QUANDO IL MODELLO COOPERATIVO VA IN DIREZIONE DELLA QUALITÀ

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presidente dell’Alleanza delle Cooperative Bologna e socio fondatore di SACA Soc. Coop. Arl, Bologna

I fatti di cronaca che i media hanno raccontato nello scorso anno denunciano la crisi profonda di un certo modello cooperativo, che pure ha contribuito alla ricchezza del paese sin dal suo sorgere, nella seconda metà dell’Ottocento. Lei è fra i fondatori della Cooperativa Saca, di cui è socio da oltre quarant’anni e che ha presieduto negli ultimi venticinque. In tempi di crisi economica globale, Saca registra un trend in crescita costante e continua a essere un modello di riferimento per il settore. Che cosa vuol dire innovare in cooperativa?
Saca è un’azienda di servizi e è quindi necessariamente connessa alle esigenze del mondo produttivo. Per rimanere più competitivi nel mercato, siamo intervenuti con scelte gestionali importanti. Nel nostro caso, innovare vuol dire non dimenticare che il mercato è in continua trasformazione e quindi non solo sono stati necessari investimenti in nuove autovetture e pullman Euro 6, a basso impatto ambientale, ma anche nei processi interni dell’azienda. Questa è l’innovazione che consente risparmio nei consumi, minori costi nella gestione meccanica e anche un servizio migliore, grazie alla maggiore sicurezza che offriamo ai passeggeri. Il risultato di questa logica è constatabile dall’aumento di fatturato del 12 per cento che abbiamo registrato nello scorso anno.
Lei è presidente dell’Alleanza delle Cooperative Bologna e conosce bene il settore. Quali sono gli orientamenti attuali?
Oggi, chi non offre nuovi stimoli per rilanciare le proprie competenze nel mercato non ha futuro. L’internazionalizzazione può essere una carta vincente, insieme alla qualificazione del servizio proposto, per questo occorre fare un’attenta analisi delle richieste degli utenti. Le cooperative sono modelli d’impresa che monitorano l’andamento dell’economia reale perché sono realtà territoriali che non fanno speculazioni finanziarie: la cooperativa, infatti, nasce per far lavorare i suoi soci e per questo è una garanzia di ricchezza diffusa. È necessario, però, attuare il modello cooperativo fino in fondo. Non è stato così per quelle che hanno chiuso i battenti l’anno scorso. Questo modello deve funzionare secondo la legge, che prevede l’attività di un consiglio di amministrazione eletto dall’assemblea. Sono questi i due organi principali della cooperativa. Poi, c’è il management, che gestisce i processi produttivi piuttosto che quelli dei servizi, e è diretto dal CdA, che deve chiedere le verifiche dei risultati. Se questo modello viene attuato secondo la legge, i risultati sono constatabili.
Spesso si dimentica che la cooperativa è un modello in cui si costruiscono patrimoni che non vanno in tasca al singolo socio, ma rimangono a disposizione delle nuove generazioni e delle comunità territoriali. Questa è la caratteristica tipica della cooperazione: noi costruiamo in modo che lungo il nostro cammino altre persone potranno usufruire dei benefici di questo modello, che contribuisce a rendere prospero il territorio in cui ha sede.
L’impegno della vostra cooperativa è anche rivolto ai beni di valore storico artistico che rappresentano alcuni valori della comunità...
Nell’area industriale in cui ha sede Saca, si erge la Cappella del Navile, dedicata al Ss Crocifisso e con il caratteristico abside a cerchio (foto in alto e in basso nella pagina accanto). La cappella, è stata costruita nel 1783 e qui officiava le funzioni e veniva a pregare il cardinale Prospero Lambertini, poi eletto Papa Benedetto XIV. Quando siamo intervenuti con il progetto di restauro, dal 1998 al 2000, la chiesa era per lo più diroccata. È stato un gesto importante, perché fra le ipotesi c’era anche quella di abbatterla in quanto non era vincolata dalla sovrintendenza e, non appena fosse stato liberato, quello spazio avrebbe consentito di ampliare il parcheggio degli automezzi. Invece, i soci hanno dichiarato la disponibilità al restauro, decidendo di investire 100 milioni di lire dell’epoca. Oggi è fruibile e operativa a tutti gli effetti.
