LE COMPLICITÀ EUROPEE CON LO JIHADISMO ISLAMISTA

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archeologa e studiosa dello statuto delle comunità etnico-religiose nei paesi islamici

Quando parliamo di Gerusalemme e di Roma, è importante capire il valore simbolico che queste due città hanno assunto nei secoli. Per il cristianesimo e per la storia europea, Gerusalemme rimanda alla Bibbia, alla storia del popolo di Israele, una storia in cui il cristianesimo riconosce le proprie radici e che, ancora oggi, commenta ciascuna domenica, da duemila anni, in ciascuna chiesa d’Europa. Roma è il simbolo dell’integrazione tra ellenismo e cristianesimo. La civiltà ellenistica si è legata alla spiritualità di Gerusalemme e la fusione di queste culture ha formato la civiltà giudaico-cristiana.
Eppure, oggi questa nostra civiltà viene negata, soprattutto dalle nuove generazioni, che non ne riconoscono il significato. In particolare, il radicamento del cristianesimo nell’ebraismo è stato spesso eluso, se non combattuto: conosciamo bene la storia del nazismo, la sua volontà di liberare la Chiesa dall’ebraismo e lo sterminio degli ebrei. Ma spesso ignoriamo che l’antisemitismo, anche nazista, condannato alla fine della seconda guerra mondiale, ha continuato a esistere e a manifestarsi in Europa, in certi ambienti politici e intellettuali, anche successivamente. Negli anni sessanta, alcuni movimenti antisemiti europei sono stati supportati dalle ambasciate dei paesi arabi e della Lega Araba Musulmana Internazionale e hanno formato importanti gruppi di propaganda anti-israeliana e antisemitica. Questi gruppi hanno anche collaborato con i criminali nazisti che si sono rifugiati in Egitto e in Siria e che si erano convertiti all’islam. Essi, con il Mufti di Gerusaleme, Amin al-Husseini, alleato con Hitler e nel 1945 protetto dalla Francia per evitargli il Tribunale di Norimberga, prevedevano un’alleanza fra la Comunità Europea e i paesi arabi, in modo da creare un nuovo continente contro Israele e l’America. In questo contesto, nacquero in Europa associazioni di solidarietà con i popoli arabi, contro Israele, che formarono numerose reti legate ai nazisti islamizzati.
In questa direzione, dopo la perdita delle colonie arabe, De Gaulle prese in considerazione l’idea del Mufti al-Husseini, che prevedeva l’unificazione degli stati attorno al Mediterraneo. Sognava di creare un’unione euro-araba, progetto peraltro non nuovo: lo aveva ipotizzato anche Hitler. Dopo la guerra dei Sei Giorni (1967), il presidente francese chiese all’ex-ministro dell’informazione Louis Terrenoire di creare una rete di solidarietà con i popoli arabi, politica che conferì alle associazioni euro-arabe antisioniste una legittimazione ufficiale. La Comunità Europea rifiutò il progetto di De Gaulle, ma dopo gli attentati terroristici palestinesi e il boicottaggio del petrolio in Europa, nel 1973, la Francia riuscì a convincere i nove paesi europei a stabilire un’alleanza euro-araba contro Israele, riconoscendo come legittimo interlocutore politico Arafat, il nipote del Mufti, e la creazione di un nuovo stato arabo-musulmano in Giudea e Samaria, proprio nel cuore dello stato di Israele. Questo piano, una condanna a morte per gli israeliani, prevedeva la sostituzione del popolo di Israele con un nuovo popolo, i palestinesi, di cui nessuno aveva mai sentito parlare prima. Fu chiamato “via per la pace”! Questa era la condizione posta dalla Lega Araba per far cessare il boicottaggio del petrolio e per istituire con i paesi della Comunità Europea una struttura, non ufficiale, di collaborazione a tutti i livelli, mirata a costituire un blocco unificato dei paesi mediterranei. La Comunità Europea, seguendo questa linea, ha condotto due politiche collegate, una di supporto a Arafat e alla sua politica jihadista, l’altra mirata alla creazione di un nuovo continente euro-arabo che unisse le due sponde del Mediterraneo. Dal 1973, fu stabilita la cooperazione tra la Comunità Europea e i paesi arabi mediante un’istituzione politica, economica e culturale denominata DEA (Dialogo Euro-Arabo), organizzata ad alto livello europeo e arabo, sotto la supervisione del Consiglio, della Commissione europea e della Lega Araba. Questa struttura era composta da varie sezioni miste che lavoravano per implementare, coordinare e sviluppare una comune politica nei campi dell’economia, della cultura, dell’immigrazione musulmana, dei media in Europa e in particolare della politica verso Israele. Alla base di questa politica c’erano due obiettivi strettamente legati tra loro: creare un continente mediterraneo euro-arabo, e sostituire Israele con la Palestina. Le due politiche erano inseparabili. Dai documenti relativi a questa struttura emerge che essa era sotto la supervisione della Commissione europea e includeva deputati di tutti i partiti degli stati dell’Unione. Questo spiega l’uniformità della politica europea contro Israele e pro-immigrazione in Europa. Il palestinismo, ovvero la sostituzione di Israele con il popolo definito palestinese, fu il pilastro principale che univa le due politiche, in quanto si basava sulla simultaneità del riconoscimento del jihadismo di Arafat, della Palestina e l’attuazione della strategia euroaraba in Europa. L’unione euro-araba o Eurabia non era una strategia limitata a un’entità nazionale ma, come volevano il Mufti e i nazisti islamizzati, abbracciava un intero continente, che avrebbe adattato i principi della democrazia e della cultura europea a quelli dell’islamismo.
