LA BATTAGLIA SECONDO LA DISSIDENZA
Dissidente, dis-sedeo, “avere sede altrove”, oppure
“non ho sede”. Per un non dell’avere, Bat Ye’or, letteralmente “figlia del
Nilo”, ha incominciato il suo viaggio. Figlia di padre ebreo italiano fuggito in
Egitto a seguito delle leggi razziali, l’Egitto di Nasser le nega la
cittadinanza e poi le confisca i beni di famiglia. A Londra trova una
principessa polacca, a sua volta fuggita dall’occupazione comunista della Polonia,
che, grazie a un brillante nascosto nell’orecchio, ha trovato il modo di
incominciare a vivere in Inghilterra. Questa donna incontra una giovanissima
Bat Ye’or che bussa alla sua porta e riconosce negli occhi di cielo di questa
minuta quanto determinata fanciulla, che chiede un alloggio per sé e la
famiglia, un’inquietudine antica, una non accettazione della morte. Anche Bat
Ye’or incomincia una vita in Inghilterra.
Il viaggio
incomincia per ciascuno lungo una dissidenza, un’assenza di localizzazione,
un’assenza di sede nella parola. “Non ho più niente a cui aggrapparmi”, “non so
più a quale santo votarmi”. Viaggiando si incontrano gli amici. Chi sono gli amici?
Gli interlocutori autentici del nostro viaggio. Oggi Bat Ye’or ha sede in
ciascun paese che l’ha ospitata per trasmettere la sua testimonianza a chi non
vuole dimenticare, a chi non si accontenta del luogo comune, a chi non smette
di cercare interlocutori per il suo viaggio. La testimonianza è essenziale per
non smettere di viaggiare.
Dissidenza è
l’assenza di conformità, di standardizzazione, di sostenibilità. Nella parola e
nella scrittura, nella ricerca e nell’impresa ciascuna cosa si struttura
secondo la logica particolare a ciascuno, secondo la dissidenza, secondo
l’idioma. L’idioma è la particolarità, è la logica della parola. La questione è
come divenire cifra, caso di qualità, non come allinearsi allo standard. La dissidenza
– “inaccettabile per ogni provincialismo e per ogni regime”, scrive Sergio
Dalla Val nel libro In direzione della
cifra – non ha nulla a che fare con il dissenso o con l’altra sua faccia,
il consenso al conformismo. Dissidenza senza soggezione, senza soggetto. Non
c’è soggetto se c’è la battaglia, ovvero se ciascuno si costituisce come
statuto intellettuale, se ciascuno si trova nella non accettazione del ruolo di
vittima, che presuppone sempre un padrone a cui sottostare. Bat Ye’or coglie la
questione quando scrive nel libro Comprendere
Eurabia che “le guerre dell’Occidente e delle società libere saranno
combattute contro la dhimmitudine”, ovvero contro la sottomissione di chi è
costretto o accetta di vivere grazie alla protezione di qualcun altro che
gliela concede. Protezione che i popoli sottomessi alla dominazione islamica
devono pagare con una specifica tassa e che ognuno paga conformandosi al luogo comune
o al pensiero imposto, dunque accettando il regime della paura su cui si fonda
ogni terrorismo.
Tutti i
regimi presuppongono la creazione della vittima. Nell’Islam politico e militare
l’infedele è accusato di blasfemia, punita con la morte. In Occidente, chi
difende le ragioni dell’Occidente, per esempio degli ebrei, viene a sua volta bollato
come colpevole o boicottato, com’è accaduto a Bat Ye’or. Da una parte è guerra
santa e dall’altra è espiazione della colpa. In entrambi i casi è negata la
battaglia di civiltà. Questa battaglia non è in termini antagonistici, che sono
sempre distruttivi. Come si fa a costruire qualcosa se dinanzi c’è il nemico?
Chi combatte contro un nemico combatte per paura e non a caso ha bisogno di
sostanze, ovvero di droghe o di psicofarmaci.
Qual è la
battaglia che avviene secondo la dissidenza e che si conduce senza paura? “Chi
combatte in direzione della qualità è senza paura”, scrive Armando Verdiglione.
Chi combatte in direzione della qualità assoluta avvia dispositivi del fare,
imprese e strutture, consentendo a ciascuno di trovarsi in un ritmo anziché di
darsi alla pazzia. Machiavelli scrive: “Il principe che fa ciò ch’ei vuole è
pazzo”. La battaglia presuppone forse di poter scegliere? Il principe di
Machiavelli può scegliere, fare ciò che vuole? Sarebbe pazzo. La battaglia è
ineludibile per ciascuno se è battaglia per la riuscita e per la salute, per il
valore assoluto, la cifra, e non per i valori relativi. La battaglia per i valori
è ideologica, perché presuppone anche in questo caso l’antagonismo fra quelli
buoni e quelli cattivi. Al nemico come causa della battaglia si sostituirebbe
il valore come causa, che diventa addirittura difesa dell’identità. Cioè,
ancora una volta, all’attacco si contrappone la difesa, entrambe della logica del
mercenario. Chi è il mercenario nella battaglia, nell’impresa, nella città? Chi
crede di poter scegliere fra il bene e il male, fra l’amico e il nemico, è
fedele all’alternativa, ha sempre un’alternativa e talvolta addirittura fa
l’alternativo. E chi gioca in difesa è sempre sotto attacco.
La testimonianza dei dissidenti e degli
imprenditori che in questi anni abbiamo accolto nella città del secondo
rinascimento è per la battaglia senza nemico, la battaglia senza alternative,
la battaglia per dare un apporto alla civiltà e al suo testo ben oltre le
ideologie e la logica della guerra, fredda o calda, che ne consegue. Questa
battaglia non è per sottomissione a nessun padrone e all’altra sua faccia: la
vittima. Questa battaglia è battaglia per la libertà intellettuale, un altro
lusso: il lusso della parola, il lusso delle cose che si fanno secondo
l’occorrenza, non secondo la volontà soggettiva, non secondo il mio o il tuo
nemico, come fine ultimo per la soluzione finale. La battaglia intellettuale è
senza fine perché è battaglia che esige un’altra verità, non la verità come causa,
ma la verità come effetto della qualità.