QUANDO L'IMPRESA CONTRIBUISCE ALLA SALUTE DELL'AMBIENTE E DEI CITTADINI
Come
presidente di Reagens Spa, uno dei maggiori gruppi industriali italiani del
settore materie plastiche, e di ESPA (European Stabiliser Producers
Association), lei ha condotto un’importante battaglia per la sostituzione degli
stabilizzanti al piombo dal PVC, che ha effetti sulla salute dell’ambiente,
oltre che sulla nostra. Può raccontarci qualcosa di questa esperienza?
La battaglia
per la sostituzione degli stabilizzanti al piombo è iniziata circa quindici
anni fa, quando ci siamo impegnati nel progetto Vinyl 2010, il primo accordo
volontario tra i produttori europei di PVC, e si è conclusa con successo nel
2015. Proprio in questi giorni, la società di audit KPMG ha confermato che
non c’è più vendita di stabilizzanti al piombo nell’Europa dei 28. È un
risultato molto interessante, perché non era affatto ovvio che fosse
tecnicamente possibile la sostituzione del piombo in qualsiasi applicazione,
come invece è stato dimostrato. Grazie a notevoli investimenti nella ricerca,
siamo riusciti a trovare sistemi alternativi al piombo, più convenienti per l’ambiente,
senza per questo subire una perdita in termini di rapporto costo/performance.
Il nostro progetto di rinnovamento della catena del PVC non si è però certo
concluso nel 2015 e, dopo Vinyl 2010, ci siamo impegnati in VinylPlus. Tra i
vari obiettivi, intendiamo ridurre a zero le emissioni di cloruri in fase di
sintesi del PVC, nonché ad aumentare in maniera esponenziale la quantità di PVC
riciclato: in Europa siamo giunti al riciclo di più di mezzo milione di
tonnellate di PVC all’anno, un quantitativo proporzionalmente molto più alto di
qualsiasi altro materiale. Per quanto riguarda gli additivi, ci proponiamo di
continuare la sostituzione di altri additivi – con caratteristiche
potenzialmente negative per l’ambiente e per la salute – con prodotti con un miglior
profilo di sostenibilità.
La
partecipazione del gruppo Reagens alle maggiori conferenze mondiali sul PVC e
alle fiere internazionali di settore contribuisce a valorizzare il tessuto
economico della nostra regione; infatti la vostra attività è ormai di
riferimento sulla scena internazionale, con sedi e stabilimenti in vari paesi,
tra cui Germania, Regno Unito, Stati Uniti e Argentina, e presto nuovi impianti
anche in Cina e in India. Che tipo di investimenti richiede un mercato così ampio?
Materiali
plastici come il PVC hanno bisogno di elevati investimenti in termini
soprattutto d’innovazione, intesa però non come scoperta di nuove molecole,
come si addice alla chimica fine. Noi facciamo infatti chimica di specialità, in
questo senso, ci avvaliamo dell’ingegno italiano per la continua innovazione
dei nostri prodotti. Il nostro fatturato, in continua crescita, ha raggiunto i
220 milioni di euro, e non è certo comparabile a quello delle grandi
multinazionali, ma siamo fieri delle nostre dimensioni. La nostra tendenza è
quella di sviluppare prodotti sempre più sostenibili, non nel senso abusato e generico
di sostenibilità: sostenibili perché formulati in base ai criteri definiti da
VinylPlus e ai principi di sostenibilità enunciati da TNS, The Natural Step,
un’ONG svedese fra le più importanti al mondo. In passato, per diversi anni,
TNS ha sostenuto campagne contro il PVC. Considerati gli ottimi risultati
ottenuti prima con Vinyl 2010 e poi con VinylPlus, TNS ci affianca ora nelle
politiche di definizione degli obiettivi. Noi la chiamiamo “critical friend”,
nel senso che mantiene ancora lo spirito di “dura e pura” che l’ha sempre
contraddistinta, ma con molta capacità di comprendere quali sono gli obiettivi
dell’industria del PVC e di accompagnarci nel percorso. Grazie a TNS, per esempio,
oggi stiamo recuperando una buona reputazione da parte di grandi gruppi che
fino a qualche anno fa ci contrastavano. Questo per dire che non si tratta solo
di gestire un business, ma anche di svolgere un ruolo politico. Basti pensare
che il 99 per cento del nostro fatturato proviene da additivi per le materie
plastiche e più del 90 per cento sono stabilizzanti per PVC, il che significa
che questo non è il nostro core business, ma la nostra vita, e per la vita si
combatte in modo assoluto.
Reagens è
stata fondata da suo padre nel 1952. Come ha iniziato a occuparsene lei?
Purtroppo,
mio padre è morto soltanto pochi mesi dopo che mi sono laureato in chimica
industriale, dunque il passaggio generazionale non è stato molto comodo e graduale.
