LA CIVILTÀ DELLE COSTRUZIONI PER LA CITTÀ DELL'AVVENIRE
Il titolo di questo numero della rivista, Battaglia
di civiltà, non si riferisce allo scontro
fra civiltà, ma verte intorno alla testimonianza delle imprese come baluardi
della civiltà nella tecnologia, nella scienza e nella cultura d’impresa, che
portano avanti in vari paesi, come il Gruppo Piacentini Costruzioni Spa, che dal
1949 si dedica alla realizzazione di grandi opere infrastrutturali in Italia e,
dal 1981, anche nel mondo...
Fin dal suo
sorgere, la civiltà si è avvalsa degli scambi commerciali, che nascevano per
soddisfare desideri e bisogni della gente. Il commercio ha sempre messo in
comunicazione tribù, popoli e culture diverse. È anche vero che nei momenti
storici in cui è prevalsa la volontà di prevaricazione da parte di un popolo o
dell’altro, dall’incontro si è passati allo scontro. Ma le nostre piccole e
medie imprese non hanno certamente mire egemoniche quando esportano in altri
paesi, per noi globalizzazione non significa imperialismo industriale o politico.
Come ci ricorda l’editoriale di Sergio Dalla
Val in questo numero, i nostri antenati dell’antica Roma hanno inventato la civilitas, la civiltà, da civis, cittadino romano. E “civitas era la cittadinanza, il diritto di
cittadinanza che acquisivano gli abitanti dell’impero, a prescindere dalla
nazione, dalla religione, dal censo”. Quindi, nelle nostre radici storiche e
culturali, nemmeno l’impero si poneva come obiettivo la prevaricazione...
In un certo
senso, quello che fa il nostro Gruppo per soddisfare un bisogno insito nella
missione di qualsiasi impresa – la crescita dell’azienda e delle famiglie di
chi ci lavora – è entrare in comunicazione con le culture più disparate nei
paesi in cui lavoriamo: Costa Rica, Libia e Svizzera, dove abbiamo le nostre
filiali, ma anche Papua Nuova Guinea, Brasile, Marocco, Serbia, Polonia, Medio Oriente,
Indonesia, Kazakhstan, Caraibi e persino il Polo Sud. È impossibile mantenere
una mentalità chiusa e rigida quando si incontrano genti con culture tanto
differenti dalla nostra e la scommessa, ciascuna volta, è quella di riuscire a
capire le esigenze di ciascuno e trovare un’idea che possa soddisfare entrambe
le parti. In questo, le imprese italiane sono non solo un baluardo forte, ma
anche un’avanguardia: reinventando la tradizione di tolleranza da cui
provengono, riescono a sottolineare le differenze e a farne buon uso.
Se parliamo di avanguardia nella tecnologia costruttiva,
la Piacentini si è distinta già negli anni ottanta per l’utilizzo delle
palancole (paratie metalliche), quando in Italia erano pressoché sconosciute...
All’epoca,
l’utilizzo delle palancole era in auge nel Nord Europa, ma in Italia era noto
solo in ambito accademico. Si tratta di profilati speciali che permettono di
sostituire le classiche paratie in cemento con grandi vantaggi, anche
economici, e che permettono di creare opere sia definitive che provvisionali.
In pratica, possiamo dire che abbiamo contribuito a fare diventare tale
tecnologia un brand sul mercato italiano. E questo ci ha permesso di entrare in
altri mercati, non appena ci siamo specializzati e siamo riusciti a fare innovazione
di processo, quindi di costruzione.
Considerando che le palancole sono in acciaio,
quindi, biodegradabili al cento per cento, questa innovazione è una prova che
la vostra attenzione all’ambiente risale già agli anni ottanta. Non a caso,
avete realizzato le opere specialistiche relative a questa tecnologia nel MO.S.E.
di Venezia, il progetto finanziato dal Governo italiano e dall’Unesco con
l’obiettivo di salvare Venezia dall’erosione delle acque alte.
