L’IMMUNITÀ DEL TEMPO
La cura.
Curarsi. Prendersi cura. Nell’epoca della prevenzione ognuno si prende cura di
sé e dell’Altro. Cura della famiglia, dei figli, dei vicini, della casa, degli
animali, dell’ambiente, della città, dell’essere, del nulla. Tutto un
affaccendarsi, un occuparsi, un preoccuparsi, che dovrebbe proteggere dal
disagio e dal disturbo, dallo sforzo e dal rischio. Il prendersi cura cerca il
comodo, il comune modo, il comodo proprio e altrui.
Il prendersi
cura è anche un prendersi carico e farsi carico. Farsi carico di qualche cosa
la rende pesante: munus, carico, peso,
e anche dono. Farsi carico, assumere i pesi, condividerli assieme ai doni. Munus mutuus. Mutualità. In questa accezione
la comunità è condivisione dei doni e dei pesi, con tutta la loro gravità. Farsi
carico dei problemi, dei migranti, dei disoccupati, dei poveri: la comunità si prende
cura di sé e dell’Altro, nutrendo il vittimismo. Cura sempre purificatrice: farsi
carico s’inquadra nell’idea della purezza, che ispira la forma universale di vittimismo
chiamata cannibalismo, come nota nel suo intervento Mariella Borraccino. Questa
purificazione è iniziatica, anche per chi si prende cura di sé, dunque si fa
vittima di sé, non curandosi di nulla, non facendo e non rischiando, perché è
impegnatissimo a prendersi cura di sé. A iniziarsi, a purificarsi. E, poiché
“farsi carico” è “farsi peso”, la prima cura è quella del proprio peso, farsi
carico del proprio peso. "Non sbilanciarti". Pesarsi, pesare. I voti
si pesano. Quanto peso? Il proprio peso, il peso specifico, il peso ideale. "Conosciti",
"educati", "purificati". L’idealizzazione è purificatrice,
iniziatica, mistica.
Farsi
carico. Incaricarsi. Caricarsi. Poi scaricarsi. “Sono carico”, “sono scarico”. Questa
cura si fonda sulla mitologia energetistica e ognuno ha le sue modalità sostanziali
e mentali per essere carico, per poi scaricarsi. Anche Sigmund Freud rimaneva nell’ideologia
della carica e della scarica dell’investimento: nel Motto di spirito, per esempio, scriveva che il motto comporta una
carica dell’investimento, di cui il riso sarebbe la scarica. Altri, come
Wilhelm Reich, si rappresentano l’orgasmo come scarica. Su questa idea energetistica
di cariche e di scariche sta tutto l’erotismo occidentale. Come se il corpo
fosse una macchina termodinamica. L’erotismo è il prendersi carico, il caricarsi,
lo scaricarsi. E, nell’epoca della telematica, la parola d’ordine è “scaricare”.
Poca lettura, pochissima ricerca, l’importante è avere tutto pronto, in tempo reale,
nella sincronicità, per poi scaricare sul proprio computer o sulla propria nuvola.
La comunità della condivisione si fonda sulla condivisione energetica, caricare
e scaricare: tutto in tempo reale, tutto senza il lavoro della ricerca e il tempo
del fare.
Mentre Freud
definiva la pulsione e la sua dualità come forza costante, oggi dilaga la
mitologia dell’energia: l’energia è ovunque, impera una versione domestica della
meccanica quantistica, della conversione tra materia e energia, che si salda,
come nota Luigi Foschini in questo numero, con l’idea di un’energia cosmica o
spirituale o astrale o psichica, che esige l’armonia tra l’universo, il corpo e
la mente, e senza cui la salute verrebbe meno.
Altra cosa,
quest’energia, dalla forza, quella che Freud chiamava pulsione, quella che
Machiavelli chiamava virtù. Leonardo
introduce una forza non aristotelica, una forza che non si confonde con l’energia,
che non ha bisogno della carica e della scarica. La forza delle cose: “In essa
forza è vita attiva” (B, 63r). Forza dell’itinerario, forza infinita: “Truovo
la forza essere infinita insieme col tempo, e ‘l peso essere finito insieme col
peso di tutto il globo della terrestre macchina”. (CA, 324r). Forza di gravità?
