L'APPORTO DEL MANIFATTURIERO ALLA CIVILTÀ
La battaglia di civiltà oggi in Italia esige
una politica industriale che favorisca l’apertura di nuove imprese e il
rilancio di quelle che hanno tenuto durante la crisi economica degli anni
scorsi. Da dove occorre incominciare?
È necessaria
una programmazione industriale che indirizzi gli investimenti allo sviluppo del
manifatturiero per la produzione di ricchezza da distribuire nel paese. La
nostra attività è strategica nella fornitura di materia prima, come acciaio e
leghe. Occorre incentivare l’impresa anche con accordi fra industriali seri,
che cioè non scelgano la via facile di esportare le strutture produttive
all’estero. Inoltre, le istituzioni devono impegnarsi ad abbassare la
tassazione per non rendersi complici dell’espatrio delle nostre migliori
imprese, che, a pochi chilometri dai nostri confini, in Slovenia o in Austria
per esempio, trovano condizioni fiscali e amministrative più efficienti, che
consentono in appena quattro mesi di costruire lo stabilimento e avviare la
produzione. In Italia, invece, solo per costruire una cabina elettrica per
aumentare il voltaggio di energia dei macchinari, occorre attendere almeno un
anno a causa della burocrazia che rallenta i tempi di produzione e richiede
costi esosi per essere mantenuta.
Oggi la
battaglia si svolge anche in ciascuna azienda, per esempio, riducendo i tempi
di lavorazione dei prodotti che occorrono alle imprese, quindi offrendo
maggiore flessibilità al settore manifatturiero. Noi stiamo facendo la nostra
parte con l’avvio dell’innovativo servizio di Sefa Machining Center, che poche
imprese offrono in Italia e a breve implementeremo il magazzino automatico di un
ulteriore nuovo macchinario a taglio ad acqua per la preparazione di
semilavorati in acciaio e leghe applicati nei diversi settori produttivi, dall’aeronautico
al biomedicale a quello meccanico. Abbiamo investito in nuovi macchinari il 9
per cento del nostro fatturato, che si aggira attorno ai venticinque milioni di
euro annui, e abbiamo assunto a tempo indeterminato nuovi collaboratori.
Quale può essere l’apporto degli industriali
in questo momento?
L’attività
del manifatturiero è strettamente connessa a quella della grande industria. È
necessario individuare i filoni d’interesse comune nel manifatturiero. In
Emilia Romagna ci sono officine in cui gli operai svolgono un mestiere che si
tramanda da generazioni, come quello della meccanica. Occorre non far finire
tutto questo, abbassando il prezzo delle commesse o aprendo un settore interno
che svolge il lavoro fino al giorno prima affidato a imprese di subfornitura esterne.
Se la subfornitura viene impoverita, come farà a investire nei macchinari di
ultima generazione per prodotti sofisticati e la fornitura di commesse in tempi
più ragionevoli per la grande industria? Ancora prima delle istituzioni, spetta
ai grandi gruppi industriali avere rispetto della manifattura e mantenerla
attiva. Come avrebbero fatto le multinazionali di Mirandola a produrre, se non
ci fossero state le tante piccole e medie imprese della zona? A Bologna, salvo poche
eccezioni, non esiste quasi più il settore degli stampi, così è accaduto per
l’industria motoristica, che aveva reso questo territorio la Motor Valley dell’Italia.
In questo paese il manifatturiero non ha interlocutori e, nella maggioranza dei
casi, i grandi gruppi industriali continuano a trarre vantaggi da una
manifattura sempre più disgregata. Questo è accaduto durante la crisi
siderurgica che si è aperta con il caso Ilva. Oggi, l’acciaio è svalutato del
trentacinque per cento rispetto alla quotazione del 2012, quando sono incominciate
le vicende giudiziarie dell’Ilva. Un acciaio comune si vende a 65 centesimi,
mentre fino a pochi anni fa quello povero era valutato attorno agli 85. A
questo si aggiunge la svalutazione del costo orario del lavoro di operai che
non hanno prospettive per il futuro del settore. In Emilia ci sono imprenditori
che sono costretti a invitare i propri operai a rientrare a casa prima del
solito perché non hanno commesse da evadere. Il manifatturiero ha perso milioni
di lavoratori in Italia, dal 2007 a oggi. Nell’indifferenza generale, padri di famiglia
dell’età di cinquant’anni sono stati espulsi dall’apparato produttivo. Questa è
la sconfitta peggiore per un settore come quello manifatturiero, che ha
contribuito alla prosperità delle nostre città. La battaglia di civiltà in
Italia è quella di rilanciare la cultura del manifatturiero perché civiltà vuol
dire anche privilegiare gli interessi delle città in cui viviamo.