SCIENZA E LINGUAGGIO
La fisica
oggi si può molto sommariamente suddividere in tre parti principali. La fisica
classica, che tratta quello che noi possiamo dire a proposito del mondo su
scala umana. Poi, c’è la fisica quantistica, cioè cosa possiamo dire a
proposito della scala atomica e subatomica, e la fisica relativistica, che
tratta quel che possiamo dire a proposito del velocissimo. Siamo nati in un
mondo con certe dimensioni spaziali e temporali e le esperienze che facciamo
costruiscono quello che noi chiamiamo “senso comune”, il “buon senso”. Di
solito, capire qualche cosa vuol dire ridurre un concetto astratto a un’immagine
che ci sia familiare, ovvero che derivi dalla nostra esperienza percettiva
diretta. Per questo, la fisica classica è ragionevolmente comprensibile, dato
che studia la natura su scala umana. Però, con l’aiuto della scienza, stiamo
esplorando cose di cui non abbiamo più esperienza diretta, ma abbiamo soltanto
un’esperienza intellettuale, come appunto particelle subatomiche oppure
sorgenti cosmiche relativistiche. Pertanto, forzare a tutti i costi
l’esperienza del senso comune su altre scale temporali e spaziali, può portare
a risultati che ci sembrano paradossali, ma che in realtà non lo sono.
Inoltre,
queste percezioni dirette su cui costruiamo il senso comune non sono poi così
attendibili. Un test molto semplice è quello di toccarsi il naso con un dito: voi
lo toccate e sentite il contatto simultaneo sia sul dito, che sul naso. I
segnali nervosi viaggiano, diciamo, a 30 m/s, ma devono percorrere distanze
differenti. La distanza tra il dito e il cervello è circa 1 metro, perché il
segnale dal dito deve viaggiare lungo il braccio e arrivare fino al cervello,
per cui il tempo impiegato è circa 0,03 secondi. Il naso dista invece pochi
centimetri dal cervello, diciamo 5 cm, per cui il tempo qui sarà 0,002 secondi.
C’è una differenza di un ordine di grandezza, eppure noi sentiamo il contatto
come simultaneo. Questo avviene perché il nostro cervello ha bisogno di tempo
(0,2-0,5 secondi) per elaborare i segnali nervosi. Tant’è che il corpo umano ha
anche un sistema difensivo, i riflessi involontari, che consente di evitare
l’elaborazione cerebrale per una risposta immediata in caso di pericolo.
Questa
differenza temporale ci fa vedere un mondo differente dalla realtà fisica. Per
esempio, la televisione mostra sequenze di immagini che cambiano con una
frequenza di 60/100 volte al secondo. Nel tempo di elaborazione cerebrale
passano dalle 12 alle 50 immagini e noi non ce ne accorgiamo.
Date le
carenze del senso comune, l’umanità ha inventato la scienza. Ci sono tante
definizioni, ma qui mi preme rammentare il pensiero di Niels Bohr: “È sbagliato
pensare che lo scopo della fisica sia di trovare com’è la natura; la fisica
riguarda ciò che possiamo dire a proposito della natura”, usando la lingua
parlata e la lingua matematica. E poi, ancora: “La fisica va considerata non tanto
come lo studio di qualcosa dato a priori, ma piuttosto come lo sviluppo di
metodi per ordinare e misurare l’esperienza umana”. La scienza ci dà la
possibilità di costruire un’esperienza intellettuale del mondo in cui viviamo
per mezzo del linguaggio e, in particolare, della lingua.
Ferdinand de
Saussure notò che non è il linguaggio parlato a essere naturale per l’uomo, ma
la facoltà di costruire una lingua. Questo è molto importante, perché è ciò che
ci differenzia dagli animali, che invece hanno solo un linguaggio. E ci dice
anche un’altra cosa: che il tipo di significante ha un’importanza relativa. Si
pensi, per esempio, all’alfabeto Morse, dove i significanti sono fatti con
punti e linee. Tra le lingue inventate dagli esseri umani, c’è la matematica,
la lingua della leggerezza. Infatti, per essere utile a livello scientifico, si
deve cercare di scremare il più possibile il campo semantico da ciò che invece
contribuisce a dare ricchezza alla lingua parlata. In matematica, non possono
esserci figure retoriche, le metafore sono fuorvianti e non si può far
pettegolezzo.
Può sembrare
facile costruire la matematica per la fisica classica, perché il significato è
su scala umana e quindi accessibile per esperienza diretta. Invece, per la
relatività e i quanti, noi non abbiamo esperienza diretta. Si pensi alla parola
“atomo”: possiamo forzare immagini che noi abbiamo nell’esperienza diretta
(palline, trottoline) ottenendo però risultati paradossali. Se invece usiamo la
matematica, il significato è differente: un nucleo e diversi orbitali. Però,
attenzione: non c’è un mondo quantistico o un mondo relativistico, ma c’è
un’astratta descrizione fisica quantistica o relativistica, come notò Bohr. Non
si deve confondere la parola con la cosa, che è quello che succede se si pensa
che la lingua sia solo una sovrastruttura rispetto a una qualche sostanza.
Eppur
funziona, potremmo dire, parafrasando Galilei. I risultati si vedono: internet,
gli smartphone, i computer, i satelliti, i GPS. Wigner, premio Nobel per la
fisica, parlava di “irragionevole efficacia della matematica”. Ma è appunto
così irragionevole questa efficacia? Dopo tutto, anche nella lingua parlata ci
sono concetti astratti: per esempio, la parola amore. La matematica ha effetti
fisici, consente di progettare e costruire i computer, ma anche le parole
generano effetti: se voi dite “ti amo” a una persona, ottenete effetti fisici.
Questo non vuol dire che siano parole magiche: non ha alcun effetto dire
“amore” a un rinoceronte. Ritorna sempre la questione di Saussure: la capacità
innata degli esseri umani di creare una lingua. Deve esserci sempre l’elemento
umano che fa funzionare la parola.
Infine, il
dato scientifico, che dovrebbe essere la materia prima su cui si basa la
scienza. Tuttavia, come nota Carlo Sini: “Prima ancora di essere materia
empirica, un fatto è un’espressione linguistica, con una storia di significati
e interpretazioni spesso dimenticati o dati per scontati, ma che rendono nota e
intellegibile questa espressione”.
I testi di Luigi Foschini e Paola Grandi sono
tratti dal dibattito La natura, la
scienza e la logica della parola (23 giugno 2015, Sala Consiliare, Centro
Civico San Vitale, Bologna).