Cosa comporta essere eletto alla presidenza in tanti mandati?
Quando si opera nel modo in cui il modello cooperativo richiede, quindi come i soci richiedono, non è un problema fare il presidente di cooperativa. Forse è più facile fare il presidente di cooperativa anziché l’imprenditore di una Snc o di una SpA: le decisioni che si prendono all’interno di una cooperativa sono sempre condivise con il CdA e con l’assemblea dei soci, spetta poi al management portarle a termine. La crisi che hanno attraversato alcune cooperative è dipesa dal fatto che esponenti del consiglio direttivo erano anche responsabili del management e quindi mancava il controllo delle funzioni, per cui chi prendeva le decisioni era lo stesso che poi doveva eseguirle. Oggi quelle cooperative non sono più attive. Il socio che entra nel CdA assume una grande responsabilità, perché per statuto deve prendere decisioni rispetto alle prospettive del mercato, deve verificare che le cose funzionino e tenere unita la base sociale.
Il modello di cooperativa a cui fa riferimento incomincia negli anni settanta...
Da allora è aumentata la consapevolezza di essere un’impresa con l’obbligo di essere anche sempre più responsabile verso le famiglie dei soci. Ma questo modello è diverso da altri che hanno perso il contatto con la base. Un conto è gestire, per esempio, settanta persone e un altro è gestirne quattordicimila. In generale, negli ultimi anni è intervenuta una radicale trasformazione nel rapporto tra socio e cooperativa.
Oggi molti non intendono cosa vuol dire costruire una cooperativa dalla base, anche se sono tanti i giovani che ci provano. Il tema è un altro, però. In passato, per diventare socio bastava investire cinquanta euro. Oggi, per esempio, in Saca come in altre cooperative, non possiamo più permetterci di accogliere nuovi soci che versano cinquanta euro perché sono coinvolti in modo globale nelle decisioni, è quindi necessario che si sentano effettivamente responsabili di questo compito, partecipando con un capitale di rischio elevato.
Saca offre servizi ai privati, ma collabora anche con il settore pubblico. Come riuscite a soddisfare esigenze tanto diverse?
È la nostra ricchezza vendere servizi diversi, perché il privato esige un livello di servizio altamente qualificato e ci stimola a una ricerca incessante di cui poi usufruisce anche il pubblico. Anche i sindacati dovrebbero tenere conto di questo. Invece, spesso chi lavora nel pubblico pensa che la qualità sia indifferente e prospera l’irresponsabilità, nella certezza che tanto paga qualcun altro.
Quali sono i pronostici per l’anno in corso, in qualità di presidente dell’Alleanza delle Cooperative Bologna e di socio della Saca?
Ho valide ragioni per pensare che il 2016 sarà un anno di grande discussione e confronto per il movimento cooperativo per giungere a sottoscrivere gli atti costitutivi di un’unica associazione nazionale.
In termini più generali, ritengo che quest’anno non mancherà qualche scossone nel mondo della cooperazione perché la crisi non è finita, inoltre, alcune non sono ancora patrimonializzate e altre devono trovare la loro collocazione sul mercato. Occorre poi considerare che anche le nuove start up richiedono un periodo di incubazione nei primi tre, quattro anni di attività, che sono i più difficili. Se superano questa fase, avranno un futuro perché avranno trovato il loro assetto.
Oggi, ad alcune cooperative non sono ancora ben chiare le diverse esigenze del mercato, fra cui per esempio la necessità di internazionalizzarsi, perché è difficile internazionalizzare attività economiche che sono radicate nel territorio. Inoltre, molto spesso per i loro investimenti le cooperative non ottengono credito bancario, mentre è vitale aumentare il capitale di rischio, dal momento che la cooperativa è pur sempre un’azienda. In Saca continueremo sulla strada tracciata, offrendo servizi ancora migliori e aumentando il fatturato.