NO ALL'ALLARMISMO CONTRO LA CARNE
Il riscontro che Sami ha avuto all’Expo è andato
oltre ogni aspettativa, come abbiamo illustrato nel numero precedente del nostro
giornale. È stata anche una prova delle vostre antiche radici nelle tradizioni agroalimentari
del territorio e nella storia di una famiglia che ha fatto della lavorazione della
carne un’arte. Non dimentichiamo che suo padre aveva aperto già nel 1943, a
Pozza di Maranello, uno dei più grandi macelli della penisola, seguito poi da
quelli di Viadana (Mantova), e che molti dei salumieri diventati poi famosi avevano
lavorato per lui...
È vero, la
nostra famiglia è rinomata, ha trovato fortuna e nutrimento sano grazie alla
carne suina e bovina. Io sono l’ultimo di ventuno figli, tutti sanissimi, mia
madre è morta a 98 anni ed è stata soltanto due volte in ospedale, pur
mangiando sempre carne della nostra macelleria. Mio padre è morto a 90 anni ed
è stato in ospedale una volta sola. La nostra famiglia allargata, compresi zii
e cugini, con collocazione territoriale e abitudini alimentari simili alla
nostra, è stata sempre prevalentemente sana. È vero anche che l’Expo ci ha dato
tante soddisfazioni, ma mi sembra ormai un secolo da quando ho sentito tante
belle parole spese fra i padiglioni e sui media di tutto il mondo sul nostro
cibo sano, sicuro, controllato, sostenibile, sui piatti che hanno una storia
millenaria. Dopo poche settimane, si è scatenata una campagna terroristica
sull’equazione semplicistica carne=tumore, basata peraltro su cose risapute e
ovvie. Intere pagine di giornali e servizi televisivi e radiofonici sono
serviti a creare allarmismo quando sono gli stessi esperti a collegare il
rischio di sviluppare un tumore per chi consuma carne rossa a due condizioni:
quantità e tipo di trattamento. Lo stesso coordinatore del Programma monografie
dello Iarc (Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro), professor Kurt
Straif, ha spiegato che “il rischio di sviluppare il cancro del colon-retto a
causa del consumo di carne trattata resta piccolo, ma aumenta a seconda della
quantità di carne consumata”. E il direttore della Iarc, Christopher Wild,
ricorda che, oltre a segnalare tali rischi per la tutela della salute pubblica,
occorre sottolineare l’innegabile “valore nutrizionale” della carne.
Chiunque sa
che non può mangiare per lungo tempo tutti i giorni un etto di carne, oppure
solo uova oppure solo frutta e verdura senza andare incontro a problemi di
salute. Ma l’Oms, con l’aiuto di alcuni media, terrorizza i cittadini, e questo
potrebbe incidere anche sulla nostra economia, mettendo in crisi aziende e
lasciando a casa migliaia di lavoratori.
Per fortuna,
qualcuno, come Carmine Pinto, presidente dell’Associazione Italiana di
Oncologia Medica, AIOM, abbassa i toni, ricordando che i dati diffusi dall’Oms
erano noti da tempo: “Per quanto riguarda le carni rosse è una questione di
modalità e di quantità e non esiste una soglia di esposizione oltre la quale ci
si ammala sicuramente. Il messaggio che dobbiamo dare è che la carne rossa va
consumata una o due volte a settimana al massimo”.
Infatti, la salute nell’alimentazione è
sempre legata anche alla quantità. E, d’altronde, la stessa radice della parola
“medicina” è “med”, che vuol dire “misura”...
Quindi, chi
ha sempre mangiato carne suina o bovina può continuare a farlo tranquillamente.
Tanto più se consideriamo i nostri consorzi di tutela, i controlli che vengono
effettuati, la competenza dei nostri operatori, compresi i veterinari, siamo
tra i paesi all’avanguardia nel controllo della qualità della carne offerta ai consumatori.
Qualcuno dice che siamo addirittura i primi e che i nostri veterinari siano tra
i più preparati del mondo. Bisognerebbe ricordarsene e valorizzare questo
patrimonio che fa parte del made in Italy, soprattutto quando arriva l’invito
da Bruxelles a portare sulla nostra tavola cavallette, lombrichi, scarafaggi e
altri insetti, guarda caso proprio mentre viene messa alla gogna la carne.
Quanti insetti dovremmo mangiare per raggiungere la quantità di proteine
presenti in una bistecca? E quanti italiani sarebbero disposti a rinunciare
alla memoria di secoli di gusto e tradizioni alimentari, a vantaggio del
cosiddetto “new food” che l’UE vorrebbe propinarci insieme alle cavallette e che,
per giunta, è preparato in laboratorio con l’uso delle nanotecnologie? La
nostra alimentazione è varia e deve continuare a esserlo, senza cedere alle
pressioni di gruppi di interesse economico che hanno tutto il vantaggio a
attaccare le nostre eccellenze per mettere in ginocchio le nostre imprese che,
nel comparto agroalimentare, hanno vita sempre più dura, per il peso della
burocrazia, ma soprattutto per le tante nuove regole e norme cogenti che
interessano il settore. Basti pensare che nella nostra azienda dobbiamo
dedicare quattro persone esclusivamente agli iter di certificazioni e
rintracciabilità. Fare industria oggi è sempre più difficile, lo stato non
aiuta e la concorrenza è particolarmente spietata. Per questo occorre inventare
sempre qualcosa di nuovo, come facciamo alla Sami, per invogliare i clienti.
Quali saranno le novità per il 2016?
Ne parleremo
nel numero di gennaio, ma per il momento posso dire che stiamo preparando un
nuovo packaging per la scatola da 12 pezzi di Arrostichetto, che si porta come una
borsetta.