L’EDILIZIA NON CONSUMA IL TERRITORIO, LO LIBERA
Lei
dirige l’azienda edile di famiglia, attiva nel settore immobiliare da oltre cinquant’anni.
L’edilizia da sempre è stata intesa come un’opportunità di sviluppo per il
paese, benché negli ultimi anni sembri prevalere l’idea che sottragga terreno
fertile all’agricoltura. Come legge la trasformazione in atto nel settore?
I grandi
comparti urbanistici sono nati da precise scelte politiche e amministrative per
la realizzazione di importanti opere di urbanizzazione come strade, piste
ciclabili e edifici scolastici. L’amministrazione comunale di San Giovanni in
Persiceto, in provincia di Bologna, per esempio, aveva bisogno di realizzare
una nuova scuola elementare e ha previsto un comparto urbanistico di vasta
estensione per rispondere a questa necessità, imponendo ai costruttori l’attuazione
delle opere di urbanizzazione. Ma anche nel caso della Romantica, il nome
dell’area sita nel comune di Budrio, l’equilibrio economico finanziario per realizzare
opere di urbanizzazione al servizio della comunità poteva essere trovato solo
con la previsione di una considerevole capacità edificatoria. Dunque, i
comparti di espansione comportano non solo edilizia abitativa, ma anche un
valore aggiunto per la comunità di quel territorio. La demonizzazione dell’edilizia
come sinonimo di consumo di suolo è ideologica. Occorre, invece, che le
amministrazioni decidano con chiarezza quali opere pubbliche sono disposte a
garantire ai cittadini.
Un capitolo
differente concerne la riqualificazione urbana, che prevede la sostituzione di
immobili in stato di degrado in zone oggi densamente abitate, quindi più
esposte a problemi di sicurezza. In questi casi, la demolizione e la successiva
ricostruzione si traducono in un beneficio per l’area.
In che
termini il costruttore può essere inteso come riqualificatore?
L’imprenditore
edile è assolutamente riqualificatore in entrambi i casi che ho appena
descritto. Nel momento in cui demolisce l’immobile che versa in stato di
degrado, il costruttore opera una riqualificazione dell’area consona alle nuove
esigenze abitative, negli aspetti urbanistici. Con questi interventi non si consuma
territorio, ma lo si libera. Fra i nostri ultimi interventi in tal senso, a
Bologna, in via Friuli Venezia Giulia, abbiamo demolito un capannone di
proprietà di un concessionario d’auto, che copriva interamente il lotto di
terreno. La capacità edificatoria è stata progettata in verticale. Abbiamo,
quindi, costruito un edificio di dieci piani, utilizzando la stessa estensione
del capannone. Questo intervento ha liberato terreno circostante, permettendoci
di dotare gli appartamenti al piano terra di un bel giardino condominiale.
Si tratta di
riqualificare, quindi, ma in alcuni casi anche di liberare territorio: non solo
non lo consumiamo, ma ne rendiamo fruibile dell’altro.
Inoltre, il
nostro intervento contribuisce all’abbattimento di edifici energivori, a favore
di stabili migliori non solo per l’aspetto estetico, ma anche per le
prestazioni che offrono. È noto che la gran parte del patrimonio immobiliare
italiano è energivoro. Potrebbe essere applicata anche in questo ambito la
logica degli incentivi previsti per l’acquisto di auto con ridotte emissioni, a
seguito della rottamazione dei veicoli pre-euro, ossia quelli non catalizzati a
benzina e quelli non ecodiesel. È dunque necessario incentivare la
riqualificazione con la sostituzione di vecchi immobili con nuovi interventi
edilizi, soprattutto nel capoluogo.
Voi state
scommettendo in questa direzione…
Stiamo
realizzando una nuova palazzina in sostituzione di un edificio artigianale
costruito fra gli anni quaranta e cinquanta, in prossimità di Porta Saffi,
un’area limitrofa al centro storico con diversi edifici energivori e privi di
servizi. Il risultato sarà un nuovo stabile tecnologicamente innovativo, perché
sarà alimentato da energia elettrica prodotta da pannelli fotovoltaici, dotato di
un impianto di riscaldamento autonomo.
Voi
costruite palazzi residenziali che vendete a privati, senza dipendere dalla committenza
pubblica. Come avete gestito il rischio di invenduto, in questi anni?
Premesso che
è nel DNA dell’azienda, giunta oggi alla seconda generazione, costruire per
offrire una migliore qualità della vita alle persone, credo che questo tema
riguardi anche la libertà. È fondamentale potere costruire abitazioni a misura
dei nuovi progetti di vita delle persone che le abiteranno. In occasione di una
recente assemblea dell’ANCE, sono intervenuta affermando che la casa è e sarà
sempre un bisogno primario per ciascuno. Per questo occorre ascoltare con
attenzione le esigenze dell’utente, che sono in costante trasformazione, come le
persone e il loro modo di vivere la casa. È una questione culturale. Costruire,
oggi, ha un significato molto diverso rispetto al periodo pre-crisi, perché la
crisi economico finanziaria non ha lasciato indenni le famiglie, che hanno
trasformato il loro stile di vita. Occorre allora ascoltare questa
trasformazione.
Ciascuna
azienda che realizzi un prodotto per il mercato si confronta quotidianamente
con il rischio di non vendere. La bussola non può che essere l’utente finale,
che diventa il fulcro attorno a cui costruiamo il nuovo prodotto. Quando
incominciamo un nuovo intervento, svolgiamo accurate indagini di marketing per
capire qual è il mercato della micro-zona in cui effettuare l’investimento e
qual è il target di appartamento più adeguato. Poi incominciamo i lavori e
avviamo l’attività di comunicazione. Il rischio è inevitabile, però siamo una
delle poche aziende di costruzioni che ha venduto diversi appartamenti e villette
in piena crisi ed a oggi non abbiamo appartamenti in pronta consegna invenduti.
Per quanto concerne l’intervento Residenza Porta Saffi, abbiamo già registrato
il 50 per cento delle vendite e contiamo di siglare gli ultimi contratti di acquisto
entro settembre dell’anno in corso.
Quali
sono le prospettive per il settore nel 2016?
Il governo
ha dato un segnale importante con la legge di stabilità 2016, che riconosce
agevolazioni fiscali all’acquirente di edifici in classe energetica A e B. In
passato, in questi casi non erano previsti incentivi, che invece sono molto
importanti soprattutto per un settore trainante dell’economia come il nostro.
Una ricerca
del Centro Studi ANCE di Roma, di cui faccio parte, ha dimostrato che ogni euro
speso in edilizia ne comporta tre a vantaggio del PIL nazionale, ma sembra che dal
governo Monti in poi la classe politica abbia ignorato questo dato.
Inoltre, le
imposizioni fiscali dei recenti governi hanno provocato nei confronti del
settore immobiliare una graduale disaffezione da parte dei risparmiatori, in
assoluto contrasto con il DNA degli italiani, che hanno sempre considerato
sicuro l’investimento immobiliare. Ma dopo quei provvedimenti non era più
conveniente. Spero che da un lato l’agevolazione fiscale e dall’altro la grande
preoccupazione per l’andamento del sistema bancario, anche a causa del bail-in
da poco introdotto (letteralmente “salvataggio interno” ossia la
svalutazione di azioni e crediti e la loro conversione in azioni per assorbire
le perdite e ricapitalizzare la banca in difficoltà, ndr), possano finalmente
risvegliare nel cittadino la decisione d’investire i propri risparmi
nell’ambito immobiliare, com’è da sempre nella cultura degli italiani.