Come presidente dell’Aniem (Associazione
Nazionale Imprese Edili Manifatturiere), invece, che cosa può dirci delle
prospettive di un settore così importante per la nostra economia come
l’edilizia?
Rispetto al
muro nero che avevamo davanti fino a un anno fa, adesso s’intravvede una
piccola luce in fondo al tunnel. A questo punto però le imprese devono trovare
il modo per introdurre un’innovazione di processo straordinaria, perché le
innovazioni di prodotto (edifici in classe A, non energivori, dotati delle più
moderne tecnologie) non bastano più. Allora, proprio per dare una risposta a
questa esigenza di trasformazione, come Aniem nazionale e, soprattutto, come
Aniem Modena, abbiamo compiuto una riflessione che già tre anni fa ci ha
portati a presentare con il Politecnico di Torino un progetto per la
riqualificazione di intere aree urbane a ridosso dei centri storici. Siamo
partiti da due considerazioni importanti: prima di tutto, il fatto che i centri
storici della maggior parte delle città italiane di medie dimensioni sono musei
a cielo aperto, un patrimonio inestimabile che va mantenuto nella sua bellezza;
se però le città hanno l’esigenza di espandersi, dobbiamo interrogarci sia
sulle modalità per reperire le risorse indispensabili perché ciò possa
avvenire, sia sulle aree che potranno essere destinate a soddisfare tale
esigenza. È evidente che non possiamo farlo sottraendo terreno all’agricoltura,
soprattutto in regioni come quelle della Pianura Padana, per esempio, che hanno
nel settore alimentare la loro principale fonte economica, ma anche perché la
scarsità di cibo è un grande problema e in prospettiva lo sarà sempre di più.
Allora,
dobbiamo concentrarci sulla prima periferia, dove, fatti salvi i primi cento,
duecento metri dal centro, ci sono edifici degli anni sessanta e novanta, che
non hanno più alcun valore, perché sono costruiti con ragionamenti e tecnologie
superati e non hanno più mercato. Quindi, bisogna incominciare a ragionare anche
in edilizia a favore del rinnovamento del nostro patrimonio immobiliare, perché
a nessuno potrebbe interessare un parco macchine che vale zero. E, tuttavia, se
gli edifici non hanno valore, l’area in cui sono situati vale ancora e varrà sempre
di più. Ecco perché è sorto questo progetto di riqualificazione delle città,
che si propone di ricostruire interi isolati con edifici moderni, a consumo di
energia pari quasi a zero, antisismici, con grandi spazi verdi nelle aree
comuni e giardini verticali. E dove troviamo le risorse per realizzare questo
bel progetto? Come destinatario di un progetto pilota, abbiamo considerato un
isolato, in zona Modena Ovest, in cui vivono 120 famiglie, ciascuna proprietaria
di un appartamento, di un capannone o di altri beni che non hanno più mercato. Una
volta raggiunto l’accordo con almeno il 90 per cento dei proprietari, ciascuna
famiglia proprietaria cede all’impresa di costruzioni che realizza il progetto
la proprietà del solo terreno e riceve in cambio un appartamento della stessa
metratura di quello di cui è proprietaria, ma moderno e dotato di tutte le più avanzate
tecnologie; il proprietario non ha costi aggiuntivi, ma l’unico vincolo di
affidare la gestione del calore all’impresa costruttrice per i primi sei, sette
anni. In pratica, dovrà continuare a spendere la stessa cifra che ha speso nel
vecchio edificio, finché, dopo sei, sette anni, l’impresa non avrà ripagato il
suo investimento. Poi, la famiglia avrà per sempre un risparmio inestimabile
perché, se prima spendeva 2500 euro all’anno, poi ne spenderà solo 250.
Inoltre, fin dal primo giorno, sarà proprietaria di una “macchina” del modello
appena uscito, mantenendo la stessa metratura e rimanendo nello stesso isolato.
