delle frontiere e così via), si sono occupati di aspetti marginali, come la lunghezza delle banane o il diametro dei cetrioli. Questo avviene perché è molto più facile affrontare un problema piccolo invece di un problema serio, grande e comune, e anche perché in questo modo si favoriscono le piccole lobby locali o i piccoli nazionalismi.
Secondo Freddi – e io concordo con lui –, noi europei, nella nostra diversità, condividiamo però alcuni valori e alcuni problemi fondamentali. Sarebbe stato corretto partire dalla base, invece di imporre dall’alto una visione d’Europa, con la conseguenza, tra l’altro, di creare, in aggiunta alla classe burocratica dei singoli stati, una classe burocratica europea, che produce ben poco, oltre a essere super pagata. Un errore che noi italiani abbiamo accettato supinamente è stato quello di pensare prima a un’unione economica e poi a un’unione politica dell’Europa. Sarebbe stato più giusto unire l’Europa politicamente su alcune grandi questioni e, soltanto dopo, introdurre una moneta unica. E in questo caso, questa è una riflessione aggiuntiva di Freddi, noi abbiamo anche sbagliato a entrare immediatamente, anche se eravamo impreparati a farlo: avremmo dovuto, invece di entrare subito e sperare di fare le riforme dopo, accettare di entrare soltanto nel momento in cui avessimo fatto alcune fondamentali riforme strutturali, come ha fatto la Germania. Questo ha comportato che noi ci trovassimo, già nelle previsioni di Freddi dell’inizio degli anni Duemila, in questa situazione di svantaggio iniziale, che, se prendiamo la storia del meridione d’Italia come esempio, ci porterà sempre più a peggiorare. E, cioè, la previsione di Freddi era che non avrebbe funzionato, che non saremmo stati in grado di fare quelle riforme strutturali per andare oltre il nostro gap iniziale. Anzi, l’euro, la moneta unica, non consentendoci di svalutare, ci porterà a peggiorare questa situazione.
La svalutazione, se interpretata correttamente, non è un sotterfugio, un escamotage usato dai governanti per pilotare l’economia, perché, l’esperienza insegna, i governanti non riescono a pilotare il cambio monetario. Possono farlo soltanto in maniera transeunte, come ha fatto sciaguratamente il Governo Amato, con l’avallo di Ciampi nel 1992, bruciando 60 mila miliardi di lire, per poi arrendersi al fatto che i mercati andavano in tutt’altra direzione. Quindi, la svalutazione va invece intesa correttamente, secondo Freddi, come il riflesso della differenza tra il potenziale economico di una nazione e quello di un’altra. La svalutazione riflette l’alterazione dell’equilibrio di una nazione rispetto alle altre, non è imposta dall’alto. Il politico accorto dovrebbe arrendersi di fronte all’evidenza e non, invece, cercare d’impedirla.
Vorrei concludere con una proposta, avanzata da Freddi già tre anni fa, che non mi trova del tutto convinto, ma che trovo molto interessante: introdurre una moneta parallela soltanto per la circolazione interna all’Italia. Questa moneta (chiamiamola lira o con qualunque altro nome) verrebbe usata per le nostre transazioni interne, come stipendi o pensioni, tenendone monitorata in maniera veramente precisa la massa monetaria, perché in questo modo si eviterebbero grandi differenziali nel cambio con l’euro. Secondo Freddi, il vantaggio di questa misura – anch’io concordo con questo – sarebbe quello di consentirci di riprenderci quella competitività che la mancanza di svalutazione ci ha tolto. Vorrei aggiungere che questo ci consentirebbe anche di usare questa moneta interna per sanare alcune situazioni. Per esempio, rispetto alla nostra popolazione, nel nostro paese c’è un numero sproporzionato di pensionati, che sono andati in pensione poco oltre i quarant’anni e che, con le aspettative di vita odierne (85 anni per le donne e più di 80 per gli uomini), rischiano di essere pagati per quarant’anni. Con una doppia circolazione monetaria, si potrebbe rimediare al fatto che queste persone hanno pagato un numero di contributi irrisorio rispetto a quello che verrebbero a prendere di pensione.
Io trovo questa idea ingegnosa e interessante e penso che risolverebbe alcuni problemi in Italia, anche se sono più scettico di Freddi sulla capacità e sulla qualità dei nostri uomini politici. Penso che una misura di questo genere potrebbe ridursi, da parte degli uomini politici italiani, a un modo per privare gli italiani – che, com’è noto, formano uno dei popoli con i più alti tassi di risparmio al mondo – di parte del loro risparmio. In altre parole, se l’ipotesi di Freddi è di avere un 20 per cento di circolazione parallela, temo che questo si ridurrebbe alla maniera di sottrarre un 20 per cento dei risparmi degli italiani in euro e, tra l’altro, trasformarli in una moneta che vale soltanto per la circolazione interna.