LA VOCE DEI LABORATORI DI PROVA ITALIANI IN EUROPA
In qualità di vice presidente di Alpi (Associazione dei
Laboratori di Prova e Organismi di Certificazione Indipendenti), il 10 aprile
scorso, lei è stato eletto consigliere di Eurolab (Federazione Europea delle
Associazioni nazionali dei Laboratori di Misura, Prova ed Analisi), dopo tanti
anni in cui l’Italia non era rappresentata nel board della Federazione. Quali
sono i vantaggi che ne derivano per i laboratori del nostro paese?
Eurolab è una federazione di cui fanno parte 25 nazioni
europee – 22 comunitarie più Svizzera, Turchia e Libano – ed esprime
intendimenti e pareri per influenzare i regolamenti che scaturiscono sia dall’Unione
europea sia dall’Ente europeo di accreditamento (Accredia). Tali regolamenti
hanno un peso sulla gestione dei laboratori di prova e quindi sulla validazione
di tutti i prodotti industriali. La rappresentanza del nostro paese nel board
del Consiglio direttivo era indispensabile per dare risalto alle esigenze che
emergono nel panorama italiano, molto differente da quello di altri paesi
perché costituito da tanti piccoli laboratori, che rischiano di scomparire in
fretta, se non trovano la via per innovare il loro stesso modo di fare impresa.
Abbiamo già incominciato a far sentire la nostra influenza: la ISO,
organizzazione internazionale che sovrintende alla normazione e all’armonizzazione
delle regole, intende procedere a una revisione della normativa 17025, che riguarda
i laboratori di taratura, e della 17043, che riguarda gli organismi che si
occupano dell’organizzazione dei circuiti di prova interlaboratorio,
fondamentali per gli accreditamenti. I laboratori italiani, in accordo con
quelli di Francia e Germania, non ritengono vantaggiosa tale revisione: non ci
sono, negli ultimi cinque anni, motivi validi per considerarla necessaria;
inoltre, poiché in Italia alcuni organismi si sono appena accreditati secondo
la norma 17043, sarebbe insensato modificarla. Noi cerchiamo di fare pressione
attraverso un position paper dell’organizzazione di Eurolab, il quale verrà
inviato a ISO e alla Commissione europea, per chiedere che non vengano cambiate
le normative. Ciascuna nazione farà pressione sul proprio organismo di unificazione
(nel nostro paese l’UNI), che ha diritto di voto all’interno di ISO. Chiederemo
ai rappresentanti italiani di partecipare alla riunione, poiché la loro
presenza è decisiva, e di esprimere parere negativo nei confronti dell’aggiornamento
normativo.
L’Italia non può far mancare il proprio contributo perché
significherebbe affidarsi a regole redatte e interpretate da altri. Nell’ultima
assemblea ho sottolineato che tra le pieghe interpretative nascono le
distorsioni di mercato tra i vari paesi. L’Inghilterra, per esempio, interpreta
le norme nel modo più estensivo possibile, lasciando un margine maggiore alle
esigenze dei singoli casi, mentre in Italia l’ente di accreditamento applica
una sorta di “golden rule”, che ci costringe a rispettare le norme nella
maniera più restrittiva in assoluto. Questo comporta che, nel momento in cui un
laboratorio italiano deve competere con uno di altri paesi, il confronto
diventa insostenibile.
Con la conseguente penalizzazione delle nostre aziende...
Infatti. Ma c’è di più: nell’ambito del cogente, i nostri
organismi notificati devono sottostare non solo alle verifiche ispettive di
accreditamento dell’ente Accredia in ottemperanza al regolamento della Comunità
europea, ma anche alla verifica ministeriale, non essendosi ancora affrancati
dai ministeri. Addirittura, in alcuni casi le verifiche non sono congiunte e il
ministero opera per conto proprio, remando contro il resto dell’Europa. La
conseguenza è che un organismo francese, per esempio, può operare in Italia in
base agli accreditamenti del proprio paese, senza dover sottostare alla
valutazione del competente ministero italiano; immagino poi l’attenzione che
l’ente estero porrà nel valutare ispezioni effettuate in altre nazioni dal suo
accreditato.
Un ulteriore problema sta nel fatto che molti organismi
italiani, a causa della lentezza della nostra burocrazia, non sono risultati
iscritti per diversi mesi al portale della Comunità
europea Nando (New Approach Notified and Designated Organizations), che
raccoglie tutti gli organismi abilitati. Di conseguenza, un cliente che ha
certificato un prodotto attraverso uno di questi organismi non più iscritti non
viene riconosciuto, la sua certificazione non vale più e deve avvalersi di un
organismo straniero.
Che cosa può fare l’Alpi per ovviare a questi problemi?
Molte persone all’interno dell’Associazione stanno lavorando per
uniformare e semplificare la normazione, ma non sempre è facile trovare alleati
in Europa, spesso gli interessi divergono, soprattutto perché negli altri paesi
il mercato è costituito da pochi laboratori, con dimensioni molto superiori a
quelle dei nostri. L’Italia ha un peso politico sia come paese
industrializzato, ma anche per le conoscenze e la tecnologia raggiunte, per
questo non possiamo disperdere la nostra forza in inutili individualismi. In
questo momento occorre che i laboratori italiani si mettano in discussione e
incomincino a dare il loro contributo alle attività associative che li
rappresentano in Europa, per valorizzare il loro patrimonio, anziché soccombere
fra le braccia dei giganti.