L'INVENTORE CON IL GUSTO DELLA VENDITA

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presidente di RCM S.p.A., Casinalbo (MO)

“Là dove finiscono il mare e il deserto, tutto il resto può essere pulito con macchine RCM”: è questo il suo slogan come presidente della prima fabbrica italiana di motoscope e lavasciuga per la pulizia industriale e urbana, con un mercato consolidato in Spagna, Germania, Inghilterra, Grecia, Nord Europa, Stati Uniti, Cile, Brasile, Messico, India, Singapore, Malesia, Russia, Giappone, Nord Africa e altri paesi del mondo.
Sono trascorsi quasi cinquant’anni da quando la produzione delle motoscope si fece strada nella storica attività che aveva visto suo padre Romeo protagonista nel settore dei motori marini e industriali, motori diesel e trattori agricoli. L’economista modenese Giuliano Muzzioli, nel libro La Raimondi Costruzioni Meccaniche, racconta che nel 1967, quando l’allora R.C. (Raimondi Costruzioni) si trasferì nell’attuale sede di Casinalbo (MO) e mutò nome in RCM, la qualità eccellente dei vostri motori risultava fuori mercato, in un contesto in cui la concorrenza delle grandi case costruttrici si faceva sentire con un drastico abbattimento dei prezzi. Ma furono principalmente le lotte sindacali, che all’epoca imponevano lo sciopero a singhiozzo, a scoraggiare suo padre rispetto a ogni idea di ampliamento o sviluppo dell’attività. Lei però non poteva accettare questo destino che sembrava segnato…
Io avevo incominciato a lavorare con mio padre a quattordici anni, occupandomi dell’amministrazione, mentre mio fratello maggiore, Renzo, si occupava degli aspetti tecnici. Ma la meccanica per me è e era una passione a cui non potevo rinunciare. Così, presto incominciai a dare il mio apporto: pur non progettando direttamente, ero sempre alla ricerca di qualche innovazione e intanto seguivo gli aspetti commerciali e pubblicitari. Alla fine degli anni sessanta, considerando la crisi che l’azienda stava attraversando, a causa dei fattori a cui lei accennava, insieme ai miei fratelli, cercavo nuovi sbocchi, mettendo a frutto l’ingegno che ha distinto la nostra famiglia dal 1899, quando nostro nonno Ippolito aprì la sua fabbrica di biciclette. Fra le idee che abbiamo sviluppato in quel periodo, ricordo quella di uno skilift portatile, con un motorino da 4 CV, che si poteva trasportare comodamente nel baule dell’auto e si poteva montare in mezz’ora all’occorrenza. Anche se li abbiamo prodotti più per gioco che per business – eravamo noi stessi appassionati di sci –, ne abbiamo realizzati circa 200 e addirittura alcuni alberghi in montagna reclamizzavano le settimane bianche con tanto di skilift portatile RCM.
In seguito avevamo anche accarezzato l’idea di produrre veri e propri impianti di risalita o gatti delle nevi, considerando che avremmo potuto sfruttare la tecnologia delle quattro ruote motrici dei nostri trattori all’avanguardia, ma la messa a punto avrebbe richiesto continui trasferimenti dei nostri tecnici in montagna da Modena, che invece è nel cuore della pianura Padana. Anche se, a pensarci bene, nostro padre si era dedicato ai motori marini lavorando a Modena.
Tuttavia, l’idea delle spazzatrici non tardò a farsi avanti, grazie all’osservazione di un problema che avevamo sotto gli occhi: il nostro stabilimento aveva, e continua ad avere, il pavimento in cemento e le macchine utensili che utilizzavamo per lavorare metalli come il ferro, la ghisa e l’acciaio producevano enormi quantità di polvere che si depositava dappertutto. Gli operai dedicavano il sabato alla pulizia, ma era un’impresa impossibile: la polvere rimossa dalle macchine e dal pavimento si sollevava e finiva sui bancali e sui vetri, per cui, al termine dell’operazione, il risultato lasciava alquanto a desiderare. Anche le spazzatrici stradali dell’allora municipalizzata, che avevamo utilizzato per pulire lo stabilimento di Casinalbo prima del trasferimento, non avevano un sistema di aspirazione e la polvere che emettevano era quasi superiore a quella che rimuovevano. A un certo punto, mi chiesi se non esistessero macchine in grado di spazzare in modo più intelligente. Allora incominciai la mia ricerca nelle fiere e trovai all’estero le uniche aziende che producevano macchine spazzatrici efficienti, due tedesche e due americane, mentre in Italia la ditta Usuelli produceva una spazzatrice di dimensioni enormi, con una spazzolina piccolissima, che non poteva essere vincente. Da lì nacque la riflessione che diede avvio alla nostra avventura attuale: se tutte le aziende di produzione, negli anni settanta, avevano il problema di pulire un pavimento di 250 mq in cemento come il nostro, avremmo potuto proporre una soluzione valida almeno alle 2000 aziende presenti a Modena, prima, e poi ai milioni di aziende operative in Italia. E nel mondo? Questa idea era ancora più allettante se pensiamo che le aziende produttrici di spazzatrici erano pochissime, mentre il mercato era completamente scoperto. Dopo aver studiato i prodotti esistenti sul mercato, i loro pregi e i loro difetti, sono riuscito a costruire con le mie mani e a mettere a punto una macchina in grado di dare una risposta incredibile ai problemi delle piccole e medie imprese italiane, la R700. All’inizio nessuno credeva che potessi avere successo con le macchine pulitrici, neanche mio padre, che era piuttosto contrariato nel vedermi impegnato tutte le sere, ma anche sabato e domenica, per sei mesi, allo sviluppo di queste macchine.
