RAGIONI DI UN’OSTILITÀ
L’attuale
attacco giudiziario contro Armando Verdiglione non è incominciato con il
normale controllo fiscale che ha portato al processo, ma partecipa di una
vicenda iniziata intorno alla metà degli anni ottanta, che denota un’ostilità a
vasto raggio nei confronti di un attore importante della cultura. Non sono
psicanalista, quindi non ho interesse a difendere una scuola anziché un’altra:
considero il modo con cui Verdiglione opera e lo confronto con la prassi, le
abitudini, le regole e le convenienze con cui operano gli intellettuali
all’interno della nostra società. Mi riferisco al mondo dei filosofi che vengono
chiamati ai festival di filosofia, che vengono nominati nelle accademie:
conoscete qualcuno di costoro in Italia che tenga conferenze di filosofia senza
chiedere considerevoli cachet? Conoscete qualche intellettuale che scriva libri
senza avere già accordi con una casa editrice, con i diritti d’autore
garantiti? Quanti sono i filosofi e i pensatori che hanno sfruttato il loro grado
di notorietà per diventare deputati o senatori, occupando cattedre universitarie
e accademie? Gli intellettuali che partecipano a tutti i concorsi, dal
Campiello alle gare di lettura, non sono sempre gli stessi? Dopo Pasolini,
potete indicare un nome che mostri un certo grado di libertà di pensiero? Da
giovane ho vissuto il conformismo, soprattutto in quanto appartenevo a un
partito politico al cui interno eseguivamo ordini e disposizioni, perché
eravamo, come diceva Elio Vittorini in polemica con Togliatti, “pifferai della
rivoluzione”. Ma da quando quel mondo si è vanificato, se ne è realizzato un
altro, in cui il lavoro intellettuale ha veramente perso qualsiasi criterio. È
evidente cioè che in Italia non esiste una cultura che rappresenti davvero uno
spirito libero. C’è qualche giornalista che sia indipendente dall’editore di appartenenza
e dai partiti di riferimento?
Per questi
motivi, ho il sospetto che Verdiglione, fin dagli anni ottanta, sia stato messo
in una lista nera, perché ha avuto una risonanza mondiale senza essere
ordinario all’università, senza avere un partito di appartenenza, senza avere
tariffe per la formazione. Si è comportato in modo anomalo, avendo per di più
il merito di raggiungere un grande successo: negli anni ottanta, chi in
Giappone o a Parigi parlava della psicanalisi italiana non nominava Cesare
Musatti, che pure qui in Italia ne era considerato il santone, all’estero
citavano Verdiglione. Ma al di là dei contenuti e della teoria, l’attività di
Verdiglione è talmente differente dal comune modo di organizzarsi di molti
settori intellettuali – che vivono di opportunismi – da avere provocato fastidio.
Ha dato fastidio a chi, nella vita politica e culturale, conta per via dei suoi
legami con la massoneria, con la politica, con le accademie, con i giornali.
Verdiglione è al di fuori di tutto questo e, poiché è diventato un simbolo, ha
dato fastidio e ha suscitato ostilità.
Incontrai
Verdiglione quando lui incominciò a occuparsi, nella seconda metà degli anni
ottanta, dei dissidenti russi. Mi interessava la questione che ponevano loro,
non Verdiglione: pur essendo iscritto al PCI, non sono mai stato filosovietico,
consideravo i dissidenti veri portatori di un’istanza di libertà. Quando incominciarono
a venire in Italia, invitati da Verdiglione, ero responsabile della cultura per
il PCI a Bologna e andai immediatamente al primo dibattito, senza chiedere il
permesso a nessuno. Non ricordo con quale intellettuale dissidente fu organizzato:
forse Aleksandr Zinov’ev, forse Vladimir Maximov. Una volta venne anche Elena
Bonner, moglie di Sakharov. Dal PCI, fin dal giorno dopo, spararono a zero su
di me, anche sul giornale “L’Unità”, nonostante sottolineassi che si era
trattato di un dibattito, non di un’adesione. Eppure, il PCI, in quegli anni,
cioè dopo Praga, dopo la Polonia, a parole era orgogliosamente critico contro
la potenza sovietica; anche Berlinguer aveva sostenuto che il comunismo
sovietico aveva perso la sua spinta propulsiva. Pertanto, al Comune di Bologna avrebbero
dovuto essere contenti che qualcuno fosse andato incontro ai dissidenti
sovietici per cercare un dialogo, per cercare elementi di un socialismo dal
volto umano. Invece, anche i miei colleghi dell’università si scandalizzarono:
“Ma sei stato al dibattito con Verdiglione?”. Allora mi chiesi: ma perché no?
Ho provato anche a chiederlo a qualcuno, ma avvertii molta omertà; nessuno mi rispondeva:
“Perché Verdiglione dice stupidaggini, perché Verdiglione non merita un
dibattito!”. No, solo un muro di ostilità. Intanto, quando mi recai a un
convegno alla villa San Carlo Borromeo, sede della Fondazione Armando
Verdiglione, rimasi senza parole nel constatare che si agiva, si scriveva, si
discuteva in modo interessante, magari anche di difficile comprensione, però
con uno spirito che non è certo quello di chi vuole fare speculazioni
commerciali. La prima volta che andai alla villa rimasi molto colpito, perché
incontrai Jean Ellenstein, il più grande studioso dello stalinismo, di cui ha
prodotto tutta la relativa documentazione. Avevo letto i suoi libri e
incontrarlo lì, mentre discuteva sulle ragioni dello stalinismo, fu
un’esperienza incredibile. Intervenivano russi, ma non solo. Avvenivano
discussioni a tutto campo. E come nascevano i libri editi da Spirali? Chiamando
una persona che aveva qualcosa da dire, intervistandola, compiendo un lavoro di
editing, senza censure dettate dalle proprie convinzioni. Questa è serietà di
lavoro, non è solo la tenacia di un gruppo che condivide obiettivi: è un
modello che purtroppo dà fastidio al nostro ordinamento sociale perché prevede
dedizione, spirito di collaborazione e la parola come elemento centrale, anche
al di là della formulazione prettamente cifrematica. Dopotutto, anche il Vangelo
di Giovanni incomincia con “In principio era la parola”.
L’intento
persecutorio nei confronti di Verdiglione non è tanto legato al comportamento
inquisitorio dei marescialli della finanza, ma è il segno di un’ostilità di
regime nei confronti di un pensatore che non è allineato, non partecipa al mercato
come gli altri e presenta un notevole livello di complessità. È stato definito
oscuro, ma voi sapete che anche Eraclito di Efeso era definito “l’oscuro” e
oggi è considerato uno dei più grandi filosofi di tutti i tempi: benché ci restino
soltanto una novantina di frammenti non facili, molti filosofi si sono
esercitati a interpretarli. Anche Ludwig Wittgenstein ha scritto solo aforismi,
in vita era considerato pazzo e divenne famoso soltanto dopo la sua morte.
Dobbiamo aspettare la morte di Verdiglione perché venga riabilitato, quando qualcuno
ci guadagnerà sopra, con i diritti d’autore e altro?
L’articolo di Carlo Monaco è tratto dal dibattito La
materia del Paradiso, ovvero la questione Verdiglione, Bologna, 3 marzo
2016.