C’è da dire comunque che stiamo parlando del 1984 e a quel tempo Reagens
fatturava dodici miliardi di lire. Negli ultimi quindici anni c’è stata una
crescita consistente, soprattutto grazie alla scelta del management e alla
strategia di lasciare in azienda gli utili, che vengono sempre reinvestiti.
In che
cosa vi differenziate rispetto ai grandi gruppi e qual è il vostro valore aggiunto?
Rispetto
alla chimica di base, alla chimica fine o farmaceutica, la chimica di
specialità è un settore che si adatta molto bene alle aziende di medie
dimensioni. Gli investimenti necessari sono infatti soprattutto in capitale
intellettuale e in ricerca e sviluppo e non richiedono le centinaia di milioni
di euro che occorrono invece per giungere alla formulazione di un nuovo farmaco
o per un nuovo impianto petrolchimico. Per contro, ciò che è soprattutto necessario
nel nostro settore, considerando che gli investimenti sono a lungo termine, è
saper aspettare, e un’azienda privata di medie dimensioni può permettersi di
aspettare più di una divisione di una multinazionale, o di una public company,
che ogni tre mesi deve dimostrare agli azionisti che va sempre meglio, perché
qualsiasi investimento deve avere un rendimento entro tre anni, altrimenti non ne
vale la pena. Siccome il mercato esige performance che aumentino di qualche
punto percentuale ciascun trimestre, cosa piuttosto improbabile, le società
quotate a volte inventano stratagemmi per fare figurare utili maggiori, per
esempio, tagliano i costi di ricerca e sviluppo, perché sono i meno produttivi a
breve termine. Noi facciamo esattamente il contrario.
D’altra
parte, il vero patrimonio è quello intellettuale, che è insostituibile. Questo
fa la differenza.
Infatti. Per
questo siamo molto orgogliosi che, anche durante gli anni di crisi, a partire
dal 2008, non abbiamo fatto una sola ora di cassa integrazione in tutti i
nostri stabilimenti in Europa. Abbiamo magari guadagnato meno, ma non abbiamo avuto
perdite, e abbiamo mantenuto tutto il personale, che ci è stato grato, soprattutto
quando si è trattato di compiere sforzi notevoli nel momento della ripresa del
mercato, perché ha dovuto adattarsi ai tempi dei clienti che trasmettevano l’ordine
all’ultimo minuto perché a loro volta non sapevano se e quando sarebbe arrivato
il lavoro. Mentre i nostri concorrenti chiudevano quando c’era poco lavoro, noi
siamo rimasti sempre a disposizione dei nostri clienti, che lo hanno apprezzato
molto.
La
differenza e il valore del nostro capitale intellettuale non si notano soltanto
nel top management, ma a tutti i livelli. Per questo, per tradizione, almeno
due o tre volte all’anno, facciamo una riunione con circa settanta
collaboratori, per illustrare i dati di bilancio e il programma della società.
Tra l’altro, anche questo è un modo per avere maggiore supporto nei periodi di difficoltà.
Quando è
incominciata la vostra spinta all’internazionalismo e all’intersettorialità?
Gli additivi
per il PVC e le materie plastiche, e più in generale la chimica di specialità,
sono business di nicchia, che hanno però nicchie molto simili in tutto il mondo.
Dunque, se si vuole crescere, bisogna prima di tutto occuparsi di diverse
applicazioni del PVC, poi, una volta trovati i canali giusti e conquistato il
mercato in Europa, bisogna fare altrettanto negli altri paesi del mondo. In un
certo senso, la vocazione a estendere la propria attività a differenti
applicazioni, e poi anche dal punto di vista geografico, è abbastanza
connaturata in chi vuole svolgere questo mestiere senza accontentarsi. Inoltre,
se consideriamo l’Europa rispetto al mondo, in termini di consumo di materia
plastiche, e non solo, per quanto potremmo pensare di essere i primi, i più
bravi, i più puliti, ci accorgiamo che siamo un’isoletta minuscola in un mondo
che conta dieci volte più di noi.
Se pensiamo
che il consumo di plastica e PVC per quasi il 50 per cento interessa la Cina,
seguita dall’India e dai paesi del Sud-Est asiatico, ci rendiamo conto che non è
sufficiente tenere pulito il nostro giardinetto quando tutta la città è sporca.
Il nostro impegno è dunque quello di esportare la tecnologia dei nostri
prodotti in altri paesi del pianeta, e già lo stiamo facendo, dimostrando ciò
che è stato possibile realizzare in Europa. Sono convinto che, fra non molti
anni, un’importante parte del mondo avrà sostituito il piombo e anche altri
componenti critici per la salute con sistemi sostenibili approvati da
organizzazioni come VinylPlus e TNS. A cominciare proprio dalla Cina, che viene
invece considerata un paese indifferente alla salute dell’ambiente. In realtà,
penso che proprio in Cina interverranno trasformazioni enormi dal punto di vista
tecnologico nell’arco dei prossimi tre o quattro anni.