IL BILANCIO COME SCRITTURA PER LA COMUNITÀ
La città
e la comunità sono costituite da infinite storie di imprese, storie di uomini e
donne che lavorano per mettere a frutto il patrimonio d’ingegno, di scienza, di
arte e di cultura che distinguono una comunità dall’altra. Costituita nel 2003,
la PRM (Professionisti Revisori Modena) offre numerosi e qualificati servizi di
controllo contabile e revisione legale e volontaria di bilancio alle imprese di
diversi settori fra cui abbigliamento, produzione di ceramiche per l’edilizia, costruzioni
civili e opere pubbliche, chimico, meccanico, alimentare, editoriale, bancario,
informatico, cooperative e enti senza scopo di lucro. In che modo la scrittura
del bilancio e la sua revisione danno un contributo all’impresa e alla comunità
pragmatica, che si costituisce attraverso il fare, anziché basarsi su ideologie
e pregiudizi?
La revisione
del bilancio è un modo per valorizzare un’attività meritevole. Attraverso il
bilancio, l’impresa dichiara la propria situazione patrimoniale e finanziaria e
il risultato economico della propria attività. Il giudizio del revisore legale
serve ad attestare se il bilancio è corretto, completo e veritiero. Il valore
di tale giudizio per la comunità sta nel fatto che dà una tutela alla fede
pubblica, perché i vari stakeholders possano avvalersene per le loro scelte
economiche: il risparmiatore che compra azioni di una società quotata in borsa,
l’investitore che decide di entrare in partecipazione nell’azienda, l’istituto di
credito che decide di affidare l’azienda, il fornitore che decide di dare
credito al suo cliente, ciascuno basa le proprie scelte economiche anche sui
dati del documento bilancio che ha una sua credibilità perché è stato valutato
da esperti revisori legali.
Purtroppo,
in alcuni paesi, compresa l’Italia, non è ancora stato capito il valore
aggiunto del giudizio del bilancio, che è strumento di informativa verso terzi.
È il primo strumento, il più efficace e il più prezioso, per un imprenditore e
per un’impresa, al di là dei messaggi pubblicitari di ogni tipo, che comunque
occorrono, per comunicare ciò che un’azienda fa e come lo fa.
Considerando
l’ampio ventaglio di settori di attività delle aziende vostre clienti, voi
avete la possibilità di analizzare le tendenze del mercato, attraverso i dati
di bilancio.
Certo,
abbiamo una posizione privilegiata di osservatorio dell’economia all’interno
delle comunità in cui operano i nostri clienti: i dati dei bilanci che
controlliamo e verifichiamo non sono casuali, ma vengono forniti seguendo
regole, leggi e principi contabili di informativa, quindi hanno una certa
omogeneità e comparabilità, e possono essere la base per considerazioni
successive. Si può constatare se i volumi di vendita crescono nel mercato
nazionale, europeo o mondiale, se migliora o peggiora la marginalità della
produzione, se aumenta o diminuisce l’occupazione. Sono dati che gli istituti preposti
alle indagini oggi utilizzano, perché in Italia tutte le società iscritte al
registro delle imprese hanno l’obbligo di rendere pubblici questi dati, insieme
al nostro giudizio.
A
proposito di tendenze, è stato ipotizzato che Industria 4.0 causerà la perdita di
circa cinque milioni di posti di lavoro nel nostro paese.
È verosimile
che la rivoluzione digitale possa cancellare cinque milioni di posti di lavoro
perché le macchine sostituiranno gli uomini in molte attività. I politici
dovrebbero governare questo passaggio dal vecchio al nuovo, anche stimando quanti
nuovi posti di lavoro possono creare le nuove tecnologie. Se questa trasformazione
è lasciata a se stessa, temo che possa prodursi una società senza più gli
scambi, in cui ognuno fa ciò che sa fare, nel proprio piccolo, e poi lo
utilizza. Forse, proprio ciò che avevano predetto alcune utopie in passato.
Quanto
all’eventualità che la manifattura venga spazzata via dalle nuove tecnologie
digitali, mi sembra piuttosto improbabile, anche se è quello che vorrebbero
farci credere coloro i quali si sono arricchiti in modo smisurato con la new
economy o la finanza. Non dimentichiamo che di Steve Jobs ce n’è stato solo
uno, e così di Mark Zuckerberg e di Eric Schmidt. Così come sono pochi coloro che
si sono arricchiti con la finanza, hanno saputo cogliere il momento giusto.
Però, in una comunità, non uno o pochi, ma ciascuno deve avere l’opportunità di
essere utile e di valorizzare la propria particolarità. E la politica deve
gestire e regolamentare questi cambiamenti, altrimenti lascia il potere
decisionale a chi ha saputo capire e utilizzare la finanza e la tecnologia.
Come
nelle botteghe del rinascimento, ciascuno deve avere l’opportunità d’inventare,
avvalendosi della mano, che non è senza cervello.
Purtroppo,
veniamo da un lungo periodo in cui il lavoro della mano è stato svilito a
vantaggio del lavoro intellettuale, come se si potessero scindere. Ma la mano e
il cervello sono strettamente collegati: la mano è mossa dal cervello, ma la
mano stimola il cervello. Se la mano deve fare un gesto, il cervello deve
pensare come farlo e, se ripetuto, deve cercare di ottimizzarlo. Il lavoro
intellettuale è stato spesso inteso come un’attività volta a semplificare, alleggerire
e addirittura eliminare il lavoro manuale, ma, per fabbricare macchine che
svolgono il lavoro manuale, il cervello ha dovuto seguire il lavoro della mano
ed elaborarne i processi, i movimenti, la struttura, fino a esserne influenzato.
Oggi, forse,
le opere degli artisti del Rinascimento possono essere riprodotte identiche
attraverso le macchine: basta una stampante 3D per realizzare una bella
scultura. Allora, potremmo chiederci: che ne è e che ne sarà della mano?
Eppure, la tecnologia digitale vive di rendita, si nutre delle invenzioni che
sono intervenute nelle attività della mano. Se non ci fosse stata la mano, non saremmo
arrivati fin qui.