IL MIRACOLO DEL DISTRETTO DI SASSUOLO E L'ECCELLENZA DEGLI STAMPI GAPE DUE
All’edizione
2016 del Tecnargilla (il più importante salone internazionale delle tecnologie
e delle forniture all’industria ceramica e del laterizio), la Gape Due Spa ha
presentato ancora una volta innovazioni che la situano in testa al settore
degli stampi per ceramica. Oggi è alla soglia dei cinquant’anni di attività, ma
com’è nata questa realtà che contribuisce all’eccellenza e allo stile delle
piastrelle made in Italy in tutto il mondo?
Nel 1967,
con il mio ex socio, dopo avere lasciato il lavoro dipendente, abbiamo avviato
l’attività nel garage di mio padre. All’epoca le industrie ceramiche, in forte
espansione a Sassuolo, favorivano la crescita di quell’indotto che in seguito
avrebbe dato vita al distretto di riferimento mondiale per la produzione di
piastrelle, nonché per la ricerca e l’innovazione tecnologica ai massimi livelli
del settore.
Molti
giovani oggi traggono vantaggio dal lavoro e dai sacrifici che i loro
predecessori hanno compiuto in quegli anni, ma se qualcuno parla del distretto
come di un incredibile miracolo, forse, non ha tutti i torti: per chi allora
era un giovane che, come me, ebbe la fortuna d’incontrare don Dorino Conte e di
frequentare l’Acal – la scuola di avviamento professionale da lui fondata nel
1952, in un capannone donatogli da Pietro Marazzi – non è difficile credere che
fu proprio la Provvidenza a inviarci il “prete imprenditore” da Enego (Vicenza).
In un
momento in cui l’Italia era stata messa in ginocchio dalla guerra, terminata
pochi anni prima, don Dorino fu un vero missionario a Sassuolo: accolse tanti
ragazzi che trascorrevano il loro tempo nelle strade – non avendo avuto la
possibilità di ricevere una formazione scolastica e tecnica – e li aiutò a
inserirsi in una società che non cercava più braccia, ma manodopera
qualificata. Li aiutò a diventare non solo uomini, ma anche imprenditori: si
sono formati all’Acal alcuni dei più importanti industriali del comprensorio
nei settori della meccanica e della ceramica, che da quella esperienza trassero
anche preziosi insegnamenti, che li hanno accompagnati per tutta la vita. Don Dorino
è stato un esempio che ciascuno di noi aspirava a seguire, per l’entusiasmo e
la fede nella riuscita che non lo abbandonavano mai, neanche nei periodi più
difficili, quando i finanziamenti arrivavano in ritardo e non erano
sufficienti: non solo non si scoraggiava, ma s’indebitava, pur di mantenere
alto il livello d’insegnamento, chiamando sempre i docenti migliori a
disposizione. Non a caso, nelle più importanti industrie odierne del distretto,
compresa la nostra, troviamo la stessa tensione verso la qualità assoluta
insita nello stile del “prete imprenditore”.
I ragazzi
che oggi, nell’era di internet, s’illudono che veramente tutto possa avvenire
in tempo reale, che sia possibile “tutto e subito”, avrebbero bisogno del suo
esempio, per capire che non esiste un’impresa facile. La tecnologia può
aiutarci a snellire alcuni processi, a renderli più semplici, ma niente e
nessuno potrà mai regalarci la riuscita, che è frutto d’impegno, ingegno,
disponibilità a fare sacrifici, entusiasmo e investimento costanti. Anche in un
distretto fiorente come quello di Sassuolo, dove le aziende nascevano e
s’ingrandivano nell’arco di pochi anni, un imprenditore non aveva vita facile,
doveva mettersi in gioco e cavalcare l’onda crescente senza esitazione.
Allora,
avete lasciato presto il garage di suo padre…
Sì,
abbastanza in fretta, perché a Sassuolo la domanda era forte e per chi seguiva
i clienti in tutte le loro esigenze – anche a costo di sacrificare il sabato e
la domenica – non c’erano problemi. Presto siamo riusciti a pagare i debiti
iniziali e abbiamo acquistato il primo capannone (di 250 metri), poi, a breve,
altri due e ne abbiamo preso un quarto in affitto.
Adesso, a
distanza di cinquant’anni, posso dire che ho fatto bene a seguire le mie
aspirazioni, perché oggi, fra le venticinque aziende produttrici di stampi per
ceramica rimaste nel comprensorio, la nostra è la più importante, in termini di
fatturato, dimensioni e qualità riconosciuta dai clienti.
Voi siete
in grado di fornire qualsiasi tipo di stampo, per forma, dimensione e
tecnologia, per qualsiasi esigenza, e i vostri clienti hanno la garanzia di un prodotto
che non li costringe a perdere tempo in riparazioni continue, come invece può
accadere per stampi di qualità inferiore…
Lo
riconoscono i nostri clienti e per questo preferiscono acquistare i nostri
prodotti, magari a un prezzo un po’ superiore a quello della concorrenza, ma
ricavandone vantaggi che ripagano in brevissimo tempo di utilizzo.
