LA FARINA: SANA ENERGIA PER LA BUONA TAVOLA
L’Associazione
Industriali Mugnai d’Italia (Italmopa), di cui lei è presidente, ha lanciato di
recente il portale infofarine.it per dare una risposta scientifica alle
esigenze di informazione da parte di giornalisti e consumatori, che non si
accontentano di seguire le mode e i facili allarmismi in materia di
alimentazione…
Purtroppo,
la disinformazione in questo campo è dilagante e provoca danni non solo ai
consumatori – che rischiano di privarsi di alimenti con caratteristiche
nutrizionali e salutistiche così importanti per la dieta quotidiana, come i
prodotti derivati dalla farina di frumento –, ma anche alle centinaia di
imprese del settore molitorio, che sono un volano per la nostra economia. A
volte l’ignoranza è tale che sfiora il ridicolo: per esempio, la differenza tra
la farina tipo 0 e quella tipo 00 è quasi impercettibile. Eppure, si ascoltano
commenti che mettono in guardia il consumatore perché la tipo 00 sarebbe troppo
raffinata – termine che tra l’altro richiama il petrolio –, mentre il processo
di macinazione del grano è esattamente lo stesso: il tipo 00 ha soltanto
qualche sale minerale in meno rispetto al tipo 0, ma parliamo di percentuali
infinitesimali.
Per non
parlare di quei guru della cucina a caccia di consenso, che screditano le
farine perché “non si sa che cosa contengano, visto che spesso arrivano dalla
Cina”. Come si può arrivare a tale arroganza da ignorare i dati ufficiali,
disponibili al pubblico? Basta leggerli: in Italia non entra un solo grammo di
farina dalla Cina. Allora, credo che Italmopa, ma anche Federalimentare, del cui
Consiglio Generale faccio parte, debbano intervenire con forza per arginare lo
strapotere della disinformazione e urlare a chiare lettere che il consumatore
italiano è uno dei più protetti e tutelati al mondo, grazie alla serie infinita
di normative, controlli e sanzioni a cui sono sottoposti i nostri prodotti.
Proprio in
tale direzione, abbiamo lanciato il portale che lei citava, infofarine.it e ci
impegniamo continuamente organizzando iniziative come il convegno La farina:
sana energia per la buona tavola (Rimini, 23 gennaio 2016), perché intendiamo
offrire al consumatore intelligente la consapevolezza del valore e
dell’importanza delle farine, non solo sotto l’aspetto delle loro proprietà
salutistiche e nutrizionali, ma anche perché i prodotti da esse ottenute –
pane, pasta, pizza e dolci da forno – rallegrano ogni giorno le nostre tavole,
uniscono le nostre famiglie e trasformano il sapore del cibo nel gusto di
vivere.
Il nostro è
un settore che già soffre molto una crisi dei consumi del pane, soprattutto a
partire dalla perdita del suo valore politico. Nella mia esperienza di
trentacinque anni in questo settore, ho constatato che, da quando il prezzo del
pane è diventato libero, questo prodotto non ha più la valenza simbolica che
aveva in precedenza, soprattutto al nord. Al sud il consumatore va ancora a prendere
il pane dove è più buono, non solo dove costa meno. Con l’industrializzazione, il
pane ha perso il suo fascino, non la sua qualità, ma il valore simbolico, oltre
a una parte del valore aggiunto che viene diviso in quattro, anziché in tre, da
quando alla filiera tradizionale – agricoltore, mulino, panettiere, consumatore
– si è aggiunta la grande distribuzione.
Tuttavia,
anche se sta soffrendo, il settore rimarrà, perderà volumi, ma rimarrà,
diversamente da altri settori in cui l’evoluzione tecnologica del prodotto ha
costretto molte aziende a chiudere.
Diceva
che lei lavora nel settore da trentacinque anni. Come ha incominciato?
La mia è una
storia molto curiosa: in giovane età, ho fatto il calciatore professionista,
prima di iniziare a lavorare in questo settore. Quando avevo diciannove anni,
purtroppo, mia madre è rimasta vedova e io ho dovuto darmi da fare per mantenere
la famiglia. Così, ho incontrato il bellissimo mestiere del mugnaio. Dapprima
ho fatto un’esperienza nell’area commerciale, poi mi sono cimentato come
imprenditore, non perché fossi più bravo di altri, ma perché ho incontrato persone
che hanno contribuito alla mia crescita e alle quali sarò sempre grato.
E quando
ha incominciato a lavorare ai Molini Industriali, di cui ora è presidente e
amministratore delegato?
Sono
arrivato qui nel 1985, prima come amministratore unico, poi come azionista,
quindi ho fatto tutto il percorso partendo dalla base. Non essendo figlio di
mugnaio, la mia non è stata una scelta obbligata, ma una vocazione. Per questo,
la soddisfazione di vedere crescere l’azienda è stata ancora maggiore: oggi
maciniamo un milione di quintali di frumento. Siamo più presenti, anche in termini
di visibilità, nel resto d’Italia e all’estero che a Modena, ma il nostro
mulino ha ormai un secolo e l’azienda è iscritta alla Confindustria dal 1945,
quindi siamo tra i dieci gruppi con maggior anzianità sindacale. Il nostro è un
settore povero, nel senso che ha marginalità basse, ma alla lunga ripaga più di
tanti altri che, a parte alcuni exploit temporanei, non hanno resistito per più
di una generazione. Nel nostro mestiere, tutto si costruisce pietra su pietra, granello
su granello, per questo mi entusiasma molto. Più le cose sono difficili, più
diventano stimolanti.
Le mode
si avvicendano, ma nella memoria del gusto che si porta sulle nostre tavole c’è
qualcosa che rimane, c’è la famiglia come traccia…
In questo
settore, non possiamo permetterci l’inefficienza e questo dà una grande spinta
all’ingegno, perché non credo che si possa fare impresa con la facilità; fare
impresa è un lavoro di sacrificio generazionale, per costituire un patrimonio importante
occorrono generazioni.
Niccolò
Machiavelli diceva che la via facile è la rovina…
Infatti. Ma
vorrei precisare che il sacrificio non è la sofferenza, perché il sacrificio,
quando è ponderato, è un elemento assolutamente positivo.
Nell’etimo
di sacrificio c’è il sacro, qualcosa di intoccabile…
È proprio
così, è una bella espressione.