PER UNA POLITICA ALTRA
Nel mio libro La libertà, la finanza, la comunicazione, la questione del politico e del desiderio viene affrontata a differenti livelli, anche mettendo in gioco il mito greco e il libro la Repubblica di Platone. Qui si tratta della questione del potere, rappresentata nel libro dalla figura di Trasimaco, l’autoritario. Ognuno esercita un potere, come diceva bene Foucault, ognuno incarna il desiderio del potere. La vera questione, dibattuta da Platone a Hobbes sino ai giorni nostri, è che l’uomo è un ramo storto, come diceva Kant: desidera il potere, fino a rischiare persino la pelle per averne un po’. Freud l’aveva visto benissimo. Tutto questo si lega con l’istanza di vita eterna: se ti do la morte, allora io sono immortale. Ma come si può istituire un controllo sul potere, “chi controlla i controllori?”, diceva Kant? Anche i controllori sono amanti del potere, per questo l’ultima cosa che può venirci in mente, in una società che ha fatto tutte le esperienze che ha fatto, è di ripristinare la censura. Ogni censore ha sempre sbagliato tutto, censurando ciò che non doveva censurare e lasciando passare ciò che forse poteva anche togliere. Sembrerebbe, quindi, una situazione irresolubile, senza via d’uscita, perché sopra tutto sta il desiderio e il desiderio, come dicevano i greci, è infine desiderio di sopraffazione: “Io voglio avere tutto quel che posso, corpi, sembianze di corpi, denaro, soprattutto immagine pubblica, devo essere ammirato, onorato, incensato, io non sbaglio mai”.
In Platone, Trasimaco sostiene la tesi, che sarà poi di Hobbes e di tanti altri, che la politica è potere; in essa è sostanzialmente in gioco una cinica lotta di potere dalla quale vengono poi conseguenze buone e cattive. In particolare, quel po’ di pace che gli uomini possono guadagnare sottomettendosi, non importa se al potere di uno stato democratico o oligarchico. Ci vuole il potere e il potere è violenza, è bastone, e senza bastone gli uomini, che sono rami storti, si fanno male, come i ragazzini senza regola.
Stranamente, Platone non fa obiettare a Socrate l’unica vera argomentazione; invece gli fa dire che nell’aldilà i tiranni saranno puniti. Però nessuno ha mai visto questo aldilà, e tanto meno un tiranno punito nell’aldilà. Sul desiderio del potere, ammesso che sia il nostro istinto fondamentale, Platone non dice l’unica cosa che a me sembra vera, se solo ci riflettiamo. Il desiderio infatti può ottenere un effetto soddisfacente se l’altro è lasciato libero di corrispondergli: se non lo è, io posso certamente impadronirmi dell’altro, ma con questo non do vera soddisfazione al mio desiderio. Il desiderio, infatti, desidera di essere riconosciuto; nel momento in cui s’impone è totalmente disatteso. Capisco che per lo più gli esseri umani – io per primo – in molte circostanze facciano un po’ di confusione, cioè che tendano innanzi tutto ad appropriarsi della cosa per scoprire poi che non è soddisfacente, poiché era solo lasciando all’altro la libertà della risposta che il vero desiderio veniva esaudito.
Resta con ciò un fatto antropologico fondamentale che il desiderio sia ineguale: colui che desidera non può anche fare il gesto dell’essere accolto e colui che viene invitato ad accogliere non può essere colui che fa il gesto dell’essere invitato. Il desiderio trova compimento solo tra eguali in potere, come diceva Hegel; non nel senso banale, ma eguali in questa scelta. Una società democratica deve quindi rendere possibile la scelta, che è tale quando le condizioni di vita sono in qualche misura confrontabili. Infatti, se tu muori di fame e io ho tanti soldi, certo tu, ragazzina dell’est, verrai a letto con me; se tu, invece, non hai questa esigenza economica, forse io mi troverò un bel no davanti al naso e imparerò che cos’è la diseguaglianza del desiderio, perché se non c’è ineguaglianza nel desiderio non c’è desiderio, né compimento del desiderio, né soddisfazione del medesimo. La questione sessuale della differenza uomo-donna sta qui, e non soltanto nel fatto che la donna sia assegnata a ruoli prefissati, che debba svolgere certe funzioni, materne, domestiche, subordinate. Il punto è che la donna deve scegliere da donna e l’uomo deve scegliere da uomo. La donna deve scegliere come diventare donna in dialettica con l’uomo, che deve scegliere come diventare uomo in dialettica con la donna, perché essi non sono già uomo e donna, ma lo sono in questo scambio di desiderio.
Come tutti sapete, nel mondo antico il problema della libertà non concerneva in prima istanza l’individuo, ma la città. Questo significa libertas, per esempio nello stemma di Bologna (che è la città in cui sono nato): libertà della città, come diceva Hobbes, e non dei cittadini. I cittadini erano liberi perché era libera la città; libera voleva dire anzitutto chiusa da mura che la proteggevano dalla violenza altrui. Adesso il problema è che la libertà si distribuisca tra coloro che sono dentro le mura, cominciando innanzi tutto a levare le mura, se è possibile. Si tratta allora di convincere che il desiderio si ottiene soltanto attraverso la libertà dei suoi membri e che questa è l’essenza della democrazia, non le chiacchiere sull’individuo intangibile e intoccabile, che tutti i giorni viene invece devastato, invaso, violentato dalle mille espressioni degenerate della vita contemporanea e non solo da quelle (ce ne sono altre che non sono degenerate, tuttavia negative). La libertà è dunque in questo riconoscimento che tutti gli individui devono poter offrire all’altro e a se stessi. Mi chiedo quale governo realisticamente ci sia in Europa, in Occidente, sulla terra, quale partito o forza politica capace di fare qualcosa in questa direzione. Credo che oggi non ci sia. Ciò vuol dire, allora, che questa democrazia, questa politica, questi uomini politici e questi cittadini sono tutti in una crisi profonda, in Occidente per certe ragioni, nel resto del mondo per tante altre. Non vediamo ancora bene quale sia il soggetto politico futuro.
Le riflessioni che svolgo nel mio libro sono il tentativo modestissimo che può fare un filosofo per offrire un contributo in direzione di un soggetto politico futuro, che non è certo quello che frequentiamo oggi.