INDUSTRIA 4.0: NUOVI VANTAGGI O NUOVI LIMITI PER LE IMPRESE ITALIANE?
Per fare
fronte alla quarta rivoluzione industriale, Industria 4.0, il Ministero dello
sviluppo economico ha annunciato che renderà disponibili 23 miliardi di euro in
quattro anni, per “rivoluzionare il sistema produttivo italiano”. Intanto,
opinionisti, giornalisti, docenti universitari e professionisti della
comunicazione stanno tuonando che per le PMI italiane la sfida è coglierla o
scomparire. Ma proviamo a fare un’analisi pragmatica della questione.
La
formulazione “Industry 4.0”, coniata alla Fiera di Hannover nel 2011, dalla
multinazionale di ingegneria ed elettronica Robert Bosch GmbH, annuncia che la
nuova industria dovrà essere smart e la manifattura dovrà evolversi con una
crescente integrazione di “sistemi cyber-fisici” (CPS) nei processi
industriali, per cui le macchine saranno connesse a internet e capaci di
autodiagnosticarsi e di autoregolarsi. Lo stesso destino toccherà agli oggetti
di uso quotidiano (auto, elettrodomestici, telefoni, ecc.), che saranno in
grado di monitorarsi e determinare la fine del proprio utilizzo. Industria 4.0
promette una grande flessibilità nella produzione per soddisfare al massimo le
esigenze di personalizzazione. E qui già si può notare il primo grande rischio:
una volta scelta la multinazionale costruttrice dei nostri prodotti, che
funzionano attraverso la connessione in rete con il produttore, cambiare fornitore
vorrà dire perdere tutti i dati associati al servizio e al prodotto.
La nostra
azienda, Rancan Elettrotecnica Srl, si prende cura di tutti i dispositivi che
permettono la movimentazione degli impianti di produzione delle industrie
manifatturiere: affiancati dai loro manutentori, siamo autorizzati a entrare
nel cuore delle mastodontiche macchine che producono senza sosta chilometri di
profili in acciaio, enormi bobine di carta, autotreni carichi di bottiglie di
vetro. Sono impianti dalle dimensioni che incutono timore, roboanti e sbuffanti
vapore acqueo simile a sudore umano, frutto della lotta contro la resistenza dei
materiali a lasciarsi trasformare, e ogni componente è chiamato a dare il
meglio di sé per migliaia di ore e per anni di produzione. Ne misuriamo la temperatura,
le vibrazioni, gli accoppiamenti dei vari componenti in movimento e, dai valori
oggettivi strumentali, capiamo ciò che si sta usurando, ciò che è meglio
sostituire anzitempo, prima d’incorrere nel fermo macchina: l’impianto non può
fermarsi, oggi non è più possibile perdere neanche una battaglia, il mercato
non lo consente. Qui internet non esiste, l’interconnessione tra i vari
componenti non è possibile, la tecnologia di questi impianti ha almeno
vent’anni: una loro trasformazione richiederebbe costi al di sopra del valore
residuale dell’impianto. Sarebbe meglio una sostituzione, ma i margini di
profitto non lo consentono. Ma, allora, le direttive di Industria 4.0 sono
limitate ai nuovi impianti?
Nell’introduzione
all’indagine di Federmeccanica, Fabio Storchi esorta a “creare una ‘comunità’
di imprenditori e di imprese che condividono saperi ed esperienze [perché] è
indispensabile più che mai fare insieme”. Ma, come “fare insieme” se il
saper fare di ciascun stabilimento produttivo è il frutto di anni di ricerche e
tentativi del pragma di ogni giorno, strumento prezioso per difendersi da competitors
che operano con costi e modalità che nulla hanno a che fare con i nostri?
Ammesso,
poi, che ci siano aziende disposte a condividere i propri dati sensibili, come
li trasmettiamo se l’Italia, per la diffusione della banda ultra larga, si
trova al penultimo posto in Europa, prima di Cipro? E come risolviamo il
problema della sicurezza, considerando che la connessione internet degli
impianti produttivi li renderebbe vulnerabili ai cyber-attacchi? Non
dimentichiamo, inoltre, che ben pochi sarebbero disposti ad affidare tutte le
comunicazioni ai giganti di internet, se persino i tedeschi, che sono stati i
primi a parlare di Industria 4.0, sono preoccupati, come afferma il loro ministro
dell’Economia, Sigmar Gabriel: “I grandi dati necessari perché Industria 4.0
funzioni non sono raccolti da compagnie tedesche, ma da quattro grossi nomi
della Silicon Valley”.
Ma, se le direttive
di Industria 4.0 cultura, al massimo, potrebbero essere valide per
organizzazioni che hanno cultura d’impresa e alti margini di profitto, come
possono essere applicate nel nostro paese, con un tessuto industriale
costituito per il 95 per cento da piccole, medie e micro imprese,
caratterizzate da scarsa managerialità, difficile accesso al credito e
organizzazione del personale di tipo artigianale, con velocità di risposta al cliente
ma lentezza nel recepire le esigenze di trasformazione?
Ora, la domanda
che si pone è anzitutto: perché si deve scegliere tra la vita e la morte (delle
imprese)? Chi impone questa scelta? E con quale autorità?
Le
organizzazioni produttive artigianali o poco strutturate potranno trasformarsi
verso un modello più industriale, ma devono essere consapevoli fin d’ora che
questa rivoluzione porterà enormi vantaggi e benefici soprattutto alle
multinazionali che adotteranno il sistema per prime: la vera rivoluzione sarà
solo per loro, a tutti gli altri rimarrà la dipendenza dalla rete e dalla
multinazionale costruttrice dei prodotti che hanno acquistato.
Chi
governerà l’Internet of Things (e saranno poche multinazionali) avrà il
controllo sui nostri desideri e sulle nostre azioni: sarà la loro rivoluzione, non
certo la nostra.