COME CAMBIA IL LAVORO: L’ESEMPIO VIRTUOSO DI R.C.M.
Lei è
l’unica donna dei sette componenti della famiglia Raimondi al timone della
R.C.M., la prima fabbrica italiana di motoscope e lavasciuga per la pulizia industriale
e urbana, con un mercato consolidato in Spagna, Germania, Inghilterra, Grecia,
Nord Europa, Stati Uniti, Cile, Brasile, Messico, India, Singapore, Malesia,
Russia, Giappone, Nord Africa e altri paesi del mondo. Quando ha incominciato a
lavorare in azienda?
Nel 1986,
dopo avere conseguito il diploma in lingue, sono entrata nell’ufficio acquisti,
perché occorreva sostituire una dipendente che era andata in maternità. Non era
proprio pertinente ai miei studi, ma credo che, per imparare a gestire
un’azienda, sia indispensabile acquisire elementi di ciascuno dei reparti
chiave, come poi ho fatto, passando prima all’amministrazione, poi all’ufficio estero
e, con la nascita di mia figlia, nel 2003, alla gestione del personale.
Com’è
cambiata la gestione del personale da quando lei ha incominciato a occuparsene?
Nonostante
la R.C.M. avesse oltre cento dipendenti, all’epoca non c’era un vero e proprio
responsabile del personale, gli aspetti burocratici erano affidati all’esterno,
mentre all’interno venivano gestiti tutti i problemi inerenti alla produzione, ma
non c’era una persona di riferimento alla quale esporre altre questioni di
carattere più generale. Oggi, il mio ufficio è talmente frequentato che mio zio
Romolo ha suggerito di scrivere sulla porta “Ufficio varie ed eventuali”.
Svolgo questa funzione con soddisfazione e credo che, in un’azienda come la
nostra, gestita da una famiglia, sia essenziale parlare con le persone che
collaborano ciascun giorno alla riuscita. Non so cosa sarebbe accaduto nei
recenti anni di crisi, se non ci fosse stata parola fra noi, ma voglio
raccontare qualche aneddoto per dare un’idea della stima che nutrono per noi i
nostri collaboratori, del clima aziendale e dell’affiatamento dei nostri
reparti, nonostante a volte qualcuno si diverta a tendere qualche tranello
infantile al collega, per gioco. D’altra parte, anche per noi i dipendenti sono
sacri: quando siamo stati costretti a lasciare a casa dieci persone, per me è
stato più difficile convincere i tre fratelli Raimondi che le persone da licenziare,
che poi erano dipendenti a cui abbiamo chiesto di andare in pre-pensionamento,
considerando il momento contingente, quindi non abbiamo creato nessuna
situazione tragica. Tant’è che non è stata indetta neanche un’ora di sciopero
in questi anni e, non a caso, uno dei più “feroci” sindacalisti della FIOM diceva
che, quando veniva in RCM, si riposava, perché abbiamo sempre affrontato le
questioni con coerenza, intelligenza e ragionamento. Se spieghiamo a chi lavora
per noi ciò che sta accadendo, otteniamo collaborazione, anziché
contrapposizione. Forse per questo abbiamo uno dei turnover del personale più
basso della provincia di Modena: ci sono persone che lavorano con noi da almeno
quarant’anni, da quando è nata R.C.M., e forse per questo la sentono propria,
fino al punto che se il capolinea o il caporeparto si accorge che un collega
non sta facendo bene il proprio lavoro lo richiama, perché intende la direzione
verso la qualità in cui bisogna remare: perdere un cliente che riceve una
macchina che non funziona come dovrebbe è un danno non solo per l’azienda in
sé, prima o poi si riflette su tutti coloro che ci lavorano.
Non è
secondario il fatto che la valenza dei sindacati all’interno delle aziende stia
scemando, nonostante siamo nel settore in cui le tute blu affondano le loro
radici, quello metalmeccanico. Se gli imprenditori parlano con i collaboratori,
se li tengono sempre più informati sulle novità e ascoltano le loro esigenze, possono
fare a meno di intermediari. Da noi, il famoso ufficio “Varie ed eventuali” ha
questa funzione e capita spesso che assuma compiti che apparentemente esulano
dal proprio specifico, come, per esempio, concedere un prestito per alcune
necessità improrogabili dei dipendenti o aiutarli a ottenere un mutuo in banca.
Ci sono casi dinanzi a cui non si può restare indifferenti.
Può fare
qualche esempio?
