RCM: L'INDUSTRIA DELLE MACCHINE FATTE A MANO

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responsabile produzione RCM Spa, Casinalbo (MO)

La R.C.M. – una delle prime fabbriche italiane di motoscope e lavasciuga – con lei è alla quarta generazione. In che anno e in che modo ha preso le redini della produzione, per proseguire il contributo che la famiglia Raimondi ha dato all’industria meccanica fin dal lontano 1899, anno in cui il suo bisnonno Ippolito avviava la produzione artigianale di biciclette a Parma?
Dopo avere lavorato per alcuni anni come responsabile dell’ufficio tecnico, settore di cui ora è responsabile mio padre Renzo, nel 2009 fui incaricato di organizzare il layout dello stabilimento di via Radici a Casinalbo di Formigine (MO), dove avremmo trasferito la produzione, che fino a quell’anno era rimasta nella sede storica di via Tiraboschi, attualmente sede amministrativa. Pur essendo delle stesse dimensioni del precedente, il nuovo stabilimento avrebbe ospitato una linea di produzione in più, inoltre, aveva un magazzino meno ampio e non poteva usufruire del magazzino esterno che utilizzavamo in via Tiraboschi. Quindi la sfida non era piccola.
E in che modo è riuscito a vincerla?
Abbiamo rivoluzionato completamente la gestione e la programmazione dei rifornimenti. Aumentando la rotazione del materiale, abbiamo ottenuto un doppio beneficio: abbiamo ridotto lo spazio necessario al magazzino interno e siamo riusciti a creare una linea di produzione in più. In questo modo, si è abbassato anche il valore del magazzino, diminuendo notevolmente i rischi di un’esposizione finanziaria elevata, che, soprattutto nei momenti di difficoltà di mercato come quelli degli ultimi anni, sono decisamente da evitare.
Come hanno risposto a questa rivoluzione coloro che dovevano provvedere più velocemente all’approvvigionamento dei materiali?
Ho assunto io stesso l’incarico della programmazione e sono passato da una cadenza semestrale a una trimestrale, fino ad arrivare oggi a una programmazione mensile. Negli ultimi due anni, abbiamo avuto un portafoglio ordini da uno a due mesi, mentre nei primi anni della crisi avevamo un portafoglio ordini a un mese scarso. I fornitori hanno dovuto trasformare parecchio la loro gestione, perché il cambiamento è stato notevole e non tutti sono riusciti a seguirci, in quanto non tutti erano in grado di fornire il materiale in tempi brevi. Adesso che il mercato, in generale, è molto più rapido e richiede sempre più una produzione just-in-time, noi siamo stati avvantaggiati, perché abbiamo anticipato la tendenza, istruendo i nostri fornitori ad avere tempi di reazione diversi, anche se non è stato facile e immediato farlo capire loro.
Quali sono i materiali che acquistate dai fornitori?
Noi produciamo solo il 10 per cento dei componenti delle nostre macchine, quindi il ventaglio di fornitori è molto ricco e variegato. Nel settore della meccanica in particolare, i fornitori sono molto specializzati o sono riuniti in un cartello di distribuzione abbastanza ampio. Allora, poiché ciascun componente richiede il rapporto con un fornitore specifico, noi ne abbiamo circa tremila, anche perché spesso abbiamo il doppio fornitore per uno stesso componente, sia per metterli in concorrenza sia per evitare di rimanere sprovvisti di qualche pezzo importante.
Come hanno reagito i collaboratori al nuovo layout dello stabilimento?
In realtà, l’abbiamo costruito insieme. Dopo avere eseguito la mappatura dello stabilimento, l’ho sottoposta ai vari responsabili di linea e di magazzino, con i quali ho condiviso gli obiettivi fin dal primo giorno. Se le linee sono rimaste invariate dal 2009 è anche perché non ho imposto assolutamente nulla, ma ho ascoltato i loro suggerimenti e così ho evitato che, in seguito, qualcuno mi attribuisse la responsabilità per eventuali scarse funzionalità organizzative nel lavoro.
Quali sono state le principali difficoltà da quando è diventato responsabile di produzione?
La difficoltà maggiore per me rimane a tutt’oggi la gestione dei collaboratori che, nonostante abbiano dai venti ai cinquant’anni, a volte hanno un approccio infantile ai problemi relazionali. I problemi tecnici si risolvono, ma quelli umani sono i più difficili, e non hanno età. Questo è uno dei motivi per cui mi reco spesso nelle linee di produzione, perché per me è importante parlare con ciascuno dei miei dipendenti, per accorgermi subito se qualcosa non va, senza aspettare che si crei un problema. E per questo sono abituati a chiamarmi e a dirmi se qualcosa non va fra loro. Ma questo non vuol dire che senza di me si fermi tutto. Non ho mai voluto che succedesse una cosa simile e so che posso fidarmi in modo assoluto dei responsabili e di persone che lavorano qui da molti anni.
