LA TOMOSINTESI PER LA DIAGNOSI DEL TUMORE MAMMARIO
Il carcinoma
della mammella rappresenta ancora oggi il tumore più frequente nella
popolazione femminile, sia per incidenza sia per mortalità. La probabilità di
ammalarsi cresce progressivamente con gli anni. In Italia una donna su dieci,
pari a circa 32.000 nuovi casi all’anno con 12.000 decessi, sviluppa il cancro mammario.
Se il tumore è individuato precocemente, cioè prima che vengano invasi i
linfonodi ascellari, la guarigione avviene nel 90 per cento dei casi. Da qui la
necessità di sottoporsi periodicamente all’esame mammografico.
L’esame
radiografico diretto della mammella, o mammografia, non è di recente adozione.
La prima ricerca risale al 1913, grazie al tedesco Salomon che, radiografando
pezzi operatori di tessuto mammario, rilevò la presenza di microcalcificazioni nel
contesto di noduli tumorali. Dopo circa vent’anni, l’americano Warren approdò
alla mammografia fino a fondare, tra lo scetticismo dei cattedratici del tempo,
la Scuola di Rochester, che raggiunse il massimo sviluppo negli anni cinquanta.
Quando si parla di mammografia e della sua efficacia diagnostica occorre sempre
fare riferimento anche alla qualità delle apparecchiature. In Italia la
mammografia è arrivata tardi, attraversando rapidamente le seguenti fasi: la
prima è quella dello sviluppo manuale con pellicole simili a quelle
fotografiche, la seconda è la tecnologia analogica con l’utilizzo delle
tradizionali pellicole radiografiche, la terza è definita dalla tecnologia
digitale 2 D e 3 D: il primo mammografo digitale “Made in Europe” è stato
introdotto nel 2003 dall’IMS (Imaging Medical Service) di Sasso Marconi, in
provincia di Bologna.
Nella
mammografia digitale la pellicola radiografica è sostituita da un detettore che
assorbe i raggi X trasmessi attraverso la mammella e converte l’energia in
segnali elettronici che vengono digitalizzati e fissati nella memoria del
computer. Dall’insieme dei dati si ricava un’immagine digitale che compare su
un monitor ad alta definizione per essere elaborata, stampata, memorizzata in
un sistema di archiviazione (compreso il CD-ROM) e trasmessa a distanza per
referti e consulti tra specialisti. Mentre l’immagine mammografica su
pellicola, una volta prodotta, non è più modificabile, quella digitale può
essere elaborata nella workstation anche dopo la formazione, variando i
parametri di luminosità, ingrandimento, zoom ed evitando alla paziente proiezioni
supplementari, riducendo così la dose di radiazioni erogata. La dose
ghiandolare media è 2 mGy per esposizione e si riduce del 30 per cento con la
mammografia digitale. La riduzione della dose e la qualità delle immagini sono
garantite combinando l’anodo di tungsteno del tubo radiogeno a un filtro di
Rodio e Argento, come il gantry circolare, i bordi arrotondati e il movimento tridimensionale
aiutano a visualizzare il tessuto retromammario (fino a 2 cm in più) e
aumentano il confort delle donne, specie di quelle diversamente abili: inoltre,
dopo ogni esposizione, con un solo tocco il sistema è programmato per l’esposizione
successiva.
Il
mammografo digitale permette di eseguire le biopsie stereotassiche a paziente
prona per consentire l’accesso dell’ago a 360°. In mammografia le proiezioni
standard sono la cranio-caudale con capezzolo in asse e l’obliqua per la
massima visualizzazione del tessuto mammario, incluso il prolungamento
ascellare.