L’ENDODONZIA PER CONTINUARE A SORRIDERE
Nelle
interviste precedenti del nostro giornale, Maurizio Ottomano sottolineava, fra
le caratteristiche dei Centri da lui fondati, il vantaggio di lavorare come “pool
di professionisti che integrano le loro competenze all’interno di uno o più
team, che s’intersecano all’occorrenza”. Voi collaborate con il Centro di
Modena, in particolare, per quanto riguarda la specialità endodontica. Che cos’è
l’endodonzia e qual è il suo campo d’intervento?
Il termine
endodonzia deriva da “endodonto” (dal greco èndon, “dentro, interno” odoús
odontos, “dente”), quindi l’endodonzia è la scienza che studia
l’”endodonto”, la cavità più interna del dente, che contiene la polpa dentaria,
costituita da cellule, come gli odontoblasti e le cellule stellate, da vasi
sanguigni e da terminazioni nervose. Il trattamento endodontico consiste nell’eliminare
dall’interno del dente residui organici e batterici (che possono causare
patologie infettive) e sigillare questi spazi con materiale inerte destinato a
durare nel tempo e a evitare future contaminazioni batteriche.
Esistono
varie metodiche e materiali differenti per attuare questo trattamento?
Negli ultimi
anni si è arrivati a una standardizzazione degli interventi: può esserci
differenza nei materiali e negli strumenti, ma oggi si privilegia il cosiddetto
trattamento meccanico rispetto a quello manuale. Si crea, all’interno del
dente, una cavità conica che consente alla sostanza disinfettante immessa, di solito
ipoclorito o clorexidina, di raggiungere per capillarità anche il fondo del
canale dentale, senza che tale sostanza estruda ed entri in contatto con l’osso
o con i legamenti, danneggiandoli. Una volta completata quest’operazione di
pulizia interna e di disinfezione, il canale viene sigillato.
Quali
sono le principali cause delle patologie endodontiche?
La prima
causa è la carie dentale: i batteri, comunemente presenti nel cavo orale,
soprattutto quelli adesi alla superficie del dente sotto forma di placca
batterica, in caso d’insufficiente igiene orale, attraverso prodotti prevalentemente
acidi del loro metabolismo, corrodono prima la parte esterna del dente, quella
minerale, poi entrano in profondità, attaccando la polpa e, quando vengono interessati
i nervi, provocano dolore. Se l’infezione si estende, occorre intervenire con
trattamenti endodontici. Se lasciata avanzare, l’infezione può arrivare
all’apice del dente, quella a contatto con l’osso, aumentando il rischio di
conseguenze, anche gravi, per la salute.
Poi, possono
intervenire cause miste, endodontiche e parodontali. Si ammalano i tessuti a
contatto con il dente, si formano tasche, le tasche parodontali, attraverso cui
entrano batteri che raggiungono l’apice dentale e sviluppano l’infezione.
Un’altra
causa è data dalle fratture dentali con esposizione della polpa. In questo caso
occorre intervenire devitalizzandola.
Ci sono
casi in cui il nervo può essere curato senza arrivare alla sua
devitalizzazione?
Sì, non sono
frequentissimi e riguardano di solito persone molto giovani, in cui la radice
del dente non è ancora completamente sviluppata. In questo caso si tende a fare
il possibile per preservare la vitalità del nervo. Ciò può avvenire anche in
caso di carie in atto, che tuttavia abbia un decorso lento e non abbia ancora
causato sintomatologie dolorose insopportabili. Il mantenimento del nervo nei
giovani è importante per il completamento dello sviluppo del dente. Infatti, il
nervo, oltre a una funzione di sensibilità, ha un’azione sui vasi sanguigni,
anche su quelli che portano le sostanze nutrienti per l’apposizione di nuovo
tessuto, come, nel nostro caso, nello sviluppo del dente in formazione e delle
sue cellule.
In
passato era invalsa la tendenza a devitalizzare i denti all’insorgere dei primi
problemi. Oggi sembra che non sia più così.
Esatto. Oggi
esistono test avanzati per controllare se il nervo sia infiammato oppure no.
S’interviene con la devitalizzazione in caso di pulpite o se ci sono segni
d’infiammazione evidente del nervo. Non dimentichiamo i casi in cui la pulpite
è silente o con scarsa sintomatologia per lungo tempo e poi, all’improvviso,
sfocia in fenomeni profusi quali ascessi o granulomi. Per tutto questo, e anche
per rilevare eventuali traumi di vecchia data dalla sintomatologia silente o scarsa,
è sempre molto utile effettuare esami radiografici alle arcate dentali.
Con quale
frequenza è consigliabile effettuare controlli dentali?
Semestralmente,
anche con esami radiografici tipo betiwing, che richiedono lastre
piccole e hanno un carico limitato di raggi, permettendo tuttavia di analizzare
serie di denti superiori e inferiori. Poi, in caso di dubbi maturati anche con
l’anamnesi del paziente, si effettuano controlli radiografici più mirati.