EURO E IMMIGRAZIONE. IL CASO POLONIA
Con il
referendum del 23 giugno scorso per l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione
Europea, l’euroscetticismo che si sta diffondendo in Europa ha raggiunto un
obiettivo importante. Secondo i dati previsionali della Commissione europea, riportati
dal “Sole 24 Ore” del 27 gennaio 2015, anche in Polonia si registra un forte
blocco alternativo contro le politiche di Bruxelles: dopo le elezioni
parlamentari dell’ottobre 2015, il gruppo euroscettico Conservatori e
Riformisti Europei è cresciuto al 37,58 per cento ed è diventato il partito
egemone.
Questo
euroscetticismo è alimentato dalla questione migratoria: il governo polacco
sostiene tutti i mezzi che possono contribuire a porre fine all’inaccettabile
perdita di vite umane nel Mediterraneo, a mettere ordine nei flussi migratori, a
smantellare l’organizzazione dei trafficanti di esseri umani e a rafforzare le
frontiere esterne dell’UE. Ma la Polonia contesta la riforma del sistema di
Dublino, che vuole stabilire un meccanismo permanente e obbligatorio di
distribuzione dei rifugiati tra i vari paesi, salvo un contributo di
solidarietà di 250 mila euro a emigrato respinto. La UE assegna settemila
rifugiati alla Polonia, che però pone le seguenti condizioni. Primo: nessuna
accettazione dei migranti costretti a venire in Polonia contro la loro volontà
e nessun ricollocamento forzato; secondo: ciascun migrante deve essere in grado
di provare la sua identità; terzo: i migranti non devono far correre alcun
pericolo alla sicurezza della nazione. Ma, soprattutto, risulta inaccettabile
che, con la riforma prevista, in Polonia verrebbero collocati immigrati
provenienti anche da paesi come il Nord Africa, che non sarebbero mai arrivati
in territorio polacco. Bisogna anche notare che il meccanismo proposto per
l'assegnazione correttiva si basa sul sistema attuale di ricollocamento, che
non funziona, e non tiene conto degli attuali problemi derivanti dal
malfunzionamento degli hotspot (strutture allestite per identificare i
migranti, registrarli, raccogliendo le loro impronte digitali), che causano
molti problemi per la verifica dei candidati e il loro ricollocamento. Per
questo motivo riteniamo inaccettabile l’introduzione del contributo di
solidarietà: se venisse confermato, la Polonia dovrebbe pagare circa un
miliardo e mezzo di euro per evitare di accogliere 6.200 profughi dalla Grecia e
dall’Italia. È una somma sproporzionata. Il contributo di solidarietà per i
paesi dell’Est rappresenta una forma di multa e di ricatto inaccettabili.
I fondi
europei sono un altro aspetto importante nelle relazioni fra Polonia e Unione
Europea. La Polonia è il maggiore beneficiario di fondi strutturali di coesione
dei paesi membri dell’UE: nel periodo 2014-2020 riceverà all’incirca 82,5 miliardi
dei 450 stanziati complessivamente. I fondi strutturali sono un carburante
indispensabile per la Polonia, che li utilizza in maniera esemplare, avendo
assorbito la totalità dei finanziamenti per la programmazione dal 2007 al 2013.
L’ingresso nell’UE, avvenuto il 1° maggio 2004, ha comportato per la Polonia un
aumento di credibilità internazionale, che ha permesso di attirare con più facilità
gli investitori esteri e di pagare un premio di rischio minore in punti
percentuali. L’afflusso di fondi di coesione dell’UE negli ultimi anni, pari a
circa il 3 per cento del Pil, ha permesso alla Polonia di vivere una vera e
propria rivoluzione infrastrutturale, come dimostra il fatto che dal 2007 al
2011 il chilometraggio delle autostrade è triplicato. Sempre grazie
all’afflusso dei fondi europei, la Polonia nel 2009 ha vissuto il cosiddetto
effetto “isola verde”, cioè è stato l’unico paese dell’UE a resistere alla
recessione mondiale senza subire un crollo del Pil. Dopo dieci anni di adesione
all’UE, da un bilancio consuntivo dell’utilizzo dei fondi strutturali europei,
emerge che la Polonia ha creato più di 300 mila posti di lavoro e oltre 225 mila
nuove aziende, ha costruito 11 mila chilometri di strade e ponti e 1661 nuove
linee ferroviarie, ha rinnovato il parco mezzi del trasporto pubblico e
riqualificato i quartieri periferici delle città, ha aperto nuove scuole pubbliche
e ristrutturato ospedali, ha creato 40 mila chilometri di linee internet a
banda larga e ha investito nel settore della ricerca scientifica e dello
sviluppo.
