LA MANIFATTURA, LA BANCA, LA CITTÀ
Nel luogo
comune il bilancio è bilancio del passato, quindi parte dall’idea di fine del
tempo. Risulta invece essenziale per le imprese un bilancio dell’avvenire, che
tenga conto del progetto e del programma...
L’imprenditore
redige il bilancio annuale soltanto per conteggiare quante tasse dovrà pagare,
ma il bilancio per l’avvenire della sua impresa lo scrive ciascun giorno,
quando si ritrova davanti alla scrivania a conclusione della giornata per
controllare se sta percorrendo la strada giusta o deve modificare la direzione.
Tutti i giorni gli imprenditori pensano a come migliorare la produzione del giorno
seguente. Quando incontro altri imprenditori constato di avere in comune un
solo pensiero: come migliorare. Ma non è finalizzato a guadagnare di più,
perché il profitto per tutti gli imprenditori è costituito dalla tensione alla
qualità dell’azienda ciascun giorno, anche nelle piccole cose, com’è l’acquisto
di una scopa che spazzi meglio, per esempio.
Quali
sono le ipotesi di riuscita per i prossimi anni?
La crisi
dell’industria manifatturiera non c’è mai stata perché i suoi prodotti, oggetti
o strumenti, sono indispensabili per ciascuno. Anzi, le aziende che operano nel
settore hanno potenzialità inesplorate e avrebbero bisogno del supporto delle banche,
perché i nostri progetti sono vincenti nel 95 per cento dei casi. Oggi, per chi
si attiene a un progetto valido, c’è una quantità infinita di lavoro. Noi, per
esempio, abbiamo rilanciato il nostro laboratorio artigianale con il concorso
“The B-Side 2.0”, avviato in collaborazione con l’Ordine degli Architetti e il
suo presidente, Piergiorgio Giannelli, per premiare designer di vari paesi che hanno
inventato elementi di arredamento in marmo, nell’ambito della manifestazione
internazionale “Bologna Design Week”.
L’artigianato
è ancora la carta vincente della nostra economia…
In questo
momento storico, sembra che i servizi abbiano preso il sopravvento nella
gestione dell’economia globale. Eppure, soprattutto noi italiani, da sempre
artisti della manifattura, proprio in essa abbiamo il nostro valore aggiunto,
ma pare che nessun politico se ne accorga. Continuo a leggere sui giornali di
banche che hanno crediti deteriorati. Ma nessuno si è chiesto perché abbiano scommesso
sui prodotti finanziari, non finanziando invece i progetti delle imprese. Una
banca che sia tale impiega professionisti preparati per valutare se il progetto
che presenta l’imprenditore sia vincente oppure no. Ma è molto più semplice
preparare alla lettura dei numeri di bilanci contabili, che sembrano tutti
uguali, a prescindere da cosa produca ciascuna impresa. Inoltre, è vero che le banche
di credito cooperativo necessitano di un’organizzazione differente, ma proprio
queste banche sono indispensabili al sistema produttivo italiano. La loro forza
è che sono diffuse nel territorio, per questo devono sostenerlo di più: sono
migliaia le piccole e medie imprese che impiegano meno di cinquanta dipendenti.
I burocrati europei criticano la struttura delle nostre banche perché avrebbero
troppi sportelli in funzione, non accorgendosi che quest’organizzazione si è
modulata su quella economica del paese. È inutile confrontarsi con modelli come
la Francia o la Germania, perché hanno una storia economica molto diversa dalla
nostra.
In luglio,
mi sono recato in Francia, a Parigi e a Fougères, dove seguo alcuni cantieri.
L’estensione della superficie francese è cinque volte maggiore di quella
dell’Italia, con circa 90 milioni di abitanti, mentre noi ne contiamo 60. In
proporzione, la densità abitativa è minore e quindi gli spazi a disposizione
sono sconfinati. Basta attraversare paesi e strade, la cui manutenzione è
impeccabile, senza vedere nessuno, come accade anche per chilometri e
chilometri lungo le campagne fra un paese e l’altro. Per noi abitanti
dell’Emilia Romagna è qualcosa di surreale: percorrendo le strade che da Bologna
portano a San Giovanni in Persiceto, si vedono centinaia di imprese. Se
pensiamo che tra un paese e l’altro è impossibile viaggiare senza notare un
contadino che lavora in campagna o una macchina operatrice in azione, dovunque
si rivolga lo sguardo c’è qualcuno per la strada o al bar del paese. Nelle
periferie della Francia, invece, si vedono imprese con capannoni dalle
dimensioni che sono il doppio dei nostri e poi, entrando nel paese, non c’è il fabbro,
non c’è il meccanico, non c’è il falegname, non c’è il fornaio, non si vedono
artigiani. Benché operino industrie eccezionali, come per esempio quelle che a
Parigi hanno prodotto strutture in ferro meravigliose, non c’è manifattura
diffusa. È su questa che le banche devono investire.