I FARMACI E IL LORO ABUSO
L’abuso di sostanze è un problema della nostra società.
Le sostanze possono essere di uso voluttuario, come le droghe o l’alcol, oppure
essere qualificate farmaci. Come farmacista rilevo un incremento nel consumo,
nella produzione, nei brevetti e nelle vendite di una categoria di farmaci
denominati benzodiazepine – tra cui Valium, Ansiolin, Noan, Madar, Dalmadorm,
Frisium, Lexotan, Tavor, EN, Minias –, derivanti dalla fusione tra anelli
benzenici e diazepinici, che hanno sostituito gli ansiolitici del passato, i
barbiturici, ipnotici-sedativi molto pericolosi, perché il dosaggio terapeutico
e quello letale erano molto simili.
Oggi in Italia assistiamo a un grande abuso di
benzodiazepine: il farmaco più venduto sul territorio nazionale è il Tavor da
un milligrammo e tutti i suoi equivalenti generici. Le benzodiazepine aumentano
l’effetto dell’Acido Gamma Ammino Butirrico, detto GABA, che è un neurotrasmettitore
inibitorio a livello non solo muscolare, ma anche del sistema nervoso centrale.
Nei casi di ansia o d’insonnia, per esempio, vengono prescritte queste sostanze
per cercare di ristabilire un equilibrio, accrescendo, quindi, le proprietà
sedative, ipnotiche, ansiolitiche, anticonvulsive, anestetiche e miorilassanti
del GABA.
Queste proprietà rendono oggi utili le benzodiazepine nei
trattamenti di breve durata per stati gravi di ansia, insonnia, agitazione,
convulsioni e spasmi muscolari, ma è problematico l’uso di tali farmaci a lungo
termine, da sei mesi in su, per il rischio che s’instauri una dipendenza fisica
e psichica, con conseguente sindrome da astinenza, che può comportare insonnia,
ansia, attacchi di panico, tachicardia, ipertensione, depressione, azioni
suicide, tremori, perdita di appetito e disforia. Quasi come una dipendenza da
droga pesante.
Chiaramente, le benzodiazepine sono soggette a
prescrizione medica. Ma, per quanto tempo una persona, per cercare di risolvere
il proprio disagio – ovviamente, con la mediazione del medico – deve utilizzare
queste sostanze? In molte situazioni, l’assunzione del farmaco continua per
anni, con profitto delle case farmaceutiche. L’incremento della prescrizione
delle benzodiazepine, negli ultimi 25 anni, si può interpretare sia alla luce
di un’espansione della domanda, sia alla luce di un incremento dell’offerta. La
prima appare conseguente a vari fattori, fra cui la progressiva diffusione
della cultura della fuga dalla sofferenza, mediante il ricorso a sostanze
psicoattive. La seconda dipende dalla territorializzazione dell’assistenza
psichiatrica, dove la risposta psicofarmacoterapeutica gioca un ruolo
determinante. Il problema della territorializzazione è riconducibile all’ampia
disponibilità delle sostanze psicoattive sui mercati legali e alla scarsa
vigilanza che i medici talvolta operano nella prescrizione degli psicofarmaci,
prestando insufficiente attenzione ai rischi di abuso e di dipendenza che
questi possono indurre nel paziente.
Una volta, la ricetta medica per le benzodiazepine valeva
tre mesi. Di recente invece una legge ha operato una restrizione sui tempi, per
cui la ricetta scade entro un mese e vale per un massimo di tre confezioni.
Questo significa che oggi si possono comprare tre confezioni di benzodiazepine
erogabili tutte in una volta, e si tratta di una quantità che potrebbe essere
usata in modo improprio. È stata una scelta dei legislatori che non ho
condiviso. La Farmacopea Nazionale della Repubblica Italiana, il vangelo dei
farmacisti, riporta le dosi massime, per singola assunzione e nelle 24 ore, di
ogni principio attivo. Per alcuni tipi di molecole, tre confezioni potrebbero
oltrepassare le soglie di legge. Si nota che non c’è un controllo storico
obbligatorio dell’utilizzo di questi farmaci per singolo paziente.
Negli Stati Uniti una legge prevede che il medico che
prescrive sostanze di questo tipo per una durata superiore a un mese sia
sottoposto a verifica. Una delle lacune italiane è che si cambia spesso medico
e nel passaggio si perde il monitoraggio, per cui un paziente può benissimo
arrivare a farsi prescrivere il Tavor da cinque medici diversi in soli tre
anni.
Il problema si pone ancor più quando all’uso di queste
sostanze si aggiunge l’abuso di alcol: la benzodiazepina amplifica di gran
lunga l’effetto dell’alcol etilico. La legge impone a chi guida – un autista di
scuolabus, per esempio – di non avere più di 0,50 grammi/litro di alcol nel
sangue. Ma di Tavor quanto può averne? E di Lexotan? E di EN? Da qualche tempo
il codice della strada punisce anche l’abuso di sostanze di questo tipo, ma
sempre con tante valutazioni da un punto di vista legale: se c’era la ricetta
medica, se la dose non è stata superata, e così via. Inoltre, l’interazione con
alcol può avere quasi sempre effetti drammatici: anche un semplice bicchiere di
vino associato a una dose moderata di benzodiazepine può causare una grave
depressione respiratoria, che può portare fino al collasso.
Occorre anche ricordare alcuni effetti collaterali di
queste sostanze: l’eccessiva sedazione, l’amnesia anterograda, l’astenia,
l’atassia, l’aumento di peso, la sonnolenza, la riduzione della performance
cognitiva e psicomotoria. Ma qualcuno potrebbe obiettare: “Con questa sostanza,
dormo. Altrimenti non dormo”. Può essere vero, ma occorre indagare qual è il
motivo dell’insonnia. Magari, si scopre che questo qualcuno prende dieci caffè
al giorno: dopo il quinto caffè, in una competizione sportiva professionistica,
è già doping. Si crea un circolo vizioso dal quale difficilmente si esce. Anche
perché queste sostanze vanno a compromettere il sonno REM (acronimo di rapid
eyes movement), un sonno profondo in cui l’individuo scarica tutte le
tensioni accumulate nell’arco della giornata. La benzodiazepina toglie il sonno
REM, cioè causa un sonno fittizio, magari di sei ore, ma senza quel riposo
psichico e fisico fornito da un sonno naturale.