Ora si sta
avviando una nuova era dell’economia polacca. Il vice premier e Ministro per lo
sviluppo Mateusz Morawiecki ha presentato un piano per lo sviluppo economico del
paese con misure ambiziose per sostenere l’innovazione e la competitività del
sistema economico polacco, per stimolare la crescita e portare il Pil oltre la
media europea entro il 2030. I pilastri di questo piano sono soprattutto
cinque, il primo dei quali riguarda l’industrializzazione, che va potenziata e pensata
in funzione del mercato europeo. Per cogliere questo obiettivo, si punterà
sulle zone economiche speciali e su programmi governativi per sviluppare
settori specifici quali la cantieristica, che va rilanciata, la costruzione di
mezzi di trasporto ferroviari e gli armamenti. È un invito alle imprese
italiane, che possono approfittare di questi programmi per investire ancor di
più. Fra gli altri pilastri del piano, cito la semplificazione normativa per l’imprenditoria,
l’offerta di incentivi ai risparmiatori per investire nelle aziende,
l’esplorazione di nuovi mercati, e la conseguente ricerca di nuovi sbocchi per
l’export, nonché lo sviluppo regionale tramite una politica nazionale che
coincide in tutto e per tutto con gli scopi dell’UE. Secondo i dati ufficiali
raccolti dall’Istituto centrale di statistica e diffusi nella metà di aprile
2015, la crescita si è attestata sul 3,6 per cento del Pil. È un dato ancora
inferiore agli auspici del vice premier Morawiecki, ma ben al di sopra della media
dei paesi dell’Eurozona, ferma all’1,5 per cento. Il governo prevede che la
crescita nel triennio 2016-2019 toccherà il 4,1 per cento – stime confermate
dal Comitato europeo delle regioni – e sottolinea l’importanza dei fondi di
coesione che hanno permesso alla Polonia di crescere dell’1,7 per cento in più
su base annua.
Morawiecki è
giunto a affermare che uno dei problemi del paese è l’eccessiva dipendenza
dell’economia dalle finanze non polacche, per cui vuole ridurre il neoliberismo
che ha arricchito il paese e rinazionalizzare alcuni settori dell’economia, sul
modello dell’ungherese Victor Orbàn. Queste e altre misure simili potrebbero
portare alla fuga dei capitali esteri, ma ciò non è temuto, anzi è quasi un
obiettivo. Per questo oggi le imprese europee, comprese quelle italiane,
cercano di trattare con Varsavia per ottenere lavoro. Il 16 giugno scorso, la
Confindustria italiana ha chiesto un incontro con il governo polacco per
cercare di ottenere commesse per le nostre imprese.
L’eccezionale
forza che oggi contraddistingue la Polonia è il frutto di scelte e decisioni
molto oculate e coraggiose. Una realtà che fino a poco tempo fa veniva
identificata attraverso l’immagine dei lavatori di parabrezza ai semafori oggi
è in grado di dettare condizioni essenziali allo strapotere di Bruxelles. Nulla
vieta che, al di là delle attuali barriere, la Polonia inizi a far spesa sul
nostro territorio insieme ai tedeschi, ai francesi e agli olandesi, che già lo fanno
da tempo, e insieme a quanti altri hanno interesse ad arricchirsi in modo
rapido acquistando pezzi d’Italia a un prezzo irrisorio, pezzi che in realtà
valgono molto di più, perché sono frutto di grande impegno, di grande
genialità, di grandi sacrifici e di grande lavoro del popolo italiano.