LE MACCHINE E LA MANO INTELLETTUALE
Nel
dibattito avviato nel nostro giornale in questi anni, abbiamo esplorato i
diversi modi d’intendere l’industria manifatturiera. A una prima fase in cui all’invenzione
delle macchine automatiche veniva attribuita la riduzione dei posti di lavoro
ha fatto seguito una in cui sembra invece che nulla possa essere costruito senza
utilizzare la macchina e che la mano dell’uomo sia superflua. In questo scenario,
la subfornitura meccanica può contribuire a intendere il valore della manualità?
Oggi, è
determinante per il funzionamento della macchina il tecnico che la gestisce.
Certamente, costui deve avvalersi della migliore tecnologia, ma sono la sua
mano e la sua cultura che determinano la riuscita del prodotto. In un futuro
non molto lontano, gli addetti alle macchine nelle imprese manifatturiere non
verranno più denominati operai, perché saranno tecnici preparati a eseguire specifiche
operazioni, ma anche capaci di intervenire sulle macchine per ottenere quello
che effettivamente occorre per un buon risultato. Chi lavorerà in questo ambito
dovrà sapere come materialmente si costruisce il prodotto, i requisiti dei
materiali che lo costituiscono e come e quando intervenire manualmente. Ma la
manifattura non è solo manualità. Si chiama manifattura, ma è influenzata in modo
determinante dalla cultura che fa parte integrante di quella mano. È sempre stato
così, anche quando si lavorava molto più di adesso con le mani e si chiamava
manifattura proprio perché il cervello dell’uomo era connesso alla mano. È
inutile che ci illudiamo, questa è la verità delle cose ancora oggi. Sono
diversi gli approcci, però, quando l’uomo pensa a come costruire qualcosa, è
come se adoperasse le mani.
Quando
nel 1988 si è incominciato a parlare di brainworking, mentre su questo tema noi
organizzavamo i primi corsi in Italia, patrocinati dal Fondo Sociale Europeo,
uno dei nostri docenti, l’economista Emilio Fontela, dichiarava che “I lavoratori
del futuro saranno lavoratori di cervello”, brainworkers. Come dire che il
lavoratore non sarà un asettico esecutore di azioni, ritenute corrette se
eseguite in modo automaticistico, ma sarà colui che, mentre svolge quelle
azioni, starà innovando nelle procedure. Qual è allora la bussola nella
manifattura del futuro prossimo?
Prendiamo,
per esempio, il caso dell’astronauta. Recentemente ho letto che non saranno più
inviati nello spazio pezzi di ricambio necessari al funzionamento dei
dispositivi interni alle astronavi, ma apposite macchine in grado di costruire
in orbita i dispositivi necessari. Nel XXI secolo, oltre a queste macchine innovative,
invieremo nell’universo anche persone in grado di costruire quel particolare
tecnico utile a perfezionare il lavoro delle macchine stesse. Servirebbe a
poco, infatti, spedire soltanto la macchina con il libro delle istruzioni.
Nella
vostra azienda, leader nella progettazione e nella costruzione degli stampi, accogliete
la visita di classi scolastiche con alunni di età compresa fra i sedici e i
diciotto anni. Vi hanno posto domande o curiosità specifiche riguardo, per
esempio, il processo di costruzione?
In queste
occasioni, ho notato come, quando questi giovani si trovano di fronte alcuni
elementi meccanici posti sul banco, hanno l’esigenza di toccarli con le mani,
prima di formulare domande. Il loro primo gesto è quello di toccare con le
mani. Quasi come se ci fosse un collegamento fra vedere l’oggetto e toccarlo. È
un dettaglio importante questo.
Le persone
che eseguono determinati assemblaggi per costruire uno stampo, per rendersi
conto se il lavoro è stato svolto in modo preciso oppure se gli elementi da
assemblare hanno le caratteristiche necessarie per garantire, per esempio,
scorrevolezza, hanno bisogno di toccarli con le mani e non si limitano a
osservare. Una volta si diceva – scherzando ma era estremamente vero – che il
montatore non sarebbe mai stato bravo a fare il suo mestiere, se avesse oliato
i pezzi adoperando il pennello. In altre parole, si capiva se aveva
l’attitudine a fare il montatore se avesse intinto il dito nell’olio e lo avesse
cosparso manualmente sulla parte che occorreva montare. Questo non accadeva
soltanto per accertare se sulla parte trattata fossero rimasti corpi estranei,
nonostante avesse effettuato prima la pulizia. Era necessario, invece, valutare
attraverso l’uso delle dita della mano se c’erano le premesse per un lavoro
ottimale. Questo esempio può far sorridere, se pensiamo che oggi utilizziamo
quotidianamente strumenti tecnologici e abbiamo affinato le nostre nozioni tecniche.
Tuttavia, abbiamo ancora l’esigenza di usare la mano, quando eseguiamo
determinati assemblaggi: usare le mani è ancora l’unica maniera per capire
quando qualcosa non va nella giusta direzione.