I NUMERI DELLA MODA IN CASA CREA SI
Oltre
all’eccellenza nella realizzazione di modelli – che ci fa ammirare in passerella
meravigliosi prototipi per Armani, Versace, Trussardi, Guess e altre grandi
case di moda di tutto il mondo – Crea Si vanta un impegno costante nella
formazione e nel coinvolgimento delle persone che lavorano nell’azienda e che
non si limitano a svolgere il compito per il quale sono state assunte, ma s’interessano
all’esperienza nella sua globalità. In che modo questo si avverte nel suo
lavoro di responsabile dell’amministrazione?
Fin dal
primo giorno di sei anni fa, durante l’incontro con l’imprenditrice, Gloria
Trevisani, che mi proponeva un’assunzione part-time di sei ore al giorno, ho
avvertito la tentazione di assumere in modo assoluto la responsabilità per un
aspetto così importante come l’amministrazione del conto economico. Infatti,
dopo avere capito la mole di lavoro che era necessaria per mettere ordine
all’ufficio, alla proposta dell’imprenditrice, risposi che ci sarebbero volute
otto ore, non sei, spiegando i motivi. A questo va aggiunto che mi accorsi
subito della vivacità dell’ambiente di lavoro, ricco di continui stimoli e di
continue opportunità di crescita. Non è secondario che in un’azienda
l’imprenditore o l’imprenditrice favoriscano il confronto costante con e fra i
collaboratori. D’altronde, non avrei mai potuto fare la semplice impiegata: ho bisogno
di essere partecipe, di dare il mio contributo, di esprimere la mia opinione, a
costo di andare controcorrente, a volte.
L’economista
Emilio Fontela, già alla fine degli anni novanta, scriveva che sempre più, in
azienda, ciascuno dev’essere brainworker. Le aziende composte da esecutori
ormai sono in via di estinzione, perché oggi la vita e la società sono talmente
complesse che esigono l’ingegno di ciascuno, non solo dell’imprenditore.
In che
modo lei interviene se, per esempio, un cliente non rispetta i tempi di
pagamento?
Fortunatamente,
abbiamo un parterre di clienti consolidati, che si attengono ai tempi
stabiliti. Ma, soprattutto in momenti di crisi, può capitare di dovere compiere
qualche sforzo in più per ottenere il dovuto. Allora, non mi do pace finché non
l’ho ottenuto, perché so che l’azienda vive di numeri e non può farne a meno.
Inoltre, so che devo garantire all’imprenditrice e a tutto il personale la
tranquillità per potere dedicarsi alla produzione ed esprimere la creatività
nella realizzazione di modelli, anziché nel recupero crediti o nella ricerca di
fondi e finanziamenti. Questo è il mio compito, anche se, come dicevamo, non mi
sento estranea a nessun altro aspetto e, proprio come se l’azienda fosse mia,
faccio notare se ci sono inutili sprechi ed esprimo il mio parere anche sugli
investimenti che occorrono e sul modo in cui reperire le risorse necessarie o programmarle
nel tempo.
Quanto
conta la famiglia e l’educazione che ha ricevuto dai genitori, in questo approccio
globale al lavoro?
Sono la
sorella maggiore di cinque figli e, già all’età di sei anni, mia madre mi
affidava i fratelli minori quando doveva assentarsi per motivi di lavoro.
Questo ha comportato che intendessi fin da bambina quanto sia importante
assumere una responsabilità e dare un contributo secondo l’occorrenza della
famiglia e della casa.
D’altronde
il termine economia deriva dal greco oikos (casa) e nomos (norma):
da bambina era la casa familiare e da adulta è stata la casa di produzione a
suscitare il suo interesse nella vita. E, dall’anno scorso, una nuova casa è
nata da Crea Si: l’Opificio Modenese. Cosa può dirci di questo progetto?
Dopo oltre
vent’anni di attività al servizio delle principali case di moda, Crea Si lancia
un progetto che non si traduce tanto in un brand o in una collezione, quanto in
una ricercata selezione di capi della migliore qualità sartoriale. Pensando al
progetto di Opificio Modenese, ci siamo chiesti: “Che cosa vorremmo avere nel
nostro armadio?”. La risposta, per chi unisce alla manualità artigianale le più
avanzate tecnologie informatiche, offrendo al cliente un risultato impeccabile,
era semplice: abiti capaci di fare sentire ciascuna donna unica, abiti capaci
di trasmettere eleganza e sicurezza, in ogni occasione e in ogni stagione, capi
eccellenti in ogni loro aspetto, frutto della ricerca di materiali pregiati, dello
studio dei modelli e delle prove a regola d’arte per ottenere la migliore vestibilità
possibile.
E la
scelta del nome a cosa è dovuta?
Opificio
deriva dal latino Opifex “artefice, artigiano che con maestria e
manualità trasforma la materia prima in prodotto finito”. L’aggettivo “modenese”
intende ribadire il patrimonio di un saper fare artigianale al quale il nostro
territorio è votato e a cui Gloria Trevisani è legata.
Il progetto
è molto ambizioso, anche perché sul mercato non manca l’offerta, ma ho
suggerito di puntare molto sui mercati esteri, per diversi motivi: l’azienda in
cui lavoravo prima, per esempio, è fallita anche a causa dei ritardi nei
pagamenti dei clienti, che in alcuni casi arrivavano addirittura dopo un anno.