In che modo lei è riuscito a trovare i primi clienti per la R700?
Nell’autunno del 1975, nella palestra in cui mi preparavo alla stagione sciistica, un mio amico che lavorava in una grande azienda del settore ceramico mi disse che avevano intenzione di acquistare le macchine per la pulizia dei loro stabilimenti e stavano provando quelle della ditta tedesca. A quel punto proposi immediatamente la nostra e lui mi diede il numero del capo ufficio acquisti, un uomo inflessibile, che era il terrore dei fornitori. Quando lo incontrai per presentargli la macchina, naturalmente mi chiese se potevo mandargliene una in prova: “Certo, ne abbiamo fatte tante”, risposi mentendo: gli avrei mandato l’unico esemplare, il prototipo. Il problema sorse quando, dopo una settimana, contento delle prestazioni, mi chiamò chiedendomi l’offerta per due macchine di quel tipo. Ma non fu un problema, non c’erano problemi che potessero offuscare quel momento di felicità: la storia delle motoscope RCM era incominciata.
Però non dev’essere stato facile vendere una macchina che, per quanto utile, all’epoca non era conosciuta e poteva sembrare troppo costosa rispetto ai tradizionali mezzi di pulizia…
Infatti, all’epoca non c’erano nemmeno organizzazioni commerciali che potessero proporre le spazzatrici alle aziende e, quando incominciai a occuparmi della vendita diretta, dovetti scontrarmi con la rigidità dei ragionieri che presiedevano agli uffici acquisti: “Sa quante scope compro con 250.000 lire?”, era la loro prima risposta che mi sentivo dare quando pronunciavo il prezzo della macchina. Così, per far capire loro il valore contenuto in quel prezzo, facevo un paragone calzante: “Quanto costa la sua penna?”, chiedevo. E, alla risposta: “Solo 10 lire”, rilanciavo: “Allora perché ha comprato la macchina per scrivere?”. Spesso, per aggirare la resistenza degli uffici acquisti, dicevo che non avevo intenzione di vendere niente, il mio era solo un test. Lasciavo la macchina in prova e, quando tornavo, il risultato era garantito e anche la firma del contratto. Ho viaggiato molto in tutta Italia, con la macchina sul furgone: la scaricavo, la mettevo in funzione e, dopo dieci metri di pulizia, l’affare era fatto. Il gusto della vendita per me è sempre stato irrefrenabile: un giorno stavo andando a Napoli, perché l'azienda tranviaria del posto ci aveva chiesto un’offerta. Percorrendo l’autostrada, all’altezza di Firenze, ho visto un mare di capannoni e non ho resistito: sono uscito per vendere, bussando alle porte di cinque o sei aziende e mostrando la macchina che avevo caricato sul furgone.
All’epoca ancora non pensavo all’espansione internazionale.
Quando ha incominciato a pensarci, quali sono stati i primi passi?
Negli anni ottanta, avevamo già una decina di concessionari che vendevano le nostre macchine in Italia, avevamo ampliato molto la gamma di modelli e, accanto alle motoscope, erano diventate fondamentali per il nostro successo le lavasciuga, anche grazie all’intuizione di nostro fratello Romolo. L'internazionalizzazione per noi è incominciata in maniera abbastanza semplice: la Banca Commerciale Italiana all’epoca offriva un servizio che permetteva alle aziende clienti di distribuire i propri depliant attraverso la sua rete estera, alla ricerca di eventuali clienti fuori dai confini nazionali. Quando decidemmo di usufruire di questo servizio, nel giro di un mese, ci contattarono due aziende, una francese e una austriaca, che presto divennero le nostre prime concessionarie. L’Austria, in particolare, per noi ha rappresentato una vera svolta: la nostra disponibilità era totale, addirittura sui colori e sulle dimensioni, quasi su misura. In seguito abbiamo iniziato a vendere le macchine anche in Germania, attraverso due aziende, una delle quali è tuttora un grande cliente, che acquista circa 1000 macchine all’anno. Lavorare con clienti esigenti come i tedeschi, prima, o i giapponesi, più avanti, ci ha aiutato a produrre macchine sempre più precise ed efficienti. Attualmente siamo in tutto il mondo, addirittura il mese scorso sono venute a farci visita persone dalla Nuova Caledonia.