Un giorno mi
hanno riferito che un nostro dipendente viveva in una casa abbandonata, con due
bambini piccoli, separato dalla moglie senza lavoro, alla quale doveva pagare
gli alimenti, quando non riusciva neppure a mantenere se stesso. Allora sono
andata con lui in banca per fargli accendere un mutuo, mettendo a garanzia il
suo TFR, e l’azienda gli ha trovato una casa in affitto perché potesse vivere
decentemente. Credo che anche questo faccia parte della responsabilità sociale
di un’impresa oggi, interessarsi alla qualità di vita dei suoi dipendenti,
perché un’azienda è fatta di persone, e se le persone vengono a lavorare serene
svolgono bene il loro compito, altrimenti c’è il rischio che lo facciano male e
che magari si facciano male.
Per fortuna,
nel 2015 il vento è cambiato e le aziende stanno riassumendo abbastanza velocemente,
quindi diminuiscono anche le famiglie con un solo reddito, come quella del caso
che ho citato.
E cosa
può dirci a proposito dei nuovi contratti di lavoro?
Purtroppo,
nel nostro paese c’è molta confusione in questa materia. Per esempio, il Jobs
Act dovrebbe essere nato per aumentare la possibilità per le imprese di
assumere dipendenti. Ma come e perché? È molto difficile da capire, occorre
studiare approfonditamente ciascun caso. E, comunque, occorre valutare se
assumere a tempo indeterminato e quali sono gli sgravi nei casi in cui si trova
personale specializzato che magari è in mobilità. Quindi, si deve decidere se
assumerlo con il Jobs Act o con la mobilità o se farlo mettere in
disoccupazione. Negli anni precedenti non c’era bisogno di tutte queste valutazioni,
soprattutto a Modena, il cui tasso di disoccupazione era talmente basso che non
si trovava personale da inserire in azienda. Fino al 2005 eravamo convenzionati
con gli istituti professionali per accaparrarci i migliori diplomati, solo italiani,
perché i nostri non sono lavori da catena di montaggio, ripetitivi, e gli stranieri
non hanno lo stesso approccio ingegnoso al lavoro. La flessibilità, unita alla
capacità di trovare la soluzione, anziché aspettare sempre le istruzioni
dall’alto, è una caratteristica del genio italiano e servirà qualche
generazione prima che gli stranieri, anche i più bravi a scuola, quelli che
parlano perfettamente italiano, ereditino questo patrimonio.
È il
patrimonio del Rinascimento, di quello che Leonardo da Vinci chiamava la mano
intellettuale…
Infatti.
Tuttavia, sono contenta perché stiamo assumendo tanti ragazzi che negli ultimi
anni sono stati disoccupati e hanno tanta voglia di fare, quindi portano ai
nostri collaboratori un’eco della realtà dura che hanno dovuto vivere quando la
loro azienda ha chiuso, mentre noi abbiamo lottato per portare la nave in salvo.
E quali
sono state le principali trasformazioni nell’altro settore di cui si occupa, l’amministrazione?
Dal 2008 il
mondo è talmente cambiato che è difficile paragonare l’attività amministrativa
precedente a quella odierna. Basti pensare che noi non avevamo mai chiesto un
finanziamento alle banche, perché l’azienda si autofinanziava tranquillamente.
Oggi, invece, stiamo adottando gli strumenti offerti sia dalle banche sia dalle
finanziarie. Così come è cambiato il modo di vendere e comprare, abbiamo introdotto
il noleggio delle nostre macchine, di cui ha parlato mio padre, Renzo, nella
sua intervista a questo giornale (n. 65, settembre 2015), e tante forme di
acquisto dei beni che prima non erano neanche contemplate.
Ma c’è
qualche attività in cui continua a usare le lingue, il suo primo amore?
Di recente,
insieme a mio cugino Raimondo, mi occupo della Macroclean, la nostra società di
Piacenza, che mi dà l’occasione per rispolverare le lingue, perché per il
momento abbiamo solo clienti stranieri. Attualmente, sto seguendo la
corrispondenza, ma credo che presto rincomincerò a viaggiare per visitare i
clienti esteri, perché spesso, dopo l’incontro con il responsabile commerciale,
tengono molto a conoscere la proprietà dell’azienda. Così come tengono a farci
visita in Italia e constatare che siamo un’azienda con una storia familiare
alle spalle, con una cura e un’attenzione, che per loro è garanzia di qualità. Questo
vale soprattutto per i cinesi, che cominciano a essere più occidentalizzati e
avvertono il bisogno di spostarsi, perché sono tanti, e la Cina è diventata
ormai troppo piccola per loro.