L'EXTRATERRESTRE
L’ultima volta che Arianna era approdata su quel minuscolo pianeta che i suoi abitanti chiamano terra era capitata nella casa di due giovani sposati da poco: alto e magro, lui aveva il viso attraente di un attore del cinema, come si diceva in quegli anni in cui il grande schermo aveva fatto la sua prima comparsa anche nei paesini più sperduti d’Italia. Anche lei molto bella, aveva però gli occhi troppo verdi, un mare immenso in cui persino un alieno poteva sentire il brivido degli abissi più sconfinati.
Quando Arianna arrivò era inverno, e per non farle sentire freddo la sistemarono in una culla accanto al camino, che ardeva giorno e notte. Invano, per giorni e giorni cercò di farsi capire, non era abituata a quel caldo eccessivo, tanto meno a essere fasciata come un bruco che sa solo strisciare nella terra. E però non poteva tagliare la corda e tornarsene nella sua galassia. Non vedeva l’ora d’imparare la loro lingua e raccontare le meraviglie che aveva incontrato nel suo viaggio, e poi capire perché Monica e Valerio, i due sposi, se ne stessero lì, piantati con i piedi per terra; forse avevano paura di volare per paura di cadere?
Quanto a lei, arrivata lì per caso, ora non poteva andarsene senza risposte alle sue domande.
Mi mandò un messaggio al giorno per tre mesi, mi diceva che in quella casa lei era una piccola principessa, che gli sposi e i loro genitori volevano prenderla in braccio per giocare, passeggiare e mostrarla come un bene prezioso a parenti e amici che incontravano per le strade o che venivano a trovarli.
Poi, all’improvviso, non ebbi più sue notizie. Inutile ripercorrere tutte le ipotesi che nei momenti di disperazione provai a formulare sul suo silenzio: aveva dimenticato la nostra lingua, imparando la loro? Aveva smarrito la parola chiave che le dava accesso al nostro canale di comunicazione?
Trascorsero venticinque anni, prima di sapere che cosa fosse accaduto: un giorno, i grandi occhi verdi di Monica erano diventati due ruscelli di lacrime. Arianna, che ancora conosceva soltanto poche parole, vedeva però che la giovane donna non era più la stessa, un dolore indescrivibile si era installato al suo fianco come un’ombra e il suo sguardo era sempre più vuoto e assente. Era passata una settimana. Nella casa come sempre erano venuti in tanti amici e parenti, ma il papà di Monica non si era fatto vivo. Poi, un giorno, Arianna notò che Monica portava sempre vestiti neri e un medaglione d’oro con la foto di suo padre. Arianna allungò la mano per prenderlo: “È il mio papà”, disse Monica, e lei ripeté “Papà”. Poi, cadde in un sonno profondo e scivolò via lontano tra le galassie, alla ricerca delle sue risposte: perché Monica portava al petto il suo dolore e lo chiamava papà? E perché Valerio non era più il suo re e Arianna la sua principessa?
Solo dopo venticinque anni seppi che Arianna da quel giorno mandava i suoi messaggi a Monica, la teneva informata su tutte le novità sconosciute agli uomini che vivono sulla terra. Questo mi disse quando mi mandò il suo primo messaggio dopo tanto tempo, il giorno in cui approdò per la seconda volta sulla terra. “L’Italia è bella per il suo cielo, il suo mare, le sue montagne, ma soprattutto per le sue città”, mi disse. “In questi anni ho parlato tanto con Monica, lei mi ha insegnato l’italiano, ma anche altre lingue, e così ho potuto parlare con persone di altri paesi e conoscere gente differente e varia. Ma se torno sulla terra è per vivere in una città dell’Italia”.
Dopo circa un anno luce di viaggio, capitò in una sala dove alcune persone, uomini e donne, giovani e meno giovani, discutevano attorno a un tavolo. Un uomo di circa quarant’anni, serio ma abbastanza gioviale, che fungeva da presidente, passava la parola a turno. Arianna non si aspettava di essere interpellata, anche se per le poche parole che aveva sentito aveva pensato: “Qui si sta facendo la storia e la politica”. Ma ecco che la voce puntuale del presidente tuonava già: “E lei?”. “Io ancora non mi butto”, rispose prontamente Arianna. “Certo, non è il caso di buttarsi”, ribatté lui.
Se Arianna riprese a mandarmi un messaggio al giorno lo devo a queste parole per cui non potevano bastarle più le lingue che aveva imparato. Queste parole venivano da un’altra lingua che somigliava più alla nostra di extraterrestri, come ci chiamano.
Oggi, dopo quattordici anni, Arianna non ha ancora una città in cui fermarsi. Si sposta da una città all’altra come da una galassia all’altra, e ciascuna diviene la città in cui vivere, in cui compiere il viaggio della vita. Con quelle persone e con innumerevoli altre ha una città sempre da costruire, una città virtuale, che affonda le sue radici sulla solida carta, perciò può viaggiare per migliaia e milioni di miglia e migliaia e milioni di anni. Distante anni luce da tutte le banalità comuni, ospita chi dice, fa e scrive cose inaudite. È la città del secondo rinascimento, roba da extraterrestri.