IL TERREMOTO, LA RICOSTRUZIONE E IL CONSOLIDAMENTO
Il terremoto
è caratterizzato da una o più scosse che si generano a causa dei movimenti tra
due parti della crosta terrestre: quando la forza supera l’attrito, si produce
uno scorrimento che libera energia sotto forma di scuotimento. Le onde sismiche
si propagano in modo sia sussultorio sia ondulatorio. In Emilia Romagna molti
capannoni sono crollati perché a un effetto iniziale sussultorio che ha
sollevato le coperture dai pilastri si sono associate onde trasversali che hanno
spostato le coperture, facendole crollare.
A parità di
sisma, è importante la posizione della faglia. Ferrara per esempio è molto
vicina a una faglia, quindi se questa si attivasse si produrrebbero ripercussioni
e gravi danni a persone e cose.
La
profondità è un altro fattore cruciale: quanto più un sisma è superficiale, tanto
maggiori sono gli effetti sul territorio.
Inoltre,
influisce anche la tipologia dei materiali da costruzione. Oltre alle vecchie case
edificate in sasso e muratura, negli eventi di Amatrice e Norcia, anche quelle
più recenti in cemento armato hanno subito gravi danni. Dopo il sisma del 1997,
l’ex Genio Civile ha chiesto ai tecnici di ricostruire usando delle coperture in
cemento armato, che pesano fino a dieci volte più di quelle in legno o in acciaio,
più elastiche e leggere, ignorando il principio che tanto più una struttura, andando
verso l’alto, diventa leggera, tanto minori sono le sollecitazioni sismiche.
È però
altrettanto vero che se il recente sisma nell’Italia centrale ha registrato “soltanto”
400 morti, il merito è anche della ricostruzione effettuata a seguito del
terremoto avutosi appena vent’anni prima, nel 1997, con le conoscenze
antisismiche dell’epoca.
L’entità del
danno dipende anche dall’età di costruzione. Gli edifici storici sono in
assoluto i più sensibili a una scossa sismica: non è semplice metterli in
sicurezza, soprattutto nei centri storici, perché sono agglomerati tra loro e
costruiti quando gli effetti del sisma sulle costruzioni erano pressoché
sconosciuti.
Oggi
esistono materiali tecnologicamente avanzati e quasi invisibili, che
consentirebbero di rendere antisismiche anche le strutture storiche, ma spesso
incontrano la resistenza delle Sovrintendenze, che ritengono il consolidamento antisismico
un intervento invasivo, incompatibile con il “dogma” di preservare i caratteri
di “storicità” degli edifici vincolati. Se l’alternativa è vederli crollare e
poi ricostruirli pietra su pietra (laddove possibile) con costi enormi, forse
sarebbe ora di “sacrificare” un po’ della “storicità” a favore della sicurezza
sismica!
Per gli
edifici aperti all’uso pubblico la norma prevede la verifica della
vulnerabilità sismica, ovvero il calcolo della massima azione sismica che l’edificio
è in grado di sopportare. La scadenza per presentare questa verifica è stata
prorogata più volte e a tutt’oggi molti edifici sono ancora in fase di analisi
o ne sono proprio sprovvisti. Inoltre, per le verifiche di vulnerabilità
sismica degli edifici, spesso si guarda più a risparmiare sulla parcella del
tecnico che alla bontà dell’analisi svolta: ecco quindi che vengono affidate
verifiche a importi molto contenuti, che dunque i tecnici non possono che
svolgere in modo superficiale: il risultato è che l’edificio il più delle volte
viene giudicato cautelativamente privo di resistenza sismica per mancanza di tempo
o dei necessari approfondimenti. Poiché queste verifiche sono la base da cui
poi si parte per effettuare gli interventi di adeguamento, un edificio privo di
resistenza sismica richiede interventi invasivi e costosi, ai quali nella
maggior parte dei casi non si dà corso, per mancanza di copertura finanziaria.
Il famoso piano Casa-Italia, che vorrebbe il consolidamento diffuso del
patrimonio edilizio italiano, parte dal presupposto che tutte le strutture non
sismoresistenti si debbano consolidare per salvaguardare gli abitanti. Ma gli
ostacoli non sono pochi: reperire i fondi necessari, superare la burocrazia e
ottenere le autorizzazioni, che spesso coinvolgono una pluralità di soggetti
(Regione, Comune, Sovraintendenza). Solo la partecipazione dello Stato può
attivare una campagna obbligatoria di adeguamento degli immobili privati: se
invece l’intervento rimane a carico del proprietario, è inevitabile una
valutazione costi-benefici, che nella maggior parte dei casi porta a non
intervenire e a correre il rischio.
Visto quanto
successo all’Aquila, dove dopo oltre sei anni dal sisma il centro storico è
ancora classificato zona rossa e non è agibile alla popolazione, è altrettanto improbabile
che le zone martoriate dei centri storici dell’area di Amatrice e di Norcia
possano essere riedificate, per un mix di problematiche tecniche e burocratiche
che rendono il costo della ricostruzione proibitivo.
Oggi le
verifiche di agibilità sugli edifici vengono condotte fuori dalle zone rosse,
dove tutti i fabbricati sono crollati o gravemente lesionati; gli agibilitatori
sono quindi chiamati a occuparsi delle altre zone, dove invece c’è il dubbio se
gli edifici siano agibili o meno. Secondo la legge, il compito
dell’agibilitatore è di valutare in modo speditivo, osservando lo stato
dell’edificio e basandosi sulla sua esperienza professionale, se gli edifici
già lesionati siano in grado di salvaguardare la vita dei loro occupanti in
caso di una scossa di magnitudo pari o superiore a quella massima registrata nello
sciame sismico precedente (nella fattispecie la scossa con magnitudo Richter
6,1 registrata la mattina del 30 ottobre 2016).
Purtroppo,
vista la violenza della suddetta scossa, la maggior parte degli edifici
verificati non può essere giudicata agibile. Il difficile e triste compito dell’agibilitatore
diventa quello di sradicare, seppure per loro sicurezza, le persone dalle
proprie case, dai propri ricordi e dalle proprie attività economiche, in una
parola dalla loro vita.
L’articolo
di Stefano Orlandi è tratto dalla sua conferenza L’Italia centrale e i
terribili terremoti che l’hanno funestata negli ultimi mesi, organizzata
dal Lions club Bologna Archiginnasio il 12 gennaio 2017.