Il termine palestinismo indica l’alleanza fra i nazisti islamizzati nei paesi arabi e gli jihadisti palestinesi per sradicare lo stato di Israele, negando la sua legittimità. Prima di essere chiamate palestinesi, le tribù arabe che vivevano nei territori di Giudea e Samaria, occupati dalla Giordania nella guerra del 1949 contro Israele, si definivano semplicemente arabe, anche se fra loro c’erano immigrati musulmani dalla Bosnia e dalla Crimea. Sotto l’occupazione della Giordania, tutti gli ebrei che vivevano in quelle terre da secoli vennero cacciati e la regione fu completamente islamizzata. In seguito alla guerra dei Sei giorni (1967), Israele riprese questi territori liberando Gerusalemme. Ma, nel 1973, dopo la guerra del Kippur, la Francia decise che il popolo palestinese doveva avere il suo stato proprio nelle province precedentemente occupate dalla Giordania, da dove tutti gli ebrei erano stati cacciati.
Eppure, il palestinismo e la legittimazione di Arafat hanno avuto pesanti conseguenze per l’Europa. Poiché la guerra di Arafat contro Israele era l’essenza del jihad, il palestinismo divenne la legittimazione europea e cristiana dell’ideologia e delle tattiche del jihad.
L’ideologia jihadista mira a distruggere non solo il popolo ebreo, ma anche tutti i popoli non musulmani, e il fatto che l’Europa l’abbia legittimata contro Israele ha innescato un processo suicidario, implicando la legittimazione della guerra ai cristiani e in generale ai popoli europei. Il jihad afferma che, poiché la terra appartiene ai seguaci di Allah, i musulmani hanno il dovere sacro di strapparla agli infedeli. Secondo questa logica, gli aggressori sono in realtà vittime e le vittime aggressori, poiché i jihadisti hanno il diritto e il dovere sacro di combattere i non musulmani e quando questi si difendono divengono aggressori. Il jihad viene ritenuto una guerra difensiva contro i non musulmani. Anche l’Europa ha adottato questa visione, per esempio, quando afferma che le azioni di difesa di Israele contro il terrorismo palestinese sono aggressioni contro i palestinesi, e così accetta il principio islamico della dhimmitudine, secondo cui gli ebrei e i cristiani non possono difendersi quando sono attaccati dai musulmani. Questo fa il gioco del terrorismo.
Quando in Europa parliamo del jihad spesso veniamo accusati di islamofobia e addirittura di provocare i musulmani. Non siamo più legittimati a usare la nostra libera opinione, ma dobbiamo sottometterci alle leggi della shari’a. La nostra cultura è già, in qualche modo, islamizzata, e questo a causa della legittimazione del jihadismo palestinese. Nel periodo in cui il terrorismo arabo e palestinese in Europa era più attivo, parlare di jihadismo era tabù, nel presupposto – come ancor oggi accade – che il supporto del palestinismo fosse uno strumento essenziale per promuovere il dialogo e la riconciliazione fra cristiani e musulmani, Europei e Arabi – una riconciliazione contro Israele che faciliterebbe l’emergenza dell’Eurabia. Uomini di chiesa, politici, ministri promuovevano una santa alleanza nella lotta per la giustizia verso i palestinesi. La resistenza di Israele al piano euroarabo di smantellamento del suo paese venne vista come un ostacolo ai pacifici rapporti tra Europa e Islam. Israele venne accusato, particolarmente quando Romano Prodi presiedeva la Commissione europea, di provocare la guerra e di essere un ostacolo alla pace, come documento nel mio libro Eurabia (Lindau).
