L’EQUILIBRIO E IL BILANCIO DELL’OCCORENZA
Lanx: dal greco lékosin, “piatto”, anche “vassoio”, “lancia”, il piatto non
circolare, da portata. La satura lanx,
il piatto da portata pieno di vivande e saporito di spezie: da qui la satira,
il motto smodato, piccante, la sapida ironia. Lanx: il piatto per i cibi, e per l’ironia, ma anche il piatto
della bilancia. Bilancia: due lance, due piatti. Devono stare in equilibrio?
“Equilibrio” da aequus, “uguale” e
librare, “pesare”, da cui libra: “bilancia”.
La bilancia,
l’equilibrio. Ma la bilancia vale a compensare, allineare, parificare i piatti?
Proprio la satira indica come il piatto si sbilanci, come la parola non sia
equilibrata, non consenta la parità e l’appiattimento. Alto-basso,
positivo-negativo, bene-male: ossimoro, equilibrio originario, contrasto
irriducibile. La satira con la sua ironia: quel che la grammatica definisce
“figurazione mediante contrario” e Marina Mizzau “contraddizione consentita” è
figura dell’apertura, questione aperta, paragone impossibile, contrasto
irrimediabile.
La satira
sottolinea che le cose, anche i piatti della bilancia, procedono dal due,
dall’apertura, dall’ironia. La satira è insopportabile per ogni
fondamentalismo, che toglie l’apertura, per cui vorrebbe che la bilancia fosse
pari, che i piatti fossero appiattiti, piani, uguali, senza il gusto della
differenza e della varietà. Bilancia, il cui equilibrio sarebbe l’appiattimento,
bilancia debitrice del peso (in latino libbra) per cui l’equilibrio sarebbe la
parità dei pesi, l’equilibrio sottoposto alla gravità, il peso come colpa.
Tolto il due, tolta l’apertura, tolta la satira, la bilancia diventa la
bilancia di Osiride che, secondo il Libro dei morti dell’antico Egitto, deve
misurare il peso del peccato pesando l’anima.
In questa
psicostasia, in un piatto viene posta l’anima e nell’altro una piuma: se i
piatti restano pari, e dunque l’anima ha il peso di una piuma, il defunto viene
ammesso nel regno dei morti, ma se l’anima pesa più della piuma, egli viene
sbranato dal mostro Hammit. Dalla bilancia di Osiride viene l’idea della
bilancia come simbolo di giustizia, per cui la giustizia viene confusa con la
parità e l’uguaglianza: la bilancia della parità deve togliere la
contraddizione, deve dividere il bene dal male. La bilancia della giustizia,
secondo il mito di Osiride, deve mirare al pareggio, in cui l’equilibrio è il
fine, non l’apertura, è ciò a cui le cose devono tendere, anziché ciò da cui
procedono.
Per Il libro dei morti e per l’attuale
ideologia giustizialista e burocratica, occorre che l’anima sia parificata alla
piuma, all’unità di misura, allo standard, all’idealità.
Questa
bilancia a fin di bene e di giustizia esige la purificazione dal peso, è
purista, non indaga la storia, la memoria, l’esperienza di ciascuno. Non
importa il fare, importa la piuma, una piuma senza più leggerezza perché è
divenuta sostanza, feticcio, riferimento. Un peso morto, perché la morte sia la
misura del valore convenzionale. E importa il pareggio, che i piatti siano
pari, che si raggiunga e si mantenga l’equilibrio prescritto.
La bilancia
di Osiride costituisce la base del bilancio ordinario e ordinale, il bilancio
della burocrazia occidentale: il principio del pareggio del bilancio (fiscal
compact) è stato stabilito dal Trattato sulla stabilità economica sottoscritto
a Bruxelles il 2 marzo 2012 da 25 Stati dell’Unione Europea e, nello stesso
anno, è stato inscritto nella Costituzione Italiana.
Un pareggio
ideale, che non tiene conto dei soldi, delle merci, del tempo, delle imprese in
ciascuna città e nazione: quel che conta è il bilancio in pareggio.
Bilancio
della standardizzazione, bilancio del purismo, che ha dinanzi l’alternativa tra
positivo e negativo, tra buono e cattivo, che così diventano dicotomie, innanzi
a cui l’azione può essere moralizzata, giudicata come bene o come male, sotto
il principio del minimo male necessario, variante del principio del terzo
escluso. È il bilancio del negativo, in cui il ricordo formalizza idealmente
l’attuale, il fare, il tempo. Se procede dall’unità anziché dal due, il
bilancio deve attenersi alla copertura, può sempre perdere l’equilibrio
originario, e allora deve cercarlo, ristrutturando, consolidando, tagliando,
limando, pareggiando, sempre chiamando al sacrificio e rimandando
l’investimento. Escluso il terzo, l’Altro, viene privilegiato il terziario
opponendolo al manifatturiero, viene rappresentato l’Altro idealizzandolo nel
migrante ridotto a risorsa.
L’imprenditore
non può accettare che il bilancio venga considerato la rappresentazione,
presunta obiettiva e reale, dell’azienda, diventando l’alibi, spesso suggerito
da commercialisti e funzionari, per delimitarne il programma o addirittura
deciderne la chiusura. Sarebbe il bilancio dettato dall’idea di morte,
dall’idea di fine del tempo, non il bilancio del tempo che non finisce. Il
tempo dell’impresa non finisce, il terzo non può escludersi, l’Altro non si
rappresenta. Il bilancio che procede dall’equilibrio, dall’apertura non è del
passato, è dell’attuale, addirittura dell’istante, e viene redatto ciascun
giorno, nella partita, come Niccolò Machiavelli chiamava la giornata. Questo
bilancio è la scrittura dell’esperienza dell’impresa, del suo tempo, per cui
questa scrittura è ben oltre gli algoritmi e non insegue il pareggio, ma la
riuscita.
Bilancio di
beni insostanziali e non presenti, in cui il progetto e il programma, la
scommessa e il rischio sono elementi per il valore dell’impresa, che va colto
considerando il proseguimento e l’avvenire, come scrive nel suo articolo Paolo
Duranti. Intellettuale e non sostanziale, questo bilancio dimora nel racconto,
nella fabula: è il bilancio del fare, il bilancio pragmatico, il bilancio di
qualità. Non il bilancio dell’economia politica che, idealmente, elimina il
fare, il terzo e l’Altro senza cui non interviene il business, intellettuale
come il bilancio. Il bilancio ordinale e ordinario, dell’appiattimento e
dell’appianamento, è il bilancio senza il business intellettuale, che,
eliminato, si fa business della morte.
I criteri
che vengono seguiti per redigere il bilancio secondo la funzione di morte, il
bilancio di Osiride divenuto il bilancio della burocrazia fiscale, sono criteri
ontologici e criteri ideologici, miranti alla distruzione e alla rinascita,
all’incenerimento e alla renovatio.
Il bilancio del secondo rinascimento esige criteri non mortiferi, che tengono
conto della memoria dell’impresa, dei suoi progetti e dei suoi programmi, dei
suoi dispositivi, come provano le interviste agli imprenditori in questo
numero. Per questo è bilancio intellettuale, bilancio del tempo,
dell’occorrenza, di ciò che avviene e che diviene.
Nessun peso, nessun piano, perché questo bilancio
procede dall’ironia e punta al valore dell’azienda per via di malinteso, non
cercando intese o condivisioni.