LA TERRA NEL VIAGGIO SENZA FINE
Secondo
Esiodo, Gaia appare dopo il Caos e unendosi con Urano genera varie creature,
tra cui i Titani, i Ciclopi e infine Cronos, il Tempo. In questo mito Gaia è la
madre terra, in particolare madre del tempo. Questo tempo è Crono, è cronologico,
perché ha un'origine, e postula una madre precedente a lui, una madre fuori del
tempo, una terra madre. La terra diviene madre se è terra d’origine, se viene
prima del tempo, dunque ne è preservata, esente, pura. La terra di Esiodo è
nello spazio, è spaziale perché non è attraversata dal tempo, ne è l’origine,
origine di un tempo generato.
Gaia,
la madre terra, si unisce con Urano, il cielo. E se Platone toglierà la terra
dall’Iperuranio, dallo Stracielo, e la trasformerà in prigione, prigione delle
anime, Aristotele dirà che terra e cielo fanno sistema e che la terra è ferma.
Terra madre, terra caduta, terra ferma. La dottrina della penisola greca deve
respingere la tesi di Pitagora, il crotonese, “il primo a definirsi filosofo”
(Diogene Laerzio), secondo cui la terra si muove e ruota non intorno al sole ma
intorno al fuoco. Occorrerà Niccolò Copernico per introdurre, nel XV secolo, il
concetto di rivoluzione della Terra e dei corpi celesti, poi con Galilei il
sistema verrà meno, perché la terra non abbraccia più il cielo, è in una
regione del cielo, procede dal cielo.
Ma
a Colono, secondo la tragedia di Sofocle, è intervenuto un terremoto: la terra
si squarcia, il cadavere di Edipo non si trova. Con il terremoto la terra non è
più ferma, irrompe lo squarcio, la superficie non è più piana: lo squarcio è
apertura e divisione, giuntura/separazione e taglio in atto, il tempo come
taglio. Il terremoto introduce l’altro tempo. Da Colono all’Emilia Romagna,
quante trasformazioni, innovazioni, nuove imprese i terremoti hanno richiesto e
con quanti protocolli la burocrazia ha cercato di frenare, rallentare,
ricondurre al deja-vu l’altro tempo, la trasformazione? Lo squarcio: l’apertura
non è un contratto sociale, il tempo non è generato, nemmeno da Gaia. Con lo
squarcio la generazione procede dall’apertura e esige il tempo, è ingegneria,
ingegno, generosità, fare, poesia. La terra non materna, non terrestre, è la
terra come squarcio, come tempo: tempo come taglio, non come cronologia, in cui
il tempo divora i figli, uccide, finisce. Se la terra è terrestre, se il cielo
ha da rovesciarsi sulla terra, come voleva Lenin, il tempo è Urano, la
rivoluzione uccide i suoi figli, come scrive Carlos Carralero nel suo libro Saturno
e il gioco dei tempi (Spirali) a proposito di Fidel Castro.
Le
cose procedono dal due, dall’apertura, non dall’unità, dall’origine, dalla
terra d’origine. La terra d’origine è la terra materna, sottoposta all’anfibologia,
dunque da custodire o da fuggire, da nutrire o da depredare. “Nutrire il
pianeta”, propone l’Expo 2015. La terra materna richiede una rivoluzione
circolare, che torni all’origine, una natura pura cui occorrerebbe tornare per
evitare la fine. La presunta rivoluzione ambientale è una rivoluzione
ideologica, perché parte da un’idea della fine della terra, è fatta da figli
della terra che dovrebbero salvare la madre terra dal suo nemico, l’uomo, come
nota nel suo articolo pubblicato in questo numero Giancarlo Mengoli. Questa
ideologia della salvezza fomenta le paure, nega la scienza e foraggia un business
planetario, come indica nel suo articolo Franco Battaglia. Un business che
prospera sul ricatto, come quello dell’ideologia farmacologica, o sulla
minaccia che il territorio possa essere consumato, e non dare più i suoi
frutti, per cui non si dovrebbero più costruire case, strade, linee
ferroviarie, dunque l’ingegneria dovrebbe finire.
Ma
i prodotti della terra sono prodotti intellettuali, che si avvalgono della
tecnica e della macchina, non sono naturali. La terra non è Gaia, non è
naturale, è nella parola, nel fare, esige la scienza, la ricerca e l’impresa, l’invenzione
e l’arte, dunque le case, le strade, le dighe, i ponti, le città. Gli
imprenditori interpellati in questo numero, come Bruno Conti, provano che la
terra esige l’industria e l’ingegno di ciascuno. La terra non è immutabile, è
in viaggio, un viaggio temporale, non spaziale. La terra non è il territorio —
concetto che deriva dello jus terrendi, il diritto di terrorizzare —,
che nega il nomade e l’ospite, considerati come nemici. La terra non materna,
la terra nelle sue proprietà e nelle sue virtù, che sono proprietà e virtù del
tempo, non può essere consumata, o occupata, o finire, come non finisce il
tempo non cronologico, il tempo del fare, dell’impresa, della scrittura. Non ha
bisogno né di figli, né di padri, ma di seguaci, dalla radice del sanscrito sak,
da cui schisi, setta, taglio. Setta non segreta e senza congiurati, come in
Giambattista Vico che definisce “sette dei tempi” le ere.
I
seguaci della terra non sono complottisti, sono seguaci del tempo, si attengono
all’eternità dell’istante, non paventano la fine del tempo, non si preoccupano
della terra né la occupano. Se la terra può finire, diventando territoriale e
terrestre, è sottoponibile alla padronanza e alla sue forme: il rispetto, la
tutela, l’occupazione. Padronanza che l’ambientalismo mette in opera contro l’impresa
anche avvalendosi della burocrazia, fino al tribunale. Un corollario di questa ideologia della padronanza è il concetto di
appartenenza, appartenenza della terra o appartenenza alla terra, che però non
può essere tenuta e contenuta se non finisce, se è squarcio, se interviene il
terremoto. Il seguace della terra non se ne appropria, non difende una propria
terra, segue il viaggio della terra, il suo viaggio secondo il ritmo, la
stagione, l’era intellettuale. Questa è la rivoluzione non circolare del
pianeta, la rivoluzione in direzione della qualità.