L’ITALIA E LA SUA MONETA

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presidente di Margotta Srl e di Lavoropiù Spa, Bologna

Chi ha letto il mio libro, Quindici anni di riflessioni sull’euro (Pendragon), potrebbe pensare, a torto, che io sia antieuropeista. Non sono contro l’Europa, anche se la vorrei, come auspicava Carlo Cattaneo, d’impronta federalista. L’Unione europea è stata messa in crisi non dagli antieuropeisti, bensì dall’euro, perché quando in un unico mercato, con una moneta unica, operano stati o aziende con diversa efficienza, se il mercato è libero, chi non è in grado di offrire un prodotto o un servizio in concorrenza con gli altri, con il tempo, scompare. Quindi, è del tutto ovvio il divario che si è prodotto in un mercato come quello europeo, pensato libero, con un’unica moneta, tra due entità economiche come la Germania e l’Italia, così diverse dal punto di vista dell’efficienza, non dico della produttività. Lo squilibrio tra Italia e Germania non è riscontrabile nel manufacturing, poiché quello dell'industria italiana non è inferiore a quello dell’industria tedesca, ma dipende da altri motivi fra cui il peso della burocrazia e la lentezza e incertezza della giustizia, per cui lo scarto tra i due paesi sta peggiorando sempre più.
Prima dell’euro, quando il differenziale tra i due paesi cresceva troppo, ogni otto-dieci anni l’Italia doveva ricorrere alla svalutazione e i dati si riallineavano. Quando intervenne la moneta unica non si poté più svalutare, anche se all’inizio non sembrava un problema: con l’euro abbiamo avuto vantaggi immediati, abbiamo potuto accedere al credito pagando interessi internazionali più bassi di quelli che avremmo dovuto pagare se quel debito fosse stato sostenuto da noi italiani o dalla Banca d’Italia. Poi, quando è intervenuta la crisi, è emersa la realtà. La nostra situazione è ancora quella del 2001, anzi, è peggiorata. E se l’Europa corresse in aiuto dell’Italia, com’è accaduto tra il nord e il sud dell’Italia, avremmo effetti controproducenti: nel momento in cui il debole è aiutato perde la spinta per tenere il passo, per migliorare quel che può migliorare. Pensiamo, per esempio, al reddito di cittadinanza nelle forme in cui viene proposto: chi si accontenta di prendere 700 euro al mese, perché, poi, dovrebbe darsi da fare più di tanto?
Quindi, l’euro ha arrecato un danno al nostro paese e la situazione è bloccata, non possiamo andare avanti così. Tuttavia, uscire dall’euro sarebbe un salto nel buio: in quindici anni di euro tutte le strutture produttive ed economiche si sono modificate, nessuno è in grado di sapere esattamente quante cose sono cambiate e come si sono equilibrate. Inoltre, se uscissimo dall’euro per tornare a una moneta unica nazionale, non riusciremmo a fronteggiare i tanti impegni che abbiamo preso in euro.
Allora, l’idea sarebbe quella d’incominciare gradualmente con una moneta nazionale che abbia circolazione soltanto interna, senza il coinvolgimento dell’Europa: se lo Stato italiano fa un debito con la Banca d’Italia con questa moneta, s’indebita con l’Italia, non nell’ambito di un’Unione europea che non lo consentirebbe, perché i tedeschi non vogliono pagare i nostri debiti. E almeno, con questi soldi, potremmo riavviare l’economia, magari incominciando a finanziare qualche opera pubblica (l’Italia non va a picco per la corruzione, ma per la paralisi), più che a pagare nuovi stipendi a nuovo personale.
Con una moneta nazionale, che potremmo chiamare, per esempio, “scudo”, i rapporti interni tra salari e merci non cambiano. I beni importati, tra cui l’energia, diventano più costosi, ma s’incrementano le nostre esportazioni. D’altra parte, diventando più cara l’energia d’importazione, il mercato ci spingerà a consumare meno energia proveniente dall’estero. Intervenendo in modo intelligente, si avvierebbero nuovi equilibri. Se lo Stato, per sostenere questa moneta, stabilisse che l’IRAP può essere pagata in scudi, se lo scudo ha perso un 5 per cento rispetto all’euro, pagando con gli scudi avremmo uno sconto del 5 per cento: un’azienda che paga cinquantamila euro di IRAP ne trarrebbe un certo risparmio, che potrebbe reinvestire.
Questa nuova moneta non sarebbe una grande novità, in passato qualsiasi popolo ha sempre avuto più di una moneta. Anche l’Italia, nel dopoguerra, ha avuto le AM lire, e oggi i buoni pasto forniti dalle aziende sono moneta.
La moneta è uno strumento formidabile per mantenere gli equilibri tra vari stati che hanno differenze culturali, economiche e di efficienza. Potremmo anche ottenere lo stesso risultato mantenendo la moneta unica e cambiando le leggi e lo Stato, ma l’esperienza insegna che sarebbe molto più difficile e complicato. Una moneta parallela o nazionale che abbia il suo corso libero offre in ogni momento la misura esatta della differenza di efficienza tra uno stato e la sua comunità. Il giorno in cui dovessimo avviare quelle riforme da sempre rinviate e diventassimo efficienti come la media europea, automaticamente la moneta nazionale avrebbe lo stesso valore dell’euro e non avrebbe più bisogno di esistere. Saremmo entrati nell’euro senza gli aiuti dello Stato, che avrebbero finito per provocare grandi distorsioni e quindi allontanare quel momento in cui noi potremmo raggiungere una vera condizione di efficienza.