La malattia è grave? Il munus non è
il grave, non entra nell’opposizione gravità-leggerezza, che Leonardo intende
come ossimoro: “Adunque la levità nasce dal grave, e’l grave dal lieve” (AR,
205r). Tolto l’ossimoro, l’inconciliabile, la questione aperta, il munus entra nell’opposizione grave-lieve:
diventa pesante o leggero, carico o scarico, negativo o positivo, viene sottoposto
alla bilancia che tutto premia o punisce, che tutto parifica. La bilancia contro
la giustizia, la bilancia della colpa e della pena. Colpa grave, pena grave.
Eppure, il
carico non è debitore della gravità, ma sottolinea la questione del carro, del
carro della parola. Carro, in greco árma,
da cui armonía, le giunture e gli
intrecci, simmetria e dissimmetria. Carro, cocchio, anche arca. La parola è arca,
carro, le cose stanno nel carro della parola, stanno nella parola. Ciascuna cosa,
in questo carro, non pesa. Il munus non
è peso, se è nella parola, non è l’onere della beneficienza, non rientra nel
dono di morte. Munificenza. Munificentissimus
deus: Dio opera alla munificenza. La munificenza è nella parola in cui la forza
è infinita, il tempo non finisce. Con l’infinito, l’Altro non può
rappresentarsi, dunque togliersi: ecco un’ospitalità e una generosità che non
pesano. Munus risulta il compito, che
non deriva da puto, pensare, ma da compleo, condurre a termine, e dunque
riempire, saziare. Nutrimento intellettuale senza cannibalismo, senza fine del
tempo. Pleonasmo della parola, non pleroma dell'iniziazione.
La forza
“infinita insieme col tempo” non è soggettiva, è nella struttura della parola.
È nel dispositivo del fare, della gestione, della scrittura. Forte è la
ricerca, forti il fare, l’impresa, l’industria, la città. Il viaggio di
ciascuno non procede senza la forza e senza la forzatura, cioè senza il
dispositivo di forza, senza la tensione. La tensione non ostacola la cura, ne è
alla base, la forzatura è il dispositivo tensionale, indispensabile per la
riuscita. Le cose non sono automatiche, non vanno da sé. Se stiamo a aspettare
che le cose vadano da sé, ci troviamo nell’automaticismo, ci arrangiamo, ci
rassicuriamo, ci accontentiamo, ci condanniamo ai nostri limiti e alle nostre
frontiere. Forzando, riusciamo.
Con la
cifrematica l’esperienza non poggia sulla finalizzazione, sulla realizzazione dell’idea,
sulla soggettività, sulla condivisione, che si fanno carico di tutto perché
purificano tutto, togliendo l’immunità propria al tempo, al fare, all’Altro. In
assenza di questa immunità, ognuno ha sempre tante cose da fare, tanti
incarichi da assumere, ma in questo modo tutto pesa e la via della salute è
sbarrata. Se il tempo può finire, la cura è finalizzata all’allontanamento
della morte, alla sua eliminazione. È questo il programma del transumanesimo
che, come nota Ruggero Chinaglia, deve purificare anche dalla morte: la
crionica, la genetica molecolare, le nanotecnologie dovrebbero creare un corpo
oltre l’umano, perfetto, immortale. L’umano può morire per lasciare il posto al
transumano, fino all’homo noeticus,
secondo i dettami della mistica: la morte per non morire. Nella mistica tutto è
possibile: tolta la parola, ecco l’estasi, l’uscire di sé, il liberarsi dei
pesi, l’elevarsi, l’elevazione. Il corpo mistico, la comunità mistica, funzionale
alla società circolare e autorigenerantesi.
L’immunità
non è l’elevazione né la rigenerazione, non è circolare, è pragmatica. La
comunità pragmatica è contrassegnata dall’immunità, dal compito di ciascuno.
Compito di vivere non di perpetuarsi, di rigenerarsi, di sopravvivere. Immunità
temporale, immunità intellettuale, cioè dipendente dal fare, non dalla sostanza
o dalla mentalità, spiritualistiche e animistiche. Il dispositivo pragmatico,
dispositivo della narrazione della ricerca e del fare, è il dispositivo immunitario,
in cui dell’Altro importa il suo diritto e la sua ragione, non la sua
esclusione o inclusione. Ricercando e facendo, il tempo instaura la sua cura. Questa
l’immunità e la sua forza.