Infatti, se avete un’anzianità lavorativa elevata, l’ambiente di lavoro deve essere più che soddisfacente…
Noi non abbiamo catene di montaggio e anche i tempi di produzione li abbiamo rilevati a partire dal ritmo che riescono a mantenere in media le persone che lavorano in ciascuna linea. Inoltre, le nostre macchine sono montate singolarmente, in quasi tutti i modelli, e questo contribuisce a dare all’operatore maggiore responsabilità, ma anche maggiore gratificazione.
Ecco perché nelle interviste precedenti abbiamo sottolineato l’artigianalità industriale a proposito delle vostre macchine, quasi fatte a mano…
Sono veramente fatte a mano, al 100 per cento. Noi diamo le istruzioni sugli standard da rispettare e il montatore deve fare in modo che la macchina superi la prova del collaudo.
R.C.M. vanta una vasta gamma di quasi cento fra tipi e modelli di macchine. Quali sono i modelli che ha progettato lei quando lavorava all’ufficio tecnico?
L’Alfa, la Slalom e l’Atom Plus.
Qual è l’innovazione del modello Alfa, per esempio?
Quella che abbiamo chiamato Smart Traction, “trazione sveglia”: anziché una sola spazzola, l’Alfa ne ha due controrotanti che, mentre ripuliscono il pavimento, fanno anche avanzare la macchina. È la prima macchina con il telaio completamente rotazionale, costruita con un materiale plastico, che rende facile l’uso e la manutenzione; inoltre, con i suoi comandi intuitivi, può essere usata senza istruzioni particolari, è leggera da guidare e quindi non affatica l’operatore. Non ultimo, ha il vantaggio di essere molto economica all’acquisto perché altamente industrializzata.
Quali sono le principali soddisfazioni che le ha dato il suo lavoro dal 2009 a oggi?
Soddisfazioni ne ho avute tante, fin da subito, appena ho constatato che lo stabilimento funzionava bene. La più bella soddisfazione comunque è arrivata con i risultati dell’anno scorso, in cui abbiamo prodotto 350 macchine in più dell’anno precedente impiegando lo stesso personale. Per noi, che produciamo 4000 macchine all’anno, 350 macchine in più fanno la differenza. Ma anche avere ridotto l’esposizione del magazzino di un milione di euro è stata una bella soddisfazione, nonostante abbiamo aumentato la produzione.
Quali sono i programmi per i prossimi mesi?
Stiamo avviando la produzione di una macchina particolare, di cui finora abbiamo prodotto solo nove esemplari all’anno: quest’anno dovremmo passare a cinquanta, destinati al mercato tedesco. Questa è la prossima sfida e abbiamo dovuto allestire una linea dedicata e formare diverse persone per raggiungere questo obiettivo.
Anche lei, come suo padre, corre con le auto storiche di famiglia o ha qualche altro hobby?
Prima correvo, ma ormai partecipo solo a tre o quattro gare all’anno. L’altro mio hobby invece è lo sci, che è stato anche una professione. Ho fatto persino carriera come atleta fino all’età di ventidue anni e sono stato in squadra con Alberto Tomba. Poi sono diventato maestro di sci, ho avuto una scuola per tredici anni, avevo anche un negozio di noleggio sci: tutte attività che mi hanno dato una formazione che mi è stata utile anche in azienda. Adesso non ho più la scuola, perché era troppo impegnativa, ma insegno come libero professionista, perché ho molti clienti che seguo nei weekend.
Ha incominciato a sciare da bambino?
Ho iniziato a tre anni, come tutti i miei cugini, perché i fratelli Raimondi – Renzo, Romolo e Roberto –, tra l’altro, costruivano skilift. Romolo è stato anche campione regionale di discesa libera, ma tutti i fratelli partecipavano alle gare di sci e ci hanno trasmesso questa passione.
È una bella esperienza. Tra l’altro, la parola sport deriva dal latino “diporto” e indica movimento fuori dalle mura della città. Per chi ama la meccanica forse non è casuale l’impegno nello sport…
La pratica di uno sport ha due facce: se da un lato aiuta a imparare l’importanza delle regole, dall’altro impedisce alle persone di stare ferme, insegna quella spinta al movimento costante che non le abbandona più. Lo sport è una scuola di vita, insegna che, per ottenere un risultato, occorre darsi da fare, perché nessuno regala niente. E lo sci, inoltre, è uno di quegli sport in cui si capisce che il giudizio è del tempo, non di qualcuno che ti considera più o meno bravo, perché i risultati sono misurati da un cronometro, non da una giuria.
Comunque, ho sempre portato anche nel mio lavoro la tendenza a non stare mai fermo e a seguire l’occorrenza, senza mai fissarmi in un ruolo: attualmente sono responsabile di produzione, ma se valutassimo che occorre il mio impegno in altri reparti, per esempio, in quello commerciale, non sarebbe un problema imparare ciò che occorre per ottenere risultati anche come agente. Mi piace anche fare cose nuove e non mi pongo limiti, assolutamente.