I BENI INTANGIBILI E L'AVVENIRE DELL'IMPRESA
La
valutazione delle voci del bilancio di esercizio dev’essere effettuata, oltre
che nel rispetto del principio della “prudenza”, anche nella “prospettiva della
continuazione dell’attività”: è in questo principio normativo – espresso dall’art.
2423-bis del codice civile – che si annida uno degli aspetti maggiormente interessanti
(e forse trascurati) delle regole civilistiche, contabili e tributarie che governano
la redazione dello stato patrimoniale, del conto economico e della nota
integrativa (documenti ai quali per effetto della recente riforma si aggiunge il
rendiconto finanziario).
Per la più
autorevole dottrina che si è occupata dell’argomento, il criterio della
continuità aziendale richiede che i valori siano iscritti in bilancio sulla
base del presupposto che l’impresa prosegua la sua attività, persegua le
proprie finalità statutarie e faccia fronte alle obbligazioni assunte. Si
tratta, a ben guardare, di un caposaldo della disciplina del bilancio, che la
riforma contenuta nel recente D.Lgs. 139/2015 non ha minimamente toccato.
Fatto salvo
quanto precede, il principio descritto potrebbe però essere letto anche secondo
un’altra chiave di lettura: il postulato in commento, infatti, se da un lato
impone all’impresa di ancorare i dati di bilancio a rigidi criteri contabili –
in primis la “chiarezza”, la “veridicità” e la “correttezza” della situazione
patrimoniale e finanziaria –, dall’altro permette (potremmo dire impone) di
tenere conto delle sue prospettive future. Si tratta quindi di proiettare nei
decenni a seguire il potenziale materiale e immateriale di cui attualmente dispone
l’impresa: magazzino, risorse umane, beni strumentali, immobili, marchi,
brevetti, know how, avviamento e così via.
Sotto questo
profilo, giova sottolineare che nel caso in cui la situazione concreta non
permetta di fornire in modo agevole una “rappresentazione veritiera e
corretta”, si dovranno predisporre tutte quelle informazioni complementari “necessarie
allo scopo”, come prescrive la normativa codicistica.
Com’è noto,
le regole civilistiche vanno lette congiuntamente ai “principi contabili” (nazionali
o internazionali), cioè alle regole che presiedono la corretta redazione del
bilancio: nello specifico e in un’ottica prospettica, sembra rilevare innanzitutto
il principio contabile Oic 24, dedicato alle immobilizzazioni immateriali.
Con
specifico riferimento all’avviamento – cioè a quell’asset che esprime le
potenzialità economiche dell’impresa – viene precisato che esso “è costituito all’origine
da oneri e costi ad utilità differita nel tempo”.
L’avviamento
si presenterebbe quindi come un’entità in grado di esprimere la capacità dell’azienda
di trarre profitto dalle entità – materiali e immateriali – di cui dispone,
comprendendo in tale voce anche la “ricchezza intellettuale” degli individui
che la compongono e che vi operano, nonché i modelli mentali, la coesione, il
grado di condivisione.
In tale
contesto, potrebbe essere inquadrata anche l’attuale normativa finalizzata a
tutelare un altro bene intangibile che assume una straordinaria importanza nel
bilancio dell’impresa: il marchio, menzionato all’art.
2424 del
codice civile. Una recente conferma della valenza strategica di tale asset è
riscontrabile, da un lato, dall’introduzione (per opera della legge di
Stabilità 2015) del patent box – misura finalizzata a incentivare gli investimenti
in beni immateriali – e, dall’altro, dal debutto del nuovo “marchio
comunitario”, caratterizzato da un rafforzamento delle sue forme di tutela.
Ai fini
della determinazione del valore del marchio, a prescindere dal metodo
utilizzato (tra quelli individuati dalla dottrina che ha affrontato l’argomento),
si sottolinea che in linea generale è doveroso attenersi alle prospettive
future dell’impresa che ne è in possesso, e quindi fondare le valutazioni
soprattutto secondo una logica di “reddititività” (fatte salve ovviamente le
ipotesi in cui tale approccio non risulti percorribile).
Soltanto
sulla scorta di tali considerazioni può essere letta la definizione di marchio fornita
dal già citato principio contabile Oic n. 24: “Il marchio (insieme alla ditta e
all’insegna) è uno dei segni distintivi dell’azienda (o di un suo prodotto fabbricato
e/o commercializzato) e può consistere in qualunque segno suscettibile di
essere rappresentato graficamente, tra cui emblemi, parole, suoni e forme del prodotto
o della sua confezione”.
Tale
inquadramento non appare per nulla scalfito dalla circostanza che – come
precisato dal richiamato principio contabile (punto 98) – “Le immobilizzazioni
immateriali, costituite da beni immateriali, possono essere rivalutate solo nei
casi in cui leggi speciali lo richiedano o lo permettano”: l’eccezionalità
della rivalutazione non inficia infatti il principio della tendenziale
attitudine di tale bene a indicare le capacità future dell’impresa.