RILANCIARE LE TECNOLOGIE PER MIGLIORARE L’AMBIENTE
Con l’investimento in macchine speciali per
il microstampaggio, la sua azienda offre nuove opportunità alle imprese che
vogliono avvalersi di questa tecnologia. Può dare testimonianza di come si
integrano nel suo itinerario natura, scienza e impresa?
Se, per
esempio, noi compriamo mediamente dieci tonnellate di acciaio all’anno, otto
diventano rifiuti. Per lavorare le dieci tonnellate, utilizziamo mezza
tonnellata di oli, immettendo nell’atmosfera sostanze inquinanti. Se potessimo
avvalerci di tecnologie che per questo lavoro utilizzano soltanto 200 chili di
polvere di acciaio lavorato con sistemi non inquinanti, otterremmo ben altri
risultati. Formulo questi esempi per sottolineare che occorre rilanciare la
ricerca e la tecnologia in questo paese perché l’ambiente ne tragga vantaggio,
mentre le regole che limitano le azioni dell’uomo sono di scarsa utilità. Lo
dimostra il fatto che, nonostante le prescrizioni degli ultimi anni abbiano
limitato la vita quotidiana dei cittadini, l’inquinamento non è diminuito.
In questo
periodo stiamo investendo in nuove tecnologie per il microstampaggio e
cerchiamo aziende che vogliano avvalersene. Spesso, però, alcune preferiscono
comprare da altri paesi a costi maggiori, anziché correre il rischio di avviare
una ricerca insieme a noi. Così facendo, non solo perdiamo l’opportunità di
studiare e produrre queste tecnologie all’avanguardia, ma vengono arricchiti
economicamente altri paesi che le venderanno a costi ingenti. Per cui, lo
svantaggio è doppio.
Stiamo
eseguendo alcune prove per affinare questa tecnologia, molto utile nel settore
medicale, per esempio. Abbiamo già ottenuto buoni risultati, il 50 per cento
dei quali dipende dal fatto che abbiamo adoperato le macchine e le attrezzature
giuste, il 30 per cento è frutto dell’applicazione di un buon metodo, ma il 20
per cento è dovuto alla fortuna. Ci stiamo attrezzando in modo che questo
margine attribuito alla fortuna si riduca sempre più e invece aumenti quello
che dipende dalle nostre conoscenze. Purtroppo, questo risultato non si ottiene
facilmente. Sono tante le imprese italiane che fanno ricerca, ma spesso la vera
ricerca richiede anni di sperimentazione. Consideriamo quanto costa tutto
questo a un’impresa in termini di tempo e denaro.
Bisognerebbe
che gli istituti di ricerca offrissero un supporto valido alle imprese che
hanno avviato nuove metodologie, anche mettendole in comunicazione con altre
che richiedono quelle tecnologie, pur mantenendo il rischio imprenditoriale,
che è sempre a carico dell’azienda. In Germania, per esempio, l’Istituto
Fraunhofer, oltre a fare ricerca, verifica quali siano le aziende che possono
avvalersene. Ha quindi anche la funzione di fare da collettore di informazioni.
Il compito dell’azienda è sviluppare le idee e renderle fruibili a tutti.
Questo comporta non solo che consegua un profitto, ma anche che semini
ricchezza nel territorio, migliorando la qualità della vita dei cittadini e
dell’ambiente. In Italia, lo scollamento fra le informazioni degli istituti di
ricerca e le aziende impedisce che si metta in moto un percorso virtuoso che
può essere inarrestabile.
C’è un altro
aspetto da considerare. Mentre l’impresa è impegnata a fare ricerca per avviare
nuove sperimentazioni, deve anche confrontarsi con la questione finanziaria.
Dinanzi alla richiesta di finanziamento da parte dell’imprenditore, i dirigenti
della filiale della banca chiedono di predisporre un piano del progetto in cui
identificare esattamente qual è la fase finale del programma. L’imprenditore ha
intuizioni che gli sembrano giuste e, quando si rivolge alla banca, ha fatto
sicuramente tutto il possibile per organizzare un programma, però non può
redigere un piano industriale di cinque anni, indicando quanto guadagnerà il
primo, il secondo anno e così via. Può invece accadere che nei primi tre anni
impari come utilizzare al meglio le macchine che ha acquistato per quella
ricerca. L’imprenditore è uno scienziato nella misura in cui procede per
intuizioni e tentativi. Un programma si può attuare fino a un certo punto, ma
da quel punto in poi il rischio è assoluto. Ma quando gli impiegati della banca
sentono parlare di rischio – che è quello che contraddistingue l’attività
dell’imprenditore – nella maggioranza dei casi negano il finanziamento. Se, per
esempio, l’imprenditore chiede un finanziamento di 500 mila euro per acquistare
una macchina che produca in maniera più efficiente, forse lo ottiene, perché si
limita a investire in un’attività che sta già svolgendo, migliorando le
attrezzature. Ma quando progetta qualcosa di nuovo e non può avere dati tali
per definire i risultati, cominciano le complicazioni. Si parla tanto di
ricerca e innovazione, ma quali sono gli strumenti che le favoriscono in
Italia? L’innovazione ha un margine di insicurezza elevato per il quale solo
l’imprenditore spesso è disposto a rischiare. Anzi, direi che rischia tutto
lui, perché la banca comunque prende le sue precauzioni. Il rischio c’è sempre,
perché poi non è scontato che quella tecnologia riesca a soddisfare quello che
chiede il mercato in quel momento.
Il problema è che in questo paese non si vuole
accettare che le aziende che fanno ricerca e innovazione vogliano ricavarne
profitto, che non è una cosa negativa, ma ha effetti su tutto il territorio e
sull’ambiente. Siamo arrivati al punto, invece, di mettere in dubbio il fatto
che debbano esistere le imprese, ipotizzando che senza di esse ci sarebbe meno
inquinamento e meno mezzi di trasporto in circolazione. Ma, se così fosse, come
potremmo vivere e salvaguardare l’ambiente?