IL PROGETTO “SALVIAMO LA MODENESE”: QUANDO BIODIVERSITÀ FA RIMA CON QUALITÀ
Tra i tanti animali “utili” all’uomo, due sono insostituibili: l’ape e
la mucca. Come disse Albert Einstein, se scomparissero le api, dopo quattro
anni scomparirebbe l’intera umanità. Le api sono tra i più importanti insetti
impollinatori in grado di favorire la trasformazione dei fiori in frutti, ma
l’altro animale che ha sempre avuto un valore inestimabile per l’umanità è la
mucca, che si alimenta di materie prime vegetali (foraggi e cereali) e poi, con
i suoi tre stomaci, trasforma immediatamente le proteine vegetali in proteine
animali, cioè in latte e in carne.
Ma l’uomo, spesso, attraverso scelte che mirano ad aumentare la
“quantità”, distrugge le api e fa “impazzire” le mucche. Come nei primi anni
del duemila, anche all’inizio del Novecento, l’uomo pensava che la produzione
di proteine animali, quindi di latte e carne, potesse essere accelerata e aumentata
alimentando i bovini con proteine animali. Negli stessi anni si sperimentava
l’introduzione della chimica in agricoltura e Justus von Liebig era uno dei
suoi principali cultori e promotori, anche se in fin di vita chiese perdono a
Dio perché aveva voluto infrangere le leggi della natura. Il suo contemporaneo
Rudolf Steiner, che introdusse l’agricoltura biodinamica, contrastò – insieme a
un grande studioso modenese che pochi conoscono, Alfonso Draghetti – l’utilizzo
della chimica in agricoltura, partendo dal presupposto che il suolo è vivo e
non è un substrato inerte. Allo stesso modo, Steiner contrastò l’introduzione
delle proteine animali nell’alimentazione dei bovini, perché diceva, già nel
1923, che il “bue impazzisce”!
In un territorio come il nostro, dove si fa il Parmigiano Reggiano da
quasi mille anni, grazie all’ingegno dei monaci benedettini, sappiamo bene
l’influenza dell’alimentazione nella qualità e nelle proprietà del latte e
quindi nel formaggio, oltre che della carne. Nel libro Storia di terre e di
redzore, a cura della Provincia di Modena e Slow Food, Marino Mongiorgi, a
proposito della vacca bianca modenese, afferma che “la carne ha il sapore del contadino”.
Una definizione semplice, ma molto bella. La carne ha il sapore di come è alimentata,
curata e accudita la vacca dal contadino.
Ma le caratterizzazioni della carne e del latte sono diverse anche in
base alla razza e al territorio, oltre che all’alimentazione. Agli inizi degli
anni trenta è nato il Consorzio del Parmigiano Reggiano, che, come tutti i
formaggi importanti, ha razze bovine a esso dedicate: principalmente la Bianca
Modenese, la Rossa Reggiana, in seguito, la Bruna Alpina, a Parma. I contadini
di Reggio Emilia sono stati più bravi a salvare la vacca Rossa Reggiana in tempo
utile, mentre per la Bianca Modenese solo dieci anni fa si è avviato un
progetto, grazie alla Provincia di Modena e a Slow Food, per salvarla
dall’estinzione. La Bianca Modenese è una razza a triplice attitudine: da
lavoro, da latte e da carne. Offre il latte migliore in assoluto per la
produzione di Parmigiano Reggiano, grazie a un latte con un giusto rapporto
grasso/caseina e a una maggiore frequenza di K-caseina BB, quindi migliori
attitudini casearie con più alti contenuti di calcio e fosforo.
Negli anni trenta Modena aveva uno dei primi centri per la fecondazione
artificiale bovina del mondo, in cui erano presenti tori di Bianca Modenese.
Poi nel 1940 venne bombardato, ma quando venne ricostruito dopo la guerra, gli
americani, attenti alla quantità più che alla qualità, introdussero la razza
Frisona Americana con tori bianchi e neri, regalando il seme ai contadini, e
così li convinsero ad allevare le vacche frisone per la grande quantità di
latte.
Il risultato fu che, di lì a poco, la vacca Bianca Modenese,
che era arrivata ad una diffusione di quasi 240 mila capi, nel 2005 si era
ridotta a soli 900 capi in tutta Italia, di cui solo 200 erano utili per far
decollare il progetto “Salviamo la Modenese”. La produzione di Parmigiano con
il solo latte della vacca Bianca Modenese è ripartita il 4 aprile del 2005 al
caseificio Rosola di Zocca, che tuttora ne continua a produrre una o due forme
al giorno. Nel 2009 è partita con una forma al giorno anche al caseificio Santa
Rita di Pompeano di Serramazzoni, per il quale ho fatto consulenze per
l’agricoltura biologica e biodinamica, per il progetto della vacca Bianca
Modenese e per il Parmigiano di montagna, oltre che artigianale, e che continua
per una resistenza casearia per queste distintività. Oggi, solo 2/3 forme al
giorno su 9500 forme in tutto il Comprensorio del Parmigiano Reggiano sono di
latte di vacca Bianca Modenese: questi sono i numeri. Bisogna dire che è
difficile far cooperare gli allevatori custodi di questa razza, ma l’unione è fondamentale per
preservarla, considerando anche che è stata dichiarata ufficialmente estinta. I costi sono enormi e, per riuscire nell’obiettivo di
salvare la Biodiversità, si dovrebbe realizzare quello che raccomanda Slow
Food: i consumatori devono diventare coproduttori. Il potere reale è nelle mani
del consumatore, che può decidere di acquistare un prodotto e di appoggiare un
progetto che non può rimanere solo sulle spalle degli allevatori.