L'ECCELLENZA DELLE TERRE DI MONTAGNA
Le aziende agricole che costituiscono la filiera produttiva
del Consorzio Terre di Montagna sono dislocate sul crinale dell’Appennino
compreso tra la provincia di Modena e quella di Bologna. Com’è nato il vostro
Consorzio e che cosa si propone?
Il Consorzio è stato costituito nel 2008 e
associa 9 caseifici con 85 allevatori dell’area montana compresa tra i comuni
di Savigno, Castel d’Aiano, Gaggio Montano, Lizzano in Belvedere, Zocca e
Montese, che hanno l’obiettivo di fare
riconoscere al mercato il valore aggiunto del Parmigiano Reggiano prodotto in
montagna, a fronte dei costi superiori da sostenere. Come dimostrano alcuni
studi realizzati dall’ente di ricerca CRPA di Reggio Emilia, rispetto alle
aziende agricole della pianura, i costi sono più alti del 25 per cento circa, a
causa di diversi fattori: in pianura la bella stagione inizia nei primi giorni
di aprile e il foraggio viene falciato fino a cinque volte sullo stesso
terreno, mentre in montagna, dove il clima è più rigido, viene falciato solo
due o tre volte; due terreni di uguale estensione non hanno la stessa resa se
situati uno in montagna e l’altro in pianura, per cui le dimensioni degli
allevamenti montani sono più ridotte; inoltre, a causa della conformazione del
terreno, in montagna sono necessarie più ore per lavorare un appezzamento di
uguali dimensioni.
È molto
difficile mantenere una filiera caratterizzata in questo modo, tuttavia, la
produzione del Parmigiano Reggiano segue una tradizione che si tramanda da
secoli, per questo merita di essere preservata, soprattutto nelle zone
montuose.
Oltre che attraverso gli assaggi, in che modo si può fare
apprezzare la differenza del Parmigiano di montagna?
Grazie a un
contributo della Regione Emilia Romagna, nel 2012, abbiamo realizzato una
ricerca scientifica con l’Università degli Studi di Scienze Gastronomiche di
Pollenzo (CN), per definire le caratteristiche del Parmigiano Reggiano della filiera
Terre di Montagna e le differenze rispetto alle altre tipologie. La ricerca è
partita dall’alimentazione delle bovine, per passare alla ricerca sul campo nei
caseifici, fino ad arrivare alle analisi mirate del profilo sensoriale. A pari
stagionatura, si è riscontrata un’ampia differenza per quanto riguarda
l’aspetto degustativo tra i campioni di caseifici di pianura e quelli di
montagna.
Quest’anno
abbiamo ottenuto importanti riconoscimenti sia a livello nazionale che
internazionale per la qualità del prodotto, nonché il marchio “Prodotto di
montagna”, menzione aggiuntiva prevista dal Parlamento europeo a partire dal
2012. Nel 2014, inoltre, l’Unione europea ha realizzato il regolamento
attuativo per sancire tutti i requisiti necessari per ottenere il marchio:
materie prime essenzialmente di montagna e aziende situate in territori montani
sia per la produzione sia per la trasformazione del latte. Tutto questo per
garantire il consumatore dell’origine autentica del prodotto.
Il Parmigiano
Reggiano è uno dei pochissimi formaggi al mondo costituito solo da ingredienti
naturali: latte, che deve provenire da vaccine alimentate in maniera
controllata, caglio e siero, proveniente dalla lavorazione del giorno
precedente. Tra l’altro, il disciplinare sancisce che non è possibile nutrire
il bestiame con fieno che è stato imballato con nylon, perché favorirebbe il
prodursi di muffe dannose per la qualità del prodotto. Al contrario, nel
processo di caseificazione di altri formaggi grana, i produttori inseriscono ad
esempio il lisozima per neutralizzare gli effetti delle muffe. Un’ulteriore
restrizione sull’alimentazione vaccina consiste in un limite nella percentuale
di farina somministrata: le vacche devono mangiare foraggio e, nel nostro caso,
deve essere prodotto in montagna.
Nell’ambito
del disciplinare di produzione si cerca il più possibile di tutelare il legame
tra il prodotto e il territorio da cui proviene.
D’altra
parte, quale altro formaggio, oltre al Parmigiano – che è prodotto con
ingredienti esclusivamente naturali, senza conservanti – non ha bisogno del
frigorifero ed è ammesso all’alimentazione umana anche dopo cinque anni?
Ma bisogna
considerare che per ottenere questa qualità è necessario un notevole impegno.
Il latte è un prodotto difficilissimo da conservare tant’è che per la
produzione di altri formaggi viene termizzato o pastorizzato. Al contrario, noi
lo usiamo crudo e fresco, in pratica senza alcuna modifica rispetto a quando
esce dalle mammelle della vacca. Proprio per mantenere il legame con il
territorio e le sue tradizioni, lo spazio tra l’allevamento e il caseificio
deve essere ridotto: nel regolamento della filiera Terre di Montagna, si
specifica che il latte non può rimanere per più di un’ora nel trasporto dalla
stalla al caseificio, perché nel processo di caseificazione il latte non verrà
né termizzato, né pastorizzato. Termizzare il latte significa abbassare
artificialmente e significativamente la sua temperatura e perderne la flora
tipica. Il processo di pastorizzazione si svolge all’inverso, si aumenta la
temperatura oltre i settanta gradi per un periodo limitato, ma il risultato è
identico: la morte di parte della flora latticina.
Nella
produzione del Parmigiano Reggiano, il latte viene versato in una vasca conica
insieme al caglio e al siero e, affinché coaguli, deve essere portato a una
temperatura di soli quaranta gradi circa, in modo da mantenere intatte tutte le
sue caratteristiche peculiari. Il percorso è naturale dall’inizio alla fine
della lavorazione, con il risultato di concentrare in un chilo di questo
pregiato formaggio i valori nutritivi di 15 chili di latte salubre e naturale.