IL CONTRIBUTO DEI RAIMONDI ALL’INDUSTRIA MECCANICA 
Le radici della R.C.M. nel settore della
meccanica risalgono al 1899, anno in cui suo nonno Ippolito avviava la
produzione artigianale di biciclette a Parma. Possiamo dire che la vostra
famiglia è giunta alla quarta generazione: i suoi figli e quelli di suo
fratello Roberto hanno ormai raccolto il testimone di quella che dagli anni
settanta è diventata una delle prime fabbriche italiane di motoscope e
lavasciuga, facendo scuola nel settore anche all’estero.
Lei aveva lavorato alla progettazione di
motori e trattori nell’azienda fondata da suo padre. Com’è incominciata la sua
avventura?
Dopo avere
frequentato i primi tre anni del mitico istituto tecnico-industriale Fermo
Corni di Modena, mi ero iscritto al primo anno di specializzazione superiore,
ma sentivo troppo forte il richiamo della produzione. Così, mio padre mi
propose di aiutarlo, mettendo in pratica i miei studi di disegno tecnico. Avevo
poco meno di vent’anni e mi resi subito conto di quanto avessi da imparare
dalle maestranze che collaboravano nella nostra azienda, prima di tutto da mio
zio, Ezio Cavazzoni, fratello di mia madre, che nelle mani aveva il cervello,
come direbbe Leonardo da Vinci. Arrivato come apprendista nell’officina di mio
padre nel 1932, Ezio ha continuato a lavorare con noi anche quando siamo
passati dai motori alle motoscope; è venuto in fabbrica anche dopo gli
ottant’anni, finché le forze fisiche glielo hanno permesso. Era il vero cuore
tecnico dell’azienda, era capace di sviluppare qualsiasi progetto partendo dal
disegno. Non dimentichiamo che, all’epoca, non esistevano scuole in cui
imparare a realizzare un motore: si dovevano seguire i disegni riportati nei
libri e andare per tentativi.
D’altra parte, il ruolo della sua famiglia
nello sviluppo della meccanica a Modena era chiaro fin dall’inizio del
Novecento, quando Angelo Orlandi, fondatore delle Officine Meccaniche Orlandi e
presidente dell’ACI Modena fino alla sua scomparsa, aveva chiamato suo nonno
Ippolito a divenire responsabile della fabbrica per la parte meccanica, e
questo fu anche il motivo per cui si trasferì da Parma nella città geminiana.
Così scriveva Orlandi in una lettera ai clienti del 2 maggio 1907: “Per la
parte meccanica mi è grato avvertire la mia Spett. Clientela che mi sono
provvisto di un abile meccanico, il Sig. Ippolito Raimondi, capace di
disimpegnare qualsiasi lavoro, avendo avuto studio e pratica sino dal nascere dell’automobile”…
È bello
pensare al periodo in cui mio nonno si cimentava con le prime automobili. Come
scrive l’economista Giuliano Muzzioli, nel libro La Raimondi Costruzioni
Meccaniche, che ripercorre la prima parte di storia dell’avventura imprenditoriale
della nostra famiglia: “Nell’ex Ducato Estense cominciavano allora a circolare
le prime ‘carrozze senza cavalli’, con grande stupore della cittadinanza.
Poiché, al passaggio di questi roboanti mezzi di trasporto, alla meraviglia si
accompagnava spesso la paura, ai primi automobilisti fu intimato di circolare
solo al di fuori del perimetro delle antiche mura cittadine”.
Quando la
collaborazione di mio nonno con Orlandi si fece più assidua, chiese ai suoi
quattro figli di continuare a gestire l’attività di costruzione delle
biciclette, anche se nessuno di loro aveva prestato la propria opera nel
laboratorio paterno. Ma mio padre nutriva una speciale predilezione per la
meccanica e spesso si recava in officina a studiare e osservare biciclette e
macchine con un’attenzione e una passione particolari, tanto che manifestò
presto l’intenzione di continuare l’attività paterna.
Come narra
il libro di Muzzioli, il passaggio non fu così facile e immediato, soprattutto
a causa di dissidi con il fratello Remo, ma una passione come quella di mio
padre, un uomo all’avanguardia, sempre alla ricerca di novità, non si sarebbe
lasciata scoraggiare. Nel libro si trovano tutte le tappe che portarono mio
padre a divenire un grande imprenditore, oltre che un inventore: dalla costituzione
della società di produzione di motocicli, insieme al socio finanziatore
Malagoli, nel 1922, in via Mascherella 20, in pieno centro a Modena, alla
costruzione di motori per l’agricoltura, dopo l’uscita di Malagoli dalla
società, passando per la costituzione della società R. e C. con l’ingegner
Armando Caiumi, esperto in motori diesel, nel 1933, fino allo sviluppo di
motori marini per le corazzate e le navi dell’esercito italiano, nonché ai
trattori per l’industria e l’agricoltura, nel secondo dopoguerra, che lo
portarono tra l’altro a brevettare un trattore con quattro ruote motrici.
Era un’esigenza molto importante quella a
cui rispondeva suo padre con la costruzione di trattori in quel momento
storico...
Infatti.