Qual è la condizione perché il progetto si realizzi? Che il costruttore abbia
un premio in volumetria per andare in alto. Nel caso dell’isolato di Modena
Ovest, per esempio, dove abitano 120 famiglie, l’impresa ne aggiunge altre 130
e, al posto di un quartiere con strade strette e edifici attaccati l’uno
all’altro, restituisce 9000 metri quadrati di area verde ai 120 proprietari,
costruendo sei torri da nove piani, in acciaio, vetro, con i giardini
verticali, oltre a un consumo di energia pari quasi a zero. Grazie a questo
accordo, l’impresa ha la possibilità di mettere sul mercato altri 130 alloggi,
a prezzo di costo industriale (1300 euro al metro quadrato), non del terreno.
Ma c’è di più: da solo, questo comparto che abbiamo preso come progetto pilota,
ci farà risparmiare 380 tonnellate di CO2 all’anno.
È geniale e straordinario. Quando partirà?
È la stessa
cosa che ci hanno chiesto le famiglie di questa area, quando abbiamo presentato
loro il progetto, ormai già tre anni fa. Ma, come sempre, in Italia, si devono fare
i conti con gli interessi particolari di bottega, soprattutto quando si va a
toccare la sfera del pubblico, che tende a frenare, se non addirittura a far
svanire, i sogni.
I comuni
dovrebbero fare loro questa idea e sfidare le imprese a mettersi in gioco. Se
vogliamo far ripartire veramente questo paese, dobbiamo fare ripartire anche i
consumi interni e, com’è risaputo, l’edilizia è un volano insostituibile per il
mercato interno. Ma bisogna smetterla di pensare, come fanno gli addetti ai
lavori dell’immobiliare e alcuni funzionari, che l’edilizia possa ripartire con
le speculazioni fondiarie, facendo passare le aree da agricole a edificabili.
La speculazione sul terreno non è produzione, non serve a creare occupazione.
Le imprese che finora hanno pensato di guadagnare così hanno vita breve e
devono organizzarsi per ricavare il loro margine dalle costruzioni.
Tornando al progetto, avete pensato alla
gente che deve spostarsi durante la costruzione delle torri?
Naturalmente,
abbiamo pensato che non si può spostare per diciotto mesi una famiglia in
attesa che sia terminato il suo nuovo alloggio, mentre il vecchio è stato
demolito. Per evitare questo disagio, allora, lasciamo le persone nelle loro
case, finché non sarà pronto il nuovo alloggio. Per questo, la prima torre deve
essere costruita al posto di un capannone o di una piazza, di un’area non
abitata, così si spostano gli abitanti di una parte dell’isolato nella prima
torre appena conclusa e poi si procede con le altre, man mano che si svuotano i
vecchi edifici. Inoltre, le famiglie non devono pensare nemmeno al trasloco,
che è a cura dell’impresa di costruzione.
Questo non è un progetto, è un concerto...
Se a Modena
partiamo con questo progetto, in cinque anni avremo costruito un’altra città.
Oltre a riqualificare il patrimonio immobiliare – dando alle famiglie un vero
capitale, a costo zero, senza spese per il pubblico, per il quale abbiamo
addirittura previsto di pagare il 50 per cento degli oneri –, la buffonata
delle targhe alterne non avrà più senso, perché, risparmiando 380 tonnellate di
CO2 all’anno per ciascun isolato, dopo sette, otto anni, il problema dell’inquinamento
in città si risolverà. Ma occorre trovare nel pubblico chi è ancora disposto a
sognare.
Allora, con la sua arte di costruttore di
grandi opere, che mettono in collegamento la terra, il mare e il cielo,
proviamo a mettere in collegamento le persone...
In questo
senso, non ho ancora perso la speranza che ci sia uno scatto di orgoglio di
questa città, perché lo meriterebbe.