L'AZIENDA OLTRE I SOCI

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presidente di TEC Eurolab, Campogalliano (MO)

Nel numero precedente del nostro giornale, abbiamo pubblicato l’intervista alla Spira Mirabilis, l’orchestra senza direttore, composta da musicisti di grande talento provenienti da tutta Europa...
La Spira mi ha fatto pensare a un obiettivo che in TEC Eurolab ci siamo proposti di raggiungere da diversi anni a questa parte: l’avvenire dell’azienda oltre i soci. Quest’anno celebriamo il venticinquesimo anniversario dalla costituzione della società e penso che siamo nella giusta direzione: l'eventuale assenza dei soci fondatori non comprometterà la vita e lo sviluppo dell’azienda. Ci siamo circondati di persone competenti e appassionate e ci stiamo mettendo del nostro per coinvolgerle nella nostra visione di cos’è un’azienda, perché esiste, a cosa serve, qual è il ruolo di ogni singola persona. Questo è tanto più semplice quanto maggiore è lo spessore del capitale intellettuale che si acquisisce nella famiglia, nella scuola e negli ambienti che ciascuno frequenta per i motivi più disparati: hobby, sport, amicizie, volontariato, e così via.
Le aziende come TEC Eurolab — che forniscono prodotti intangibili, non fabbricati in catena di montaggio — devono avvalersi di personale con un’altissima specializzazione, in grado di risolvere problemi complessi e sempre nuovi. Ad esempio i casi di failure analysis e le indagini tomografiche, che ci sottopongono i clienti di settori quali l’aeronautico, l’automotive, il racing e il packaging, sono assolutamente differenti l’uno dall’altro e non esiste uno standard a cui possano essere conformati per far rientrare la soluzione in un eventuale schema. Ecco perché i nostri collaboratori devono avere un capitale intellettuale che vada ben oltre le competenze tecniche, perché i nostri servizi hanno un valore aggiunto quanto più riusciamo ad analizzare i problemi da diversi punti di vista, in modo da fornirne al cliente un quadro globale e al tempo stesso dettagliato. Questo è possibile soltanto nel momento in cui gli ingegneri che fanno parte dei nostri team non giocano da solisti, ma mettono a disposizione degli altri componenti della squadra tutta la loro competenza. Vale a dire che, soltanto se ciascun collaboratore avverte una vera e propria identificazione con il progetto e il programma dell’impresa, il team è affiatato e tutti remano nella stessa direzione.
Ma come si può fare in modo che i cervelli eccellenti, come li chiamava Machiavelli, formino una squadra, senza essere omologati?
Per ottenere questo risultato, il leader deve valorizzare la specificità e l’unicità di ciascuno, anziché cercare di conformare tutti a un modello, ma soprattutto deve pensare che ciascuna persona è come la tessera di un puzzle, che non può essere messa dappertutto. Inoltre, poiché ciascuno nella sua giornata contribuisce a tanti puzzle quanti sono i suoi interessi e i suoi legami, il leader non può avere la pretesa che un suo collaboratore consideri prioritario il puzzle aziendale. L’uomo ha altre priorità nella vita, l’azienda è un mezzo per raggiungere il fine, non il fine stesso. Certo è un mezzo importante, che deve essere sviluppato, in modo che fornisca opportunità di crescita personale e collettiva, e io credo che l’azienda debba essere anche amata e protetta perché, al di là della sua proprietà legale, è un bene di tutta la comunità.
A proposito di squadra, lei ha giocato a pallavolo anche in serie A...
Sono stato un modesto giocatore, ma per me è stata una fortuna crescere in una squadra di campioni, dove su sei titolari c’erano sette nazionali, per cui uno sedeva in panchina; ho così potuto migliorare le mie prestazioni grazie al confronto spropositato. A volte essere l’ultimo della compagnia presenta anche delle opportunità, senz’altro quella di migliorare più rapidamente, a patto che non ti accontenti di vivere di luce riflessa e non fai mai mancare il tuo contributo, tutto quello che puoi dare.
L’esperienza sportiva, prima come giocatore e in seguito come allenatore di giovani talenti, mi ha lasciato, oltre a tanti amici, due consapevolezze: la prima è che la squadra, prima ancora che vincere o perdere sul campo, vince o perde tutti i giorni, nello sviluppo e nella gestione dei rapporti interpersonali; la seconda è che ogni obiettivo va contestualizzato in un obiettivo ben più ampio: partita e campionato siano pietre miliari del tuo progetto, non il progetto stesso. Il progetto non ha fine. Altrimenti, che tu vinca o che tu perda, il giorno dopo sarà terribilmente vuoto.
È un’esperienza di cui si è avvalso in seguito come imprenditore...
Certamente. Come dicevo prima, se un leader pensa che i componenti di una squadra debbano essere omologati, allora sarà interessato solo a trasmettere messaggi di omologazione e non avrà interesse, né capacità, per ascoltare ogni persona del team e quindi non riuscirà a coinvolgere le persone e tanto meno a fare in modo che la riuscita sia obiettivo comune. E sappiamo come non ci sia alternativa alla riuscita: allora, meglio condividere e collaborare, piuttosto che omologare.
Ascoltare è l’unico modo per instaurare un dispositivo con ciascuno, anziché pretendere di far rientrare tutti in una forma uguale alle altre. Solo così possiamo preservare l’unicità e valorizzare la differenza che sta alla base della più grande ricchezza: il capitale intellettuale.