IL CERVELLO DELL'IMPRESA

Qualifiche dell'autore: 
presidente di Confcommercio Emilia Romagna

Stasera non sapevo nemmeno di dover intervenire. Avevo l’impressione che si trattasse di uno di quegli incontri in cui ci saremmo trovati di fronte a qualcuno che ci avrebbe insegnato a vivere e a fare il nostro mestiere senza magari saperlo fare. Ho incominciato a cambiare idea quando ho visto il titolo di questa rivista, “La città del secondo rinascimento”, perché ho visto una parolina chiave, rinascimento. Infatti, se dovessi scegliere una patria ideale, un’età in cui vivere, sceglierei certamente il Rinascimento. Il Rinascimento è stato proprio quel momento in cui l’uomo ha espresso tutta la sua potenzialità, anche se, probabilmente, il mondo nel quale viveva era molto meno complesso di quello di oggi. E tuttavia quello che contava era l’atteggiamento dell’uomo rinascimentale: non esisteva niente che non fosse in qualche modo collegato a tutto il resto. Se si riesce ad avere un’idea delle cose e dell’ambiente nel quale viviamo di questo tipo e non invece settoriale, allora incomincia a funzionare anche lo scambio tra innovazione e impresa di cui parlava il prof. Dalla Val.

A questo proposito, c’è stato un momento vent’anni fa circa in cui era di moda lo slogan “piccolo è bello”, che sostengo ancora, ma solo dal punto di vista dell’innovazione, perché le grandi strutture dedicano pochissime risorse alla ricerca e alla sperimentazione. Ma anche credo poco a questi “incubator”, che tentano di fare nascere le imprese in batteria, in cui si tratterebbe di prendere qualcuno che ha un’idea e condurlo per mano fino a farlo diventare un imprenditore. Se questo individuo ha la capacità di diventare un imprenditore non ha bisogno dell’incubator, ma di condizioni ambientali che gli consentano di crescere e di lavorare. I polli possono nascere in batteria, non le aziende. In California, c’è un gruppo di imprenditori di alto livello che si sono autodefiniti “business angels”. S’incontrano a cena, come noi stasera, una volta al mese. C’è una struttura a monte che seleziona i personaggi che devono presentarsi a queste cene, loro sono attorno a un tavolo, tre persone per sera selezionate hanno tre minuti per esporre il proprio progetto d’impresa. Lo espongono in tre minuti ed escono. I commensali, da quello che hanno imparato in quei tre minuti, discutono. Chi di loro è convinto sottoscrive una certa cifra per iniziare quell’impresa. Chi ci mette dei soldi – non l’incubator che ci mette i soldi pubblici – scommette su quell’impresa, oppure non scommette e quel ragazzo, se vuole fare la propria impresa, la fa con altri mezzi. Questo è un modo per creare le condizioni per fare impresa. Il pubblico, invece, che non ha certo questo compito, deve creare le condizioni rispetto alle proprie competenze. A Miami, l’anno scorso, ho incontrato un ragazzo napoletano, figlio di un imprenditore edile, che mi ha raccontato la sua storia: era andato a fare una vacanza prima d’incominciare a malincuore a lavorare nell’azienda del padre, ma, finiti i soldi prima del previsto, pensò che non sarebbe stato dignitoso tornare a casa in quelle condizioni, perciò, si mise a lavorare come cuoco nell’albergo in cui si trovava. Dopo sei mesi, vide un localino che gl’interessava e pensò di aprire un ristorante. “Che cosa si deve fare per aprire un ristorante a Miami?”, chiese. Subito gl’indicarono un ufficio in cui gli diedero tutte le informazioni e, nell’arco di quindici giorni, poté aprire il suo ristorante. Raccontata in Italia una cosa del genere è incredibile. Abbiamo fatto un ministro per la sburocratizzazione, Bassanini, poi Bersani ha abolito le licenze, dicendo che basta una semplice comunicazione al sindaco, eppure, nel caso in cui ho dovuto trasferire un negozio non è andata proprio così: dopo avere scritto la mia bella lettera al sindaco, sono stato chiamato e mi sono trovato a dovere riempire un modulo di diciassette pagine, in cui bisognava dare una serie di informazioni sull’immobile, che io non potevo avere, perché sono di pertinenza del proprietario, ma che per di più il Comune avrebbe dovuto avere. Questa è la sburocratizzazione di Bassanini e di Bersani messi insieme! Se non lasciamo che le imprese siano gli strumenti con cui l’individuo esprime le proprie potenzialità nell’invenzione, il proprio cervello, è difficile che ci sia un secondo rinascimento.

A proposito del dispositivo tra le imprese, mi sento molto vicino a quello che diceva Dalla Val, che, partendo dal Rinascimento, mi ha già conquistato e poi lo ha fatto ulteriormente con alcune analisi che abbiamo ascoltato nel suo intervento.

Mettere in rete è essenziale, purché lo facciamo per gestire l’innovazione, una volta che l’innovazione sia nata dalla capacità dell’individuo, che sia un prodotto del cervello, o dell’impresa, che ha anch’essa un suo cervello, con una forte potenzialità a cui bisogna dare le condizioni per svilupparsi. Fatto questo, cerchiamo di metterci in rete.

Come Associazione, qualche mese fa, abbiamo avuto l’idea di metterci in rete per sfruttare nel nostro territorio – dove c’è un’eccellenza straordinaria, quella dei motori, tanto che abbiamo chiamato Motor Valley questa regione – un indotto che ricopre tutti i settori della nostra economia e della nostra cultura.

In realtà, erano trent’anni che ci pensavo e ne parlavo, ma è sembrata un’idea nata in quel momento.

È diventata un’idea nuova perché è stata calata al momento giusto: molte volte l’innovazione è anche un prendere qualcosa che già esiste, ma trovare il momento giusto, la situazione giusta e l’interlocutore giusto.