Questa è
la prova che il vostro investimento costante nella ricerca dà i suoi frutti. A
proposito, voi avete perfezionato di recente lo stampo isostatico. Quali esigenze
delle industrie clienti avete voluto soddisfare?
Nella
produzione delle piastrelle, il caricamento dell’argilla sullo stampo avviene
con appositi carrelli, ma non è mai omogeneo al cento per cento: questo
comporta che la pressione dello stampo vada incontro a scompensazioni, che poi
risulteranno anche nella piastrella finita, o all’uscita dalla pressa o
all’uscita del forno. Lo stampo isostatico è dotato di un circuito idraulico
che permette di calibrare la pressione: galleggiando, lo stampo può adeguarsi alle
differenti pressioni e, con questo sistema, la piastrella esce perfetta e pronta
per la cottura.
Al
Tecnargilla quest’anno avete ottenuto molti riconoscimenti con lo stampo Calibra
con compensatore oleodinamico. Quali sono i vantaggi principali nel suo utilizzo?
Fra i molti
vantaggi che si possono ottenere, c’è la possibilità di produrre piastrelle
monocalibro per ottimizzare la scorta a magazzino e ridurre così anche i costi
di gestione. Inoltre, questo stampo consente di ottimizzare la densità di
pressatura in tutti gli alveoli, con conseguente riduzione sia delle
sollecitazioni su pressa e tamponi marca isostatici sia dei costi e della
manutenzione. Per non parlare dell’eliminazione di tempi morti e fermi
macchina, per il giusto posizionamento dei tamponi vista superiori, e della
riduzione dei tempi di montaggio e smontaggio dei tamponi marca isostatici, in
quanto privi di tubo di collegamento.
Il nostro
team di progettazione lavora con molto entusiasmo per dare valore aggiunto a un
prodotto come lo stampo, che di per sé sarebbe povero. Le aziende del nostro
settore che si sono ostinate a considerarlo tale sono in grande difficoltà o
addirittura hanno dovuto chiudere: soprattutto in un periodo di crisi globale, chi
non innova rischia di essere travolto nella guerra sui prezzi, che assottiglia
il margine sempre più e frena qualsiasi sviluppo.
Questa
concorrenza sui prezzi squalifica il lavoro…
È molto
deleteria, perché toglie quel valore aggiunto che il prodotto italiano ha
conquistato, attraverso anni di ricerca, mettendo a frutto l’ingegno insito nel
patrimonio scientifico, culturale e artistico, che abbiamo ereditato a partire
dal Rinascimento, se non da epoche antecedenti. La gara al ribasso mortifica la
mano e il cervello dell’impresa italiana, che invece sono un mito per gli altri
paesi. Noi lavoriamo soprattutto in Europa, Stati Uniti e Sudamerica, ma è nota
la stima di cui gode il made in Italy in tutti i paesi del mondo. È un aspetto
di cui dobbiamo tenere conto per l’eredità che lasciamo alle nuove generazioni:
nessuno può giungere alla riuscita togliendo valore. Solo la valorizzazione dei
nostri prodotti e del nostro patrimonio in ciascun settore, dall’industria al
turismo, può assicurare il proseguimento della nostra civiltà.
Mio figlio
lavora in azienda da venticinque anni e spero che, insieme a mio genero, sia
presto in grado di raccogliere il testimone per una guida che mantenga quella
proiezione costante nell’avvenire che abbiamo sempre privilegiato. Anche se i tempi
sono più bui rispetto a quando sono partito io.
Lei aveva
avviato l’attività con un socio. Com’è intervenuta la decisione di rilevarla?
Quando
abbiamo incominciato sembravamo due fratelli, poi, è sorta nel mio socio, forse
perché è insita nell’animo umano, una potente voglia di sopraffare e di
possedere l’intera proprietà. Dopo circa quindici anni, non accettava
più di essere socio al 50 per cento, così sono seguiti cinque anni di battaglia
che hanno messo persino l’azienda a rischio. A quel punto, abbiamo deciso di
metterla all’asta: chi offriva di più acquistava l’altro 50 per cento. Abbiamo fatto
l’offerta in busta chiusa davanti al notaio e io ho avuto la fortuna di offrire
di più.
Forse non
era un caso, ma una prova del suo investimento nell’azienda…
Certo, era
la mia vita, il mio terzo figlio. Ho avuto l’occasione di offrire di più e la
fortuna di avere le amicizie giuste, che mi hanno aiutato a reperire le risorse
per acquistare l’altro 50 per cento e proseguire. Poi, dato che per cinque anni
ero stato oppresso dalla disputa, quando sono rimasto da solo, nel 1986,
l’azienda ha preso il volo.
È
diventata un’impresa del secondo rinascimento.