I movimenti europei per l’unione euro-araba sostengono, tra l’altro, che la shari’a aveva da sempre istituito un paradiso multiculturale e multireligioso negli stati dominati dai musulmani. Questa visione è contraria alla verità storica e ai principi della conoscenza europea, basati sull’analisi obiettiva dei documenti e dei fatti. La realtà della dhimmitudine, cioè dell’oppressione, della schiavitù e del genocidio di interi popoli conquistati e sottomessi dal jihad, viene negata da una semplice affermazione, cioè che ebrei e cristiani hanno sempre vissuto in accordo e in pace sotto la legge della shari’a. In questo modo, la cultura europea viene sovvertita dai valori del jihad: pensiamo nei termini e secondo le categorie musulmane, senza nemmeno saperlo, siamo già islamizzati.
Per rispettare la verità storica dobbiamo lottare contro l’islamizzazione della cultura, poiché la cultura è l’essenza della libertà e senza la libertà di ricerca, di comunicazione, di opinione, non c’è cultura. La negazione da parte di Arafat e dei paesi arabi del diritto di Israele di vivere nella sua patria ancestrale si basa sul fatto che i musulmani negano la storia biblica: considerano bugie le parole contenute nei due testamenti, affermano che Adamo e Eva erano musulmani, che di conseguenza tutta l’umanità è musulmana e che noi abbiamo rinnegato la nostra religione, che è l’Islam. Secondo i musulmani, tutti i personaggi menzionati nella Bibbia sono profeti dell’Islam, che hanno portato avanti il pensiero islamico prima dell’arrivo di Maometto, Gesù compreso. La storia del popolo ebraico e dei cristiani è negata. Quando l’Unione europea nega il diritto di Israele di vivere nella sua patria accetta la visione islamica che Israele è un popolo che non ha mai vissuto in questo paese e dunque non ha diritti. Sopprime i nomi di due paesi, la Giudea e la Samaria, come se non fossero mai esistiti, e li cambia con il nome Cisgiordania. L’Unione europea chiama il Monte del Tempio di Gerusalemme “Spianata delle Moschee”, come se Gesù, anziché essere entrato in un tempio, fosse entrato in una moschea per predicare. Si tenta di legare il cristianesimo all’Islam, affermando anche che Gesù era palestinese, anche se questo non sta scritto da nessuna parte nel Corano, dove si afferma semplicemente che è nato sotto le palme. La volontà di legare il cristianesimo all’Islam serve a islamizzare la teologia cristiana, una politica nazista per rompere tutti i legami fra ebrei e cristiani. Si vede così come il riconoscimento del palestinismo abbia avuto un’enorme importanza, costituendo anche il nerbo della dhimmitudine cristiana in Europa, poiché l’Europa si è messa al servizio della politica dei paesi arabi per distruggere Israele, rinnegando le sue proprie radici giudaico-cristiane. L’Unione europea destina miliardi di euro ai palestinesi, sia per aiutarli sia per diffondere una campagna di odio e di demonizzazione contro Israele, perché la situazione di conflitto tra israeliani e palestinesi le permette di esercitare la sua influenza sul mondo arabo: intervenendo a favore della Palestina, l’Unione europea guadagna un rinvio sul jihad che la prende di mira. L’Europa strumentalizza questo conflitto, oltre a comprare una sicurezza temporanea, pagando miliardi di euro per la guerra contro Israele. Questo contesto spiega la decisione di marchiare i prodotti israeliani che provengono da Giudea e Samaria, di islamizzare i luoghi sacri ebrei e cristiani a Hebron e di non menzionare mai il terrorismo palestinese in Israele perché l’Unione europea lo paga e lo incoraggia.
Il sottotitolo del mio libro Comprendere Eurabia recita L’inarrestabile islamizzazione dell’Europa. Non è un sottotitolo che ho scelto personalmente, ma è stato deciso dall’editore. Io ritengo infatti che questo processo non sia irreversibile, perché credo nella forza che insieme possono avere ebrei e cristiani e credo nella forza della gioventù. Quando Mosè si presentò al faraone per chiedergli di lasciare partire il suo popolo, lo fece in nome della libertà, e la libertà è proprio ciò che contraddistingue la nostra cultura, è la nostra forza. Noi crediamo nella libertà, nella dignità e nell’uguaglianza di tutti gli uomini e, grazie a questo, potremo vincere questa importante battaglia. Io ho molti amici in Italia e mi trovo sempre molto bene qui, proprio perché questo paese ha mantenuto forte il sentimento di libertà che ha sviluppato con il Rinascimento prima e con il Risorgimento poi. D’altronde, Verdi, nel Nabucco, ha accostato l’amore per la libertà del popolo italiano con quello del popolo ebraico, nel meraviglioso Canto degli Ebrei.