Basti pensare che la guerra aveva sottratto molte braccia ai campi, mentre
l’Italia moriva di fame e la produzione alimentare era ridotta ai minimi
termini. All’epoca, nel nostro paese, i trattori prodotti da grandi gruppi
erano molto costosi, mentre il Carioca nasceva per dare la possibilità al
maggior numero possibile di contadini di aumentare in modo esponenziale la
produttività delle loro terre. Il contributo dell’industria all’agricoltura si
è fatto sentire particolarmente in Emilia, come aveva bene intuito Gianni
Agnelli, che non a caso scelse Modena quando decise di costruire trattori:
prima di tutto perché, essendo al centro della pianura Padana, c’era abbondanza
di terreni fertili dove eseguire le prove e poi perché qui c’era una cultura
della meccanica da cui sarebbe scaturito quel crocevia di esperienze
dell’eccellenza automobilistica noto in tutto il mondo come Motor Valley.
Tra
parentesi, vorrei sottolineare che il contributo dell’industria meccanica
all’economia e alla ricostruzione del paese è venuto principalmente dai trattori,
più che dalle automobili sportive e di lusso. Lo dice un appassionato come me
che, oltre a essere tra i rifondatori del Circolo della Biella nel 1987 (nato
negli anni cinquanta quando a Modena c’era ancora l’autodromo), ha sempre
partecipato attivamente al mondo delle corse, coinvolgendo tutti i membri della
famiglia, che si dilettano nei campionati con le auto storiche della nostra
collezione. L’industria automobilistica ha dato sicuramente un contributo che
ha avuto effetti a lungo termine ancora apprezzabili, ma nell’immediato
occorreva dare da mangiare alla gente tutti i giorni e il trattore, in questo
senso, è stato vitale.
Com’è avvenuto il passaggio dai motori alle
motoscope nella vostra azienda? È stato graduale?
Il periodo
in cui facevamo sia motori sia motoscope è durato solo due o tre anni. Qualche
anno prima, però, c’era stato un altro passaggio – il trasferimento
dell’azienda da Modena a Casinalbo – che aveva comportato notevoli difficoltà:
non fu facile spostare le enormi macchine utensili (alcune pesavano fino a 100
quintali) con cui costruivamo i motori pezzo per pezzo; inoltre, c’era il
rischio di perdere molti degli oltre cento operai (alcuni altamente
specializzati) che lavoravano con noi a Modena, soprattutto perché all’epoca la
zona non era servita dai trasporti pubblici, quindi non riuscivano a
raggiungere agevolmente la nuova sede.
Quando poi
la produzione di motoscope incominciò a prendere piede e decidemmo di dedicarci
completamente a questo nuovo settore, non fu facile reperire manodopera
specializzata nella lavorazione della lamiera, tanto più perché non c’erano
saldatori fra le nostre maestranze. Ho seguito passo per passo questa
trasformazione, all’inizio offrendo un impiego da montatore a quegli abitanti
della zona che sarebbero stati in grado d’imparare in due o tre mesi a lavorare
in modo intelligente con le mani. Anche se mio padre all’inizio ci scoraggiava,
in poco tempo abbiamo avuto risultati incredibili e, quando abbiamo presentato
le nostre macchine nelle fiere internazionali, sono state tanto apprezzate che
presto abbiamo incominciato a vendere anche fuori dai confini nazionali.
Soprattutto in Germania, alcune aziende vendevano le nostre motoscope con il
loro marchio, così abbiamo potuto conoscere un mercato e una tecnologia che
sarebbe stato impossibile acquisire da soli.
Lei ha scommesso fin dal 1986 sull’esigenza
di assistenza tecnica da parte dei vostri clienti, costituendo l’ASMO
(Assistenza Motoscope)...
È stata
un’intuizione importante, perché l’assistenza consente non solo di seguire il
cliente costantemente, evitando che un eventuale guasto fisiologico si tramuti
in un’insoddisfazione che potrebbe ripercuotersi sulla nostra credibilità, ma
anche di vendere nuove macchine entrando dalla porta di servizio, per dir così.
E questo non è un vantaggio da poco, considerando che il classico responsabile
degli uffici acquisti – la prima persona che ciascun venditore deve cercare di
incontrare quando propone i propri prodotti a un’azienda – è piuttosto restio
agli acquisti, credendo che il suo compito sia quello di limitare le spese. Se
però riceve una sollecitazione da parte di un responsabile dell’ufficio tecnico
o della produzione, allora accoglie con maggiore attenzione la proposta del
venditore. Un ulteriore vantaggio del servizio di assistenza è quello
d’instaurare un collegamento immediato fra produttore e utilizzatore, che giova
alla ricerca. Molto spesso seguo personalmente alcuni grandi clienti nelle
prime fasi di utilizzo di nuove macchine e, accorgendomi subito di eventuali
problemi, cerco di capire come si può migliorare la performance e introduco
immediatamente le innovazioni necessarie.
L’ASMO comunque, oltre all’assistenza, offre il
noleggio delle nostre motoscope e lavasciuga, e anche questo servizio può
portare a una vendita, perché il cliente, una volta provate le nostre macchine,
valuta la convenienza dell’acquisto. Devo dire che l’idea del noleggio è stata
ampiamente caldeggiata dalla mia collaboratrice Rossana Pollastri, che ha avuto
ragione, perché attualmente siamo arrivati ad avere noleggiato oltre duecento
